29 agosto 2007

biennale_padiglioni The Commonwealth

 
Gran Bretagna, Usa, Australia e Canada. Abbiamo riunito i padiglioni anglosassoni presenti alla Biennale di Venezia. Per analizzarne in parallelo le proposte. E per decretare il vincitore dell’annoso match Usa-Uk...

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USA – Gran Bretagna 1-0. Si può sintetizzare così l’esito dell’inevitabile confronto tra i due grandi Paesi artistici anglosassoni, confinato all’interno dei Giardini della Biennale.
Delude infatti l’inglese Tracey Emin, nel tentativo di ricostruire un’identità ‘pittorica’ –e quasi accademica, verrebbe da dire- dopo gli eccessi anni Novanta a base di letti da suicida e confessioni osé. La mostra presenta quadri con i soliti interventi di cucito, più discreti del solito per la verità, ed installazioni di legno: nel complesso, una prova senza infamia e senza lode.
Convincente invece, nel complesso, la celebrazione postuma di Felix Gonzales-Torres, unico artista chiamato da morto a rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, insieme a Robert Smithson (1982). Inevitabili gli sdilinquimenti dell’agiografia funerea, visibili soprattutto nella scelta delle due enormi vasche in marmo di Carrara che accolgono pomposamente gli spettatori all’ingresso del Padiglione. Non potevano mancare, naturalmente, le onnipresenti liquirizie di Untitled (Public Opinion).
D’altra parte, se la distribuzione gratuita dei manifesti (Memorial Day Weekend e Veterans Day Sale) appare non più di una semplice trovata, alcuni pezzi, come i bellissimi Untitled – Republican Years (1992) – in cui l’artista raggruppa eventi, modelli e date chiave nella recente storia americana -, o come la serie di fotografie in bianco e nero dedicate alle varie definizioni e ‘versioni’ di Franklin Delano Roosvelt riscattano l’insieme della mostra personale.
Tracey Emin, Veduta del Padiglione Gran Bretagna
Passando all’Australia, i tre artisti invitati sono distribuiti in sedi distinte: Susan Norrie a Palazzo Giustinian Lolin, Daniel von Sturmer nel padiglione dei Giardini e Callum Morton a Cà Zenobio.
Susan Norrie, con HAVOC, propone una videoinstallazione sulla resistenza ed il coraggio di un intero popolo di fronte ad un disastro climatico, in perfetta – e furbetta – consonanza con l’Al Gore del film-documentario Una scomoda verità (2006). La città di Porong (Giava Est) è invasa dal fango, e gli abitanti si rivolgono alla spiritualità o alla… musica punk, per resistere allo sconforto ed alla prostrazione. Daniel Von Sturmer, invece, espone The Object of Things, installazione multimediale a base di video e oggetti. Nonostante l’intento neo-pittorico (acrilici e diapositive, plastilina blu e acetato colorato) e riflessivo, l’insieme appare un po’ confuso e non sufficientemente organico, dissolto com’è tra ispirazioni tardomoderniste e tentazioni postmediali. Molto più interessante e accattivante è, indubbiamente, il lavoro presentato da Callum Morton. Il cortile di Palazzo Zenobio è occupato da un raffinato esercizio site-specific, dall’ironico titolo Valhalla: una profonda e non banale immagine sul concetto di ‘rovina’ che, sempre centrale nella storia culturale dell’Occidente, ha oggi assunto nuovi e perturbanti significati, carichi di minaccia e senso di colpa. La ricostruzione in chiave di fiction della casa d’infanzia, costruita dal padre architetto à la Louis Kahn e oggi distrutta, ha perciò un valore di risarcimento e di ricomposizione affettiva, emozionale: un’operazione molto diversa da quella di Rachel Whiteread, la prima artista che può venire in mente per associazione.
David Altmejd, The Index, 2007 - © David Altmejd - Photo by Ellen Page Wilson
Infine, il Canada invita David Altmejd, attraverso un concorso nazionale. L’opera consiste in due installazioni complementari e parallele, sul tema degli uccelli e del rapporto tra umano e animale. Legno, ferro e vetro compongono l’ambiente (The Index) in cui abitano uccelli e scoiattoli, costruendo un equilibrio interno che è al tempo stesso materiale e simbolico. The Giant 2, ospitato in un albero non lontano, fa da pendant all’immaginaria uccelliera: il gigante che guarda è al tempo stesso un corpo umanoide ed un habitat ideale per gli animali, come in una fiaba infantile o in un racconto post-human in chiave ambientalista.

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christian caliandro

[exibart]


1 commento

  1. concordo su termini paesi ‘anglossassoni’ forse per la lingua principlare,l’inglese. ma arrivare a dire che America addesso fa parte del ‘Commonweath’, insomma,non ci siamo……se vede la lista dei paesi del commonwealth, vedra’ altri che facevano parte,invece ,come, per esempio, Singapore….

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