01 gennaio 2020

Decrescita o barbarie: una riflessione per il nuovo anno

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Per pochi euro potete iniziare il 2020 leggendo una lunga intervista in cui Serge Latouche, il "teorico della decrescita", vi racconta la mercantilizzazione del mondo e le sue conseguenze sul pensiero e la vita. Ma c'è anche qualche antidoto...

Serge Latouche Decrescita barbarie
Serge Latouche

Che mondo è quello in cui viviamo, che per ‘svegliarsi’ ha bisogno del j’accuse di Greta Thumberg, – la diciassettenne svedese divenuta famosa per il suo Skolstreik for klimatet -, un’attivista che fa dello ‘sviluppo sostenibile’ la sua battaglia quotidiana?

A sentire Serge Latouche, ispiratore della ‘decrescita’, la prima cosa da fare discutendo di quest’ultima, è sgombrare il campo da equivoci. Vuol dire esercitare una critica radicale ai concetti fondamentali su cui si struttura la visione del mondo odierno, a partire dall’economia, che secondo l’economista e filosofo francese, animatore della Revue du Mauss e professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI, va completamente rivista, o più precisamente dalla quale bisogna uscire. Fare chiarezza vuol dire prendere le distanze dall’approccio dogmatico apologetico e messianico, dall’approccio reazionario che interpreta la decrescita come un colpo di spugna contro la modernità, la democrazia e la sinistra. Considerazioni queste ultime, ben sottolineate da Roberto Mancini nell’introduzione a Serge Latouche. Decrescita o barbarie, edito da Castelvecchi.

Così – precisa Mancini – per evitare che la decrescita venga banalizzata “è necessario sgombrare il campo dagli approcci di lettura impropri e fuorvianti. Il più diffuso è l’approccio modernista di chi accetta l’economia capitalista e respinge la decrescita perché vi ravvisa un’utopia antimoderna, ispirata dalla nostalgia per un modello arcadico di società”.

Fare chiarezza sembrerebbe un prerequisito essenziale per districarci nel groviglio del mondo attuale.

Serge Latouche Decrescita barbarie
La copertina del libro

Uscire dall’economia, per “ri-orientarsi”

Dall’intervista tra Josè Bellver e Serge Latouche, tradotta in italiano da Gavina Falchi, emergono molteplici spunti di riflessione. Per Latouche lo ‘sviluppo sostenibile’, il New Deal Verde, sono   graziosi ossimori, ‘strategie verbali’ che tutto sommato non modificano il funzionamento del sistema. Se si parla di decrescita bisogna intenderla come una radicale uscita da un paradigma che ha elevato a valore assoluto il concetto di accumulazione indiscriminata, fiore all’occhiello del pensiero unico della mercantilizzazione del mondo. Ora, se La nostra casa è in fiamme, – come recita il titolo di un libro della Thumberg, scritto a quattro mani con i suoi (edito da Mondadori), quali saranno le azioni da compiere, le priorità da mettere con urgenza in agenda per salvare il pianeta? In che modo rivedere il concetto di economia? Cosa significa, in definitiva, “uscire dall’economia?” Latouche afferma che “Se ‘economia’ equivale a culto della crescita, uscire dall’economia significa dire addio a tale culto, riorientando il lavoro e le attività sociali secondo criteri dell’armonia, della giustizia, della pace. Inoltre si tratta di uscire dall’economia come sfera separata che perde il suo contatto con il resto della vita umana.” Insomma, bisogna ripensare tutto, e Latouche lo fa vergando le famose “8 R”, che come puntualizza nell’intervista, – realizzata da Josè Bellver per la rivista “Diagonal”-, corrispondono a otto verbi, otto tipi di azione: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.

Greta Thunberg
Greta Thunberg

Rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare

Naturalmente, non si tratta di un approccio ‘controcorrente’, di regressione; piuttosto far avanzare una società inedita, più avanti rispetto alla modernità e all’occidentalizzazione del mondo. Del resto, direbbe il filosofo Umberto Galimberti, l’occidente è al tramonto: vale a dire il tramonto di una cultura basata sullo zoccolo duro del nichilismo ove si erge il mercato che fa della crescita il suo mantra principale: produrre continuamente, per portare al nulla le cose stesse il più rapidamente possibile. Si tratta di quella ‘apoptosi’, morte già programmata, – come i telefonini che abbiamo in tasca -, che consentono al mercato di accendere la frenesia del nuovo, al di là dell’effettivo bisogno; insomma,del nuovo a tutti i costi.

La cura del Bene Comune

Dunque un progetto, quello della decrescita, in cui è centrale il valore politico, da intendere come esercizio della cura per il bene comune e non come acquisizione del potere per il potere; come dire che l’unica giustificazione del potere è quella di consentire la fioritura umana del singolo e delle comunità in accordo con la natura. Un ideale, quest’ultimo, purtroppo ancora lontano da raggiungere, nonostante sia sancito da molte carte costituzionali o dalla Dichiarazione di Amsterdam del 2002. Senza dimenticare, direbbe sempre Galimberti, che l’avanzata pervasiva della tecnica, – massima capacità di pensiero razionale mai raggiunta dall’uomo -, condizionante gli aspetti della tecnologia e dell’economia, fa dell’umanismo un ideale sempre più inesorabilmente ridotto a un lumicino. E dunque in questo quadro difficile, e in buona parte devastante, è anche necessario chiedersi quali intrecci sussistono tra l’arte e la decrescita, se ci sono nessi; o l’arte va per la sua strada e il mondo, con i suoi problemi, dall’altra? Domandarsi se l’arte può essere vissuta come baluardo di resistenza, e in che forme.

 

Serge Latouche

Decrescita o barbarie

Castelfranchi, Irruzioni 2018

Euro 5.00

ISBN 9788832824315

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