11 giugno 2005

Ma a Venezia il Leone non ruggisce

 
Le giurie si sono pronunciate. Assegnando il riconoscimento del Leone d'Oro per la miglior partecipazione nazionale alla Francia. Una scelta significativa, una presa di posizione che è difficile comprendere. Che mette in ballo una questione come quella del ruolo della Biennale di Venezia...

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A COSA SERVE? E’ questione di ruolo. Ovvero occorre discutere sul ruolo di un evento come la Biennale di Venezia in rapporto alla attuale produzione artistica internazionale. E discutere sia sul ruolo che ha di per se stessa, sia rispetto alle altre grandi manifestazioni simili che si svolgono in tutto il mondo.
A nostro avvisio il compito -in marketing si direbbe ‘il posizionamento’- della Biennale di Venezia dovrebbe essere quello di presentare, proporre, offrire ogni biennio ad un pubblico il più possibile ampio (e comunque irraggiungibile dalle grandi mostre museali, Tate Modern esclusa) ciò che di più interessante nei due anni precedenti è stato fatto nel mondo dell’arte. Non si sta affermando, sia chiaro, che la Biennale debba invitare solo giovani promesse o talenti appena sfornati da Brera o dalla St. Martin School. Si sta dicendo più banalmente che la Biennale dovrebbe offrire una platea globale e onnicomprensiva alle immagini ed alle istanze più signficative dei due anni che l’hanno preceduta. Insomma la Biennale dovrebbe fare il punto. E dovrebbe consegnare alla storia ciò che di meglio è stato fatto.

AMARO IN BOCCA . Prendendo quanto detto come postulato, non può che risultare anomalo il comportamento di alcune nazioni partecipanti. E non possono che risultarne culturalmente incomprensibili le scelte. Lasciando da parte le due grandi mostre internazionali (dove soprattutto Rosa Martinez ha effettivamente tentato di operare con l’attitudine che, come abbiamo descritto, ci sembra la più rispettosa del ruolo della Biennale), si nota infatti a Venezia un singolare atteggiamento dei grandi Paesi.
ED RUSCHA
I GRANDI NON RISCHIANO. Solo la Germania (con l’ottimo Tino Shegal ) si è chiamata fuori da una tendenza che ha visto Spagna, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti (e sono questi, inutile negarlo, i paesi che ‘fanno’ la Biennale) portare in laguna artisti storicizzati non da cinque, non da dieci, ma da venti, da trenta o da quaranta anni. Ma seriamente i commissari incaricati dai governi statunitense o britannico pensano che gli operatori dell’arte internazionale o i visitatori più attenti ed informati vengano da ogni parte del pianeta sino a Venezia per vedere delle -seppur ben allestite- mostre monografiche di Ed Ruscha e di Gilbert & George?. E’ questo ciò che si chiede ad un evento come la Biennale di Venezia? Realmente in Spagna, negli ultimi due anni, l’artista che si è messo più in luce, che ha incrementanto in maniera più decisiva la sua ricerca, che ha dato lustro alla produzione artistica iberica è il sessantatreenne  Antoni Muntadas? E’ corretto che una città come Londra -attualmente capitale mondiale del contemporaneo- comunichi ai 300mila visitatori previsti per la Biennale del 2005 che niente di più nuovo e attuale c’è in città se non una coppia di maestri grandissimi già trent’anni fa? E perché gli Stati Uniti hanno scambiato il loro padiglione ai Giardini -che dovrebbero essere, come abbiamo detto, la vetrina biennale delle novità- per un luogo dove allestire omaggi a pittori nati nel 1937?
ANTONI MUNTADAS
SCELTE DA INDIRIZZARE . Ripetiamo: è un problema di ruolo e di posizionamento. Se la Biennale vuole essere, come è nel suo dna, una vetrina delle ricerche più innovative dei due anni che la precedono, non può considerare accettabili questo tipo di partecipazioni. E la direzione artistica dovrebbe indirizzare le scelte dei commissari nazionali secondo criteri ben precisi: alla Biennale devono essere invitati artisti -giovani o vecchi non è improtante- che si siano distinti per produzione, ricerca, influenza sui colleghi, ruolo internazionale, innovazione del lavoro.

IL COLMO DEI COLMI. Ma per comprendere come la pensi in proposito la giuria della kermesse veneziana, guardiamo i Leoni d’Oro appena assegnati. Quello alla carriera è stato appannaggio -niente da dire- di Barbara Kruger. Il riconoscimento per la miglior partecipazione nazionale, invece, va alla Francia presente con Annette Messager. Sessanta primavere l’americana, sessantadue la francese. E quest’anno non poteva che andare così…

[exibart]

9 Commenti

  1. Allora, quando volete, sapete fare (o pubblicare) una critica interessante. Anche se non mi pare sia sulla linea solita della “direzione” exibartiana.
    Un grazie al “grande” lavoro dei “grandi” collaboratori!

