06 settembre 2019

Cinema: Venezia si conferma la platea più affascinante e autorevole nel mondo

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Al Festival del Cinema convince la narrazione famigliare di "Gloria Mundi", ma non la storia della diaspora di Marhoul né il Portogallo di Tiago Guedes

Gloria Mundi, il cast

In concorso oggi Gloria Mundi, di Robert Guédiguian, uno dei più politici (e marxisti) registi francesi. Girato nella “sua” Marsiglia operaia, dove da sempre ambienta i suoi film, con i soliti attori che li interpretano e che sono diventati, se esistesse, una specie di “compagnia cinematografica”: Arianne AscarideJean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan, tutti, comme d’habitude per loro, molto bravi.

Daniel (Meylan) ha passato vent’anni in galera per una rissa finita male (la ex moglie dice per difendere un amico), e quando finisce di scontare la sua pena va a conoscere la nipotina Gloria, nata da poco da sua figlia Mathilda, che è stata cresciuta dal secondo marito di sua madre Sylvie (Ascaride), l’autista di autobus Richard (Darroussin). Sylvie fa la donna delle pulizie di notte in ospedale, per guadagnare di più, lui esce la mattina e, come molti s’incrociano per troppo poco tempo, a parte i pranzi domenicali che Sylvie fa per tenere unita e viva la sua amata (con discrezione) famiglia. Gente come tanta, in quella Marsiglia del porto operaio, in quel ceto sociale che una volta si sarebbe chiamato proletariato, che lavora sodo con dignità e mantiene le spalle forti. Protagonista una famiglia che, malgrado le difficoltà economiche e culturali, si aiuta e si supporta con generosità (i genitori – nonni). Nuovi precari, abbastanza messi male, i neo genitori, ambiziosi e senza troppi scrupoli la sorella di Mathilda, Aurore e suo marito Bruno, che reputano i primi inutili e perdenti (come nelle nuove generazioni dell’odierno proletariato capita sempre più spesso).

Come spesso nelle le vite della povera gente, anche nel film succede a ognuno qualcosa di banale, che gli fa perdere o ridurre il lavoro insieme alle misere entrate per sostenersi e, questo, porta a un complicarsi delle relazioni tra loro. Mentre i genitori, compreso l’ex galeotto, reagiscono con coraggio, lucidità, generosità e concretezza e si mettono a disposizione come possono, le due sorelle, opposte nel modo di vivere, non si aiutano.

Gloria Mundi, frame dal lungometraggio
Gloria Mundi, frame dal lungometraggio

Il capitalismo ha vinto la battaglia delle idee – dichiara in conferenza stampa Guédiguian – la legge dell’egoismo individuale ha spazzato via le risposte collettive e solidali. Gli schiavi prendono a modello i discorsi dei padroni” e questa riflessione dell’autore, aiuta a spiegare l’atteggiamento molto diverso di persone di due generazioni differenti, nell’ennesimo film in questa Mostra che parla di relazione genitori – figli e collocazione sociale, dove sono sempre i “vecchi” a uscirne con più dignità e valori acquisiti.

Il regista Tiago Guedes, portoghese classe 1971, è un esordiente nel cinema, anche se ha una lunga esperienza teatrale e televisiva, che, in concorso a Venezia, presenta il suo primo lungometraggio, A Herdade, una saga familiare che attraversa la storia del Portogallo dagli anni ’40 a oggi. Nella fattoria di un grande proprietario terriero lungo il fiume Tago, il capo famiglia è una figura autoreferenziale e carismatica, diventata molto dura dopo un trauma subito da piccolo, che tiene sotto controllo tutta la gestione della campagna, della fattoria, dei contadini che ci lavorano, dei servitori che vi abitano, delle loro idee politiche (ma su queste sembrerebbe più illuminato), deludendo nei rapporti umani e rendendo infelici moglie e figli (e naturalmente abusando della cameriera di casa). Il film subisce decisamente il suo ritmo troppo lento e la durata eccessiva (164 minuti), in un narrato troppo diluito e prevedibile, unito a uno stile scontato, facile e monotono, specialmente per un festival, e non convince.

C’è stata un’altra pellicola in concorso di 3 ore anche ieri (169 minuti, per la precisione),The Painted Bird, di Vaclàv Marhoul, un film che la maggior parte del pubblico (quello che ha resistito in sala senza scappare a gambe levate) ha trovato troppo violento, lungo e tristissimo. Immagini ben curate, ma soprattutto sature di una crudeltà che rasenta la misantropia allo stato puro. Molti tra il pubblico hanno infilato la porta all’ennesima violenza su un povero bambino ebreo che scappa errante per la foresta e al quale viene usata ogni forma di violenza da tutti quelli che incontra. Un’esperienza di visione che non auguro, per un film estenuante e spesso indigeribile, sadico, che non è piaciuto affatto quasi a nessuno.

Domani, venerdì, è l’ultima giornata del concorso, poi sabato si premia. Quest’anno senz’altro si è presentato un insieme di buoni film, alcuni molto belli, certi un po’ troppo facili per questi colti schermi, ma che hanno portato un record assoluto di presenze in sala e nelle salette dedicate alle trattative tra le case di produzione e di distribuzione. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si conferma, ancora una volta, la più qualificata, affascinante e autorevole nel mondo.

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