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Un abbraccio per la vaccinazione: la foto del Madre fa discutere
Attualità
Raramente un museo d’arte contemporanea, in Italia, riesce a produrre una eco talmente forte, con i suoi contenuti, da infrangere la bolla degli immediatamente interessati. Ci è riuscito il Madre di Napoli che, grazie o a causa di un’immagine pubblicata sui suoi canali social e riferita alla campagna di vaccinazione, si è guadagnato addirittura la prima pagina di Libero. Arrivando, quindi, fino all’onda più alta, estrema, della marea di fango che ha devastato l’area commenti del web. «Sfruttano i gay per far pubblicità all’anti-covid», titola l’articolo di Azzurra Barbuto, famosa per le sue liti con Massimo Giletti e per vari altri raffinati contributi giornalistici, tipo “Comandano i terroni”, sempre Libero, gennaio 2019.
L’immagine diffusa dal Madre, realizzata in collaborazione con il Museo Archeologico di Napoli, con il quale è ufficialmente in atto una collaborazione triennale, ritrae due performer cinti in un abbraccio. Uno dei due stringe un mazzo di calle – la fotografia documenta infatti la performance Dennis With Flower, nell’ambito della mostra che il museo di via Settembrini dedicò a Robert Mapplethorpe – mentre sullo sfondo compaiono i fiori d’oro della Collezione della Magna Grecia. In basso, al di fuori dell’immagine, il logo floreale della campagna di vaccinazione anti Covid-19.
Da un punto di vista formale, l’immagine potrebbe essere assimilabile a un’estetica di gusto marcatamente naif. Tanto candida ed elementare quanto poco raffinata nella composizione, con le sagome dei performer ritagliate e i fiori archeologici “incollati” sullo sfondo, la fotografia genera un effetto posticcio, la cui grana non è sfuggita al popolo del web che, evidentemente abituato a raffinatezze stilistiche di ben altro calibro, ha reagito come al solito, cioè amplificando, commento dopo commento, reaction dopo reaction, quel sentimento di antitesi che, dilatandosi a dismisura, si tinge prima di ostilità poi di rabbia e, quindi, di irrazionalità.
Ma la furia cieca dei commenti è montata anche contro la congruenza concettuale. Emendando gli insulti e gli improperi, la questione può essere sintetizzata in questa domanda: cosa c’entrano due performer e un reperto archeologico con la campagna di vaccinazione?
La discussione avrebbe potuto anche dare adito a un dialogo complesso e dalle tante sfumature, partendo dall’analisi dell’immagine stessa e arrivando, per esempio, alla possibilità e alla libertà di un’istituzione di rappresentarsi -e di rappresentare – secondo la sua volontà e le sue capacità. Ma il piano era ormai inclinato verso l’aggressività, tra i riferimenti barbarici all’omosessualità, gli inevitabili milioni spesi per un prodotto mediocre – sarebbe bello se il Madre avesse veramente tanti milioni da spendere – e scivoloni burocratici di chi chiama in causa addirittura Dario Franceschini (il Madre è un museo gestito da una Fondazione della Regione Campania, non dal Mibact).
Insomma, un’immagine esplicitamente – troppo esplicitamente – riferita alla condivisione, all’innocente erotismo dell’abbraccio, si è trasformata in un diffusore d’odio che, infatti, ha trovato uno sfogo naturale, biologico – vorrei dire organico – attraverso suo canale più adatto: la prima pagina di Libero. Il quotidiano diretto da Pietro Senaldi ha infatti proceduto con l’esattezza di un organo in perfetta funzionalità: estrapolando meccanicamente la percentuale più rilevante dei commenti negativi ha individuato il tema dell’omosessualità, per rigirarlo in un attacco alle lobby dei poteri forti e all’inettitudine di “chi sta ai piani alti”.
Le critiche sono legittime – quando sono supportate dalla conoscenza dei fatti – e possono anche assumere toni caustici o salaci ma non dovrebbero mai far dimenticare le norme di una comunicazione orizzontale, scorrevole. Non solo per il rispetto della buona educazione di una volta ma anche per allenare il linguaggio all’analisi di ciò che appare divisivo e alla sintesi del proprio pensiero, da articolare in un discorso complesso, plurale e divergente, non cercando rifugio nel punto fermo della volgarità gratuita e dell’offesa istintiva.
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