  2. E poi dicono che il mondo è dei giovani…sono totalmente d’accordo con l’autore dell’articolo, penso che la Biennale sia un’istituzione anomala sin dalla sua fondazione; è nata con dei precisi obiettivi, però alla fine i curatori-direttori di turno l’hanno sempre fatta da padroni sfornando spesso panorami assolutamente conservatori (le stesse mostre degli impressionisti, quando ormai questi erano più che datati e l’avanguardia era rappresentata da ben altra compagine, non convincevano e stentavano a darne informazione in Italia). Dunque non è un problema d’oggi, ma è giusto che la biennale riesca almeno in futuro ad assolvere al compito di mostra “contemporanea”, magari anche lasciando qualche spazio a piccole retrospettive storiche, ma decisamente ampliando il progetto del padiglione con l’arte giovane italiana, quello si una bella idea del 2003, vedremo quest’anno.

  3. I premi si danno a chi riesce a comunicare qualcosa se possibile in forma nuova ma comunque che comunichi qualcosa e non erano in tanti………

  4. signori, quante volte ve lo debbo spiegare che gli articoli non firmati sono da considerarsi -come in ogni giornale- diretta emanazione della direzione, anzi del direttore in prima persona…

  5. Mi permetto di dissentire con l’autore dell’articolo, per quanto riguarda le partecipazioni nazionali penso che i singoli paesi siano liberi di fare quello che credono, in fondo Freud direbbe che se l’America si sente rappresentata da Ruscha è un problema suo (ottimo artista per l’amor di Dio, solo che dimostra che il sogno americano è a corto di fiato e di idee)…la Germania ha convocato Littbarsky per i mondiali anche quando non stava più in piedi…piuttosto insisterei sul fatto che all’Arsenale non vengano esposti lavori già visti in musei o comunque prima della Biennale precedente, vedi il caso di Mariko Mori, lavoro stranoto del 2002 o Hatsushiba, presente già al Macro e in innumerevolie fiere.

  6. direbbe mia nonna (born 1915, piazza santa maria): “aho, gallina vecchia fa buon brodo… mo’ faccio un bel padiglione pure io: hai visto mai!”

  7. quella di venezia è la più antica biennale al mondo, dunque la riflessione in atto è di grande importanza. una tale manifestazione non può limitarsi a fare il punto delle cose; il ruolo del curare (per non dire quello del critico) va ben al di la dell’ essere un’attento osservatore su ciò che di meglio è avvenuto negli ultimi due anni nel panorama delle arti visive. serve essere franchi, serve dire che oggi il livello dei curatori è mediocre, e le maggiori delusioni ce le regalano proprio quegli operatori che sulla scorta di ottimi curriculum o dal pulpito di grandi enti museali non hanno la professionalità , dunque la capacità, di gestire un’evento come quello che si svolge in laguna. scegliere dei commissari nazionali non è un’operazione neutra, ne una delega in bianco. scegliere è operare una partizione, prendere delle decisioni e motivare il proprio punto di vista. ma per fare questo serve fibra, idee chiare e una linea critica che le due “curadore” sono state ben lontane dall’avere, prede facili di una mediaggine genericista. Rosa Martinez e Maria Decoral fanno parte di una generazione che sa di non dover scontentare nessuno, potendosi permettere la delusione del pubblico. i professionisti scarseggiano, ma , cito alcuni esempi, se si fosse interpellato un cerizza, avrebbe coerentemente dato una lettura minimal-concettuale,ma non generica. idem dicasi per un perez, il quale avrebbe sfornato un’edizione barocco-coloristica, ma non qualunquista, o l’ottima petresin ci avrebbe dato una lettura sociale, ma non sensazionalistica. tutto, forse, si potrebbe risolvere con una vecchia, quanto spuntata, frase:”largo ai giovani”…croff nel 2007 c’illuminerà d’immenso con un padiglione italia made by giannelli… io, modesto ed inperfetto osservatore,dico: non dovrebbe essere storr a decidere una cosa del genere?…ma poi mi rispondo: sì, ma chi l’ha visto storr in laguna? vero grande desaparecido…

  8. Il premio alla carriera assegnato ad una artista più giovane di quella che ha vinto il Leone d’Oro per il padiglione? Il colmo dei colmi perdavvero!!!

  9. beh, cotifava, se è per questo anche Buttiglione ha cominciato a dire come sarà e come non sarà la Biennale 2007. E, se permetti, questo è anche peggio. Ci manca solo che dica la sua anche papa Mazinger e stiamo a posto.

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