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Le domus de janas della Sardegna diventano Patrimonio dell’Umanità Unesco
Beni culturali
di redazione
Le domus de janas, tombe ipogee appartenenti alla civiltà prenuragica della Sardegna, sono ufficialmente entrate nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, portando a 61 il numero dei siti italiani. La decisione è stata annunciata a Parigi, durante la 47ma sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale. Il sito seriale riconosciuto dall’UNESCO include 18 necropoli distribuite in tutta l’isola, con una particolare concentrazione nel centro-nord, dalla necropoli di Anghelu Ruju ad Alghero a quella di Montessu a Villaperuccio, passando per il Parco archeologico di Pranu Mutteddu e la Roccia dell’Elefante a Castelsardo. Si tratta della più estesa manifestazione di architettura funeraria neolitica del Mediterraneo occidentale, che documenta in modo unico le credenze sull’aldilà, i rituali collettivi e la struttura sociale delle antiche comunità sarde.
Le domus de janas, architetture del sacro
Scavate nella roccia viva tra il Neolitico recente e l’Età del Bronzo antico (circa 4400–2000 a.C.), queste tombe ipogee costituiscono una forma unica di architettura funeraria, diffusa in tutta l’isola, a eccezione della Gallura. Con oltre 2.400 esemplari censiti e molte altre ancora da scoprire, le domus punteggiano dunque il territorio sardo, spesso organizzate in necropoli complesse collegate da corridoi d’accesso (dromoi), anticelle e ambienti interni ricavati con straordinaria maestria tecnica e simbolica.

La loro origine si lega alla Cultura di San Ciriaco e si consolida con la successiva Cultura di Ozieri, quando le comunità dell’isola svilupparono un articolato sistema di credenze legate alla fertilità, alla rigenerazione e al culto della Dea Madre, raffigurata nelle celebri statuette rinvenute in molte sepolture. Le domus de janas riproducono, in scala ridotta, le case dei vivi e proprio per questo sono considerate varchi simbolici verso l’aldilà: alcune presentano planimetrie a forma di capanna con tetto a cono, altre imitano strutture più complesse con ambienti rettangolari, porte, finestre, nicchie e decorazioni parietali. Le superfici interne erano spesso arricchite da motivi magici, in rilievo o incisi – spirali, zig-zag, dischi, corna taurine – che evocano potenze ctonie e divinità fecondatrici.

Il nome “janas” richiama le figure del folclore sardo, fate femminili dai poteri arcani, ma l’etimologia potrebbe risalire al dio romano Giano, guardiano delle soglie, o addirittura a Diana, la dea lunare. Le tombe, dunque, rappresentavano degli spazi di passaggio, dove i defunti, spesso deposti in posizione fetale, talvolta dipinti con ocra rossa, venivano accompagnati nel viaggio ultraterreno con ceramiche, strumenti, cibo e ornamenti. In alcuni casi, secondo altre ipotesi, i corpi venivano lasciati all’aperto per una prima decomposizione, per poi essere trasferiti nelle camere ipogee.

Tra i complessi più noti, in particolare la necropoli di Sant’Andrea Priu documenta un riuso stratificato: da tomba preistorica a chiesa bizantina affrescata, passando per l’età romana, testimonianza eloquente della continuità cultuale e simbolica di questi spazi.

Una candidatura collettiva, un riconoscimento planetario
Il riconoscimento giunge al termine di un articolato percorso di candidatura avviato nel 2018 e promosso dal Centro Studi Identità e Memoria – CeSIM, con il sostegno della Regione Sardegna, del Ministero della Cultura, della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UNESCO e di oltre una dozzina di Comuni sardi, con Alghero come capofila. Un lavoro corale che ha coinvolto istituzioni, studiosi, amministrazioni locali e comunità, restituendo centralità a un patrimonio spesso ignorato o confinato a un’identità regionale.
La candidatura si fonda sul criterio III della Convenzione UNESCO del 1972, riconoscendo alle domus de janas il valore di «Testimonianza unica ed eccezionale di una tradizione culturale scomparsa», espressione di una visione del mondo che affonda le radici nella preistoria ma continua a risuonare nell’identità sarda contemporanea.
I siti archeologici e naturalistici inseriti nel progetto approvato dall’UNESCO comprendono: la necropoli di Anghelu Ruju nel comune di Alghero, quella di Puttu Codinu a Villanova Monteleone, Monte Siseri / S’Incantu a Putifigari, Mesu e Montes a Ossi, Su Crucifissu Mannu a Porto Torres, e le domus de janas dell’Orto del Beneficio Parrocchiale a Sennori. Si aggiungono la Roccia dell’Elefante a Castelsardo, il Parco dei Petroglifi a Cheremule, le necropoli di Sant’Andrea Priu e Sa Pala Larga a Bonorva, Los Forrighesos ad Anela, Ispiluncas a Sedilo, Mandras / Mrandas ad Ardauli, Brodu a Oniferi e Istevene a Mamoiada. Chiudono l’elenco il Parco Archeologico di Pranu Mutteddu a Goni e la necropoli di Montessu a Villaperuccio.

Un’eredità da trasmettere
«È un traguardo storico che rafforza il senso di appartenenza delle nostre comunità e apre nuove opportunità di crescita: dallo sviluppo di un turismo culturale sostenibile alla creazione di occupazione, fino alla valorizzazione dei territori più interni e delle giovani energie locali. Con la loro diffusione capillare e la ricchezza simbolica di molti siti decorati – prosegue la presidente Todde – le domus de janas testimoniano un’identità culturale profonda, oggi finalmente riconosciuta a livello internazionale», ha commentato Alessandra Todde, presidente della Regione Sardegna. La Regione ha già previsto un finanziamento di 15 milioni di euro per interventi di valorizzazione, accessibilità e sicurezza dei siti. Anche l’assessora ai Beni Culturali, Ilaria Portas, ha definito le domus de janas «Una testimonianza di valore inestimabile della Sardegna preistorica», evocando la recente presentazione del sito all’Esposizione Universale di Osaka.
Per Gianmarco Mazzi, Sottosegretario alla Cultura con delega all’UNESCO, l’ingresso delle domus nella lista mondiale rappresenta un tassello fondamentale della narrazione archeologica italiana: «Una candidatura al femminile, ancora viva nel patrimonio antropologico della Sardegna, che mantiene i tratti del sogno, della continuità con gli antichi popoli che abitarono l’isola sin dall’epoca preistorica».















Le domus de janas di Genna Salixi non sono a Ruinas ma a Villa Sant’Antonio. MI pare proprio un grossolano errore visto l’Illustre prof. Lilliu ed altri importanti archeologi le hanno situate sempre in agro di Villa Sant’Antonio o Sant’Antonio Ruinas fin quasi alla fine dello scorso secolo. Distinti saluti