07 gennaio 2022

MAECI: una nuova Direzione Generale per il soft power culturale

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Il Ministero degli Esteri presenta la nuova Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale, il cui obiettivo sarà quello di consolidare il “soft power” italiano nel mondo

L’Istituto Italiano di Cultura di Abu Dhabi recentemente aperto al pubblico

Già impegnato nella diffusione della cultura e dell’arte italiane, grazie al lavoro degli Istituti di Cultura sparsi in tutto il mondo, il MAECI – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale si dota di un nuovo strumento. È stata infatti presentata la DGDPC – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale, il cui obiettivo sarà quello di consolidare il “soft power” italiano nello sviluppo delle relazioni internazionali. Alla guida della nuova Direzione è Pasquale Terracciano, già ambasciatore a Madrid, Londra e Mosca. Vice Direttore Generale e Direttore Centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana è Alessandro De Pedys, Vice Direttore Generale e Direttore Centrale per la Comunicazione è Niccolò Fontana, Capo Segreteria è Caterina Gigliuto.

Nello specifico, tra le altre mansioni, la DGDPC tratterà le questioni afferenti alla cultura nelle relazioni con enti e organizzazioni internazionali, ferme restando le competenze del MIC – Ministero della Cultura, per esempio nell’azione di recupero di beni culturali appartenenti al patrimonio culturale nazionale illecitamente esportati all’estero, come si legge nel decreto. Di rilievo il suo ruolo nella gestione degli IIC – Istituti Italiani di Cultura che, attualmente, sono 84 ma che nel 2022 diventeranno 90, con le aperture delle sedi di Almaty, Amman, Bangkok, Hanoi, Miami e Sarajevo. Impegno anche nel settore dell’editoria e della formazione, facilitando la mobilità di studenti e ricercatori e l’organizzazione di missioni archeologiche, etnologiche e antropologiche all’estero.

È ormai un dato storico quello dell’intervento della CIA nella diffusione della Pop Art statunitense in Europa nei primi anni ‘60, come propaganda culturale da opporre al modello sovietico. Ne scrive con molta precisione Frances Stonor Saunders in “La guerra fredda culturale”, volume pubblicato nel 2004. Si tratta di un esempio ante litteram di “soft power”: il termine fu coniato nel 1990 dal professore di Harvard Joseph Nye e, negli ultimi anni, è diventato piuttosto popolare. Senza accenti così drammatici, che la diplomazia italiana stesse puntando sul soft power era già evidente dall’aumento di bilancio per il triennio 2020-2022 di cui ha goduto il MAECI, dovuto in parte anche agli interventi straordinari di promozione della lingua e della cultura italiane all’estero nell’ambito del “Fondo cultura”. Di enorme prestigio, poi, la collezione d’arte contemporanea della Farnesina, esposta all’interno della sede del MAECI, a Roma, e che conta più di 470 opere raccolte a partire dal 2000, da quando il segretario generale Umberto Vattani decise di riunire i lavori di autori di fama consolidata ed emergenti, valutati da una commissione scientifica e aventi come prerogativa l’italianità.

La Direzione è suddivisa in sei Uffici e tre Unità: Ufficio I – Relazioni con i mezzi di comunicazione, Ufficio II – Relazioni con il pubblico, Ufficio III – Promozione culturale e Istituti italiani di cultura, Ufficio IV – Promozione della lingua e dell’editoria italiane, internazionalizzazione delle università, borse di studio, Ufficio V – Sistema della formazione italiana nel mondo, Ufficio VI – Cooperazione culturale in ambito multilaterale, missioni archeologiche. Le unità sono: Unità per il coordinamento della comunicazione, Unità di Analisi, Programmazione, statistica e documentazione storica e Unità per la promozione dell’Italia nelle organizzazioni internazionali.

«L’Italia gode, in questo momento, di un’ottima immagine internazionale. Bisogna prendere atto che buona parte di questa reputazione ci viene dall’essere una superpotenza culturale», ha dichiarato il segretario generale della Farnesina Ettore Sequi, in un intervento sul Sole 24 Ore. «Il Paese della storia, dell’arte, della civiltà, del saper vivere, del bello e del ben fatto. Che sia stereotipo o afflato sentimentale, poco importa: questa è la componente principale (e anticiclica) alla base della nostra reputazione planetaria. Se è difficile non prenderne atto per qualsiasi italiano abbia varcato i confini nazionali, sarebbe addirittura imperdonabile per chi è chiamato a dirigere la diplomazia di un Paese come l’Italia. Farlo senza sfruttarne il soft power significherebbe privarsi di uno strumento tanto immateriale quanto efficace».

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