09 maggio 2020

I visionari censurati del cinema italiano

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Alcuni visionari registi negli anni '60 e '70, in Italia, aveva immaginato non solo la pandemia, ma anche raccontato la distopica relazione tra libertà e dittatura che oggi ci appare quantomai attuale

I cannibali, di Liliana Cavani, still da video
I cannibali, di Liliana Cavani, still da video

Era prevedibile? Era stato previsto? Quando, come, da chi? In queste settimane la sarabanda di premonizioni rispetto alla pandemia da Covid 19 ha raggiunto livelli allarmanti, mettendo tra i primi posti il cinema, con pellicole come Contagion, il film di Steven Soderbergh uscito nel 2011.

Le visionarie pellicole italiane censurate

Dal momento che ho trascorso una parte della quarantena a vedere il grande cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta, ho scoperto con mia sorpresa che situazioni simili erano state già previste, con dovizia di dettagli, in alcune pellicole poco note o addirittura censurate. Il riscontro più inquietante lo ritroviamo nel film in bianco e nero L’ultimo uomo sulla terra, un horror girato a Roma nel 1964 da Ubaldo Ragona, attribuito nella versione americana ad un altro regista, Sidney Salkow.
Tratto dal romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda (1954) e girato per le strade dell’Eur, il film racconta il dramma del medico virologo Robert Morgan, unico sopravvissuto in un mondo dove gli uomini sono stati trasformati in vampiri da un misterioso virus. Barricato nel suo appartamento il medico proietta un filmino Super8 dove si vedono sua moglie e sua figlia prima dell’epidemia: alla domanda della moglie Virge sui pericoli legati ad una possibile esplosione del virus negli Usa, Robert mostra un articolo di giornale che annuncia l’arrivo della pandemia dall’Europa negli Usa.

Nel 1963 ne Il Nuovo Mondo, episodio girato da Jean Luc Godard all’interno del film Ro.Go.Pa.G, un abitante di Parigi racconta di come un’esplosione atomica sopra la città abbia completamente modificato la psicologia e il linguaggio dei parigini, compresa la sua bella e giovane fidanzata Alexandra. Anche qui il bianco e nero riporta il volto di una città sospesa nel tempo e irreale, colpita da qualcosa di indefinibile e malvagio.

Riferimenti più precisi ad un’epidemia in corso si ritrovano all’inizio del film Todo Modo (1976), girato da Elio Petri ed ispirato all’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. In una Roma dov’è in corso un’epidemia, tra strade disinfestate e calcoli quotidiani di morti, un gruppo di personalità del mondo della politica e dell’imprenditoria legati al partito cattolico che detiene il potere si ritrovano in un albergo-bunker sotterraneo, denominato Zafer, nell’arco di tre giorni per compiere esercizi spirituali sotto la guida di Don Gaetano (Marcello Mastroianni) e del Presidente (Gian Maria Volontè), ispirato alla figura di Aldo Moro. Durante le giornate chiusi all’interno del bunker una catena di delitti turba lo svolgimento dei lavori, caratterizzato da intrighi, furti e violenze. La polizia apre un’inchiesta per capire chi sia il mandante, ma è tutto inutile: il film si conclude con la morte di tutti i partecipanti compreso il Presidente, giustiziato nel finale con colpi di pistola. Interessante notare la presenza dell’arte: dopo la morte di Don Gaetano nel suo appartamento si vedono appese due Combustioni di Alberto Burri, delle quali viene dichiarato anche il valore elevato, pari a diverse decine di milioni di lire. Film dal valore profetico, dato che Aldo Moro venne rapito ed ucciso due anni dopo, alla sua uscita sugli schermi venne accolto da feroci polemiche, che costrinsero Sciascia a schierarsi in aperta difesa del regista Petri: “Todo modo è un film pasoliniano, nel senso che il processo che Pasolini voleva e non poté intentare alla classe dirigente democristiana oggi è Petri a farlo. Ed è un processo che suona come un’esecuzione”, dichiarò lo scrittore in un’intervista sulla Repubblica.
Ma questo non bastò ad evitare il sequestro, avvenuto a meno di un mese dall’uscita del film, e la distruzione della copia originale, ritrovata bruciata negli archivi di Cinecittà. Per molti anni il film scomparve: venne ripresentato restaurato nel 2006, in occasione della Festa del Cinema di Roma.

I Cannibali della Fase 2

Se la pandemia accompagna in Todo Modo la dissoluzione della Democrazia Cristiana, il film che invece sembra anticipare le problematiche legate alla Fase 2 della pandemia è I Cannibali, girato da Liliana Cavani nel 1969 e presentato alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes nel 1970. Uno dei film più inquietanti e visionari del cinema italiano, I Cannibali è la trasposizione della tragedia di Antigone nel clima rivoluzionario della Milano post ’68. La città è cosparsa di corpi di migliaia di ribelli, che un governo dittatoriale impedisce di toccare e di seppellire, mentre Antigone, accompagnata da Tiresia, disobbedisce al potere costituito e quindi viene inseguita, torturata e uccisa. Un ritratto impietoso dell’Italia di allora, in pieno clima rivoluzionario, che ripropone in un futuro distopico la questione del rapporto tra libertà e dittatura. Dialoghi quasi assenti, immagini forti e dirette, conflitto aperto ma non dichiarato tra borghesia e giovani militanti: una visione senza tempo che in questi giorni appare di sinistra e inquietante attualità.
Un film “scomodo” e dimenticato, concepito come un unico happening, che testimonia la visione lucida e profetica di una delle più grandi registe italiane.

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