15 maggio 2020

La dittatura può accadere: intervista a Liliana Cavani

di

I Cannibali riflette sui rapporti tra dittatura e libertà. E ricorda nitidamente il presente al quale siamo stati sottoposti. Intervista a Liliana Cavani

Nel 1969 Liliana Cavani gira I Cannibali, la trasposizione della tragedia di Antigone nel clima rivoluzionario della Milano post ’68: un film che riflette sui rapporti tra dittatura e libertà. Per entrare nel cuore di un progetto del genere, che sembra anticipare per certi versi le limitazioni alle quali ci sottopone la pandemia, abbiamo chiesto alla regista di raccontarci la genesi del film.

Mi farebbe piacere sapere da lei qual è l’origine del film I Cannibali?
«Il film nasce come una riflessione sulla dittatura , sempre pronta a scattare seppure sotto forme diverse. Io sono laureata in lettere antiche e quindi conoscevo bene l’Antigone di Sofocle, dove una giovane donna si ribella al potere costituito».

Dove nasce l’idea di ambientare Antigone nella Milano post’ 68?
«Volevo una città moderna, dove si respirasse il clima politico dell’epoca. Non avrebbe avuto senso girarlo tra le rovine della Roma antica, e quindi ho scelto il centro di Milano, intorno a via Manzoni».

Quali sollecitazioni culturali e politiche si ritrovano nel film?
«Il Sessantotto aveva convogliato i desideri non avveratisi dei due dopoguerra. Il mondo giovanile pensava ad una sorta di imminente palingenesi. Del resto io vengo da una famiglia socialista, e avevo fatto un percorso professionale particolare prima di girare I Cannibali».

Lo vuole riassumere?
«Da giovane lavoravo alla Rai dove realizzai un documentario dedicato alla storia del Terzo Reich che venne trasmesso sul secondo canale della Rai, quello culturale. Passai due mesi a visionare materiali girati in diretta con la cinepresa Hardiflex, e vidi cose spaventose, anche sui lager. Poi feci un altro documentario sulle donne nella Resistenza e nel 1966 girai il mio primo film, Francesco d’Assisi, prodotto dalla Rai, dove Francesco era interpretato da Lou Castel. Due anni dopo girai Galileo e infine I Cannibali».

Il film è concepito come una visione, o un happening, dove la musica si sostituisce alle parole. Qual è la funzione della musica in questo film?
«La musica è fondamentale, è un elemento liberatorio. Parla dell’atmosfera del momento, al di là di romanticismi inutili che non mi interessavano. Del resto poco tempo dopo uscì Easy Rider, dove la musica definisce un’epoca».

Lei ha raccontato che durante le riprese molti studenti vi seguivano, e le persone erano convinte che ci fosse la rivoluzione a Milano. Cosa succedeva?
«Molte comparse erano studenti, e i loro amici fermavano il traffico delle strade dove giravamo le scene con i cadaveri a terra. È grazie a loro che si è fatto il film, perché in realtà la persona che doveva chiedere i permessi per girare non li ottenne e scappò».

Quali sono state le reazioni della gente comune durante le riprese?
«Quando le persone uscivano dai portoni e vedevano i corpi a terra li guardavano un secondo e poi li evitavano con grande naturalezza».

Come ha adattato alla figura dell’indovino Tiresia, che aiuta Antigone a infrangere la legge, all’interpretazione di Pierre Clementi?
«Appena lo incontrai capii che era perfetto per la parte. Del resto nei miei film ho scelto attori come Lou Castel, Mickey Rourke e Pierre Clementi: liberi, innocenti, generosi. La loro presenza sul set creava una tensione necessaria per dare vita alla sceneggiatura».

Quando il film uscì nelle sale italiane come fu accolto?
«I Cannibali fu distribuito in poche copie. Del resto non c’erano star popolari, e il soggetto non era dei più facili…».

All’estero invece…
«L’opposto. A Cannes fu presentato nel 1970 alla Quinzaine des realizateurs ed ebbe un grande successo, tanto che a settembre il film venne proiettato al Lincoln Center di New York dove fu applaudito da una platea gremita di giovani… e la Paramount mi propose di distribuirlo negli Stati Uniti ma ad un’unica condizione».

Quale?
«La storia ha dell’incredibile… Mi ricordo che soggiornavo all’hotel Algonquin insieme a Bernardo Bertolucci e il responsabile della Paramount entrò e Bernardo era sicuro che cercasse lui, invece era venuto per me. Mi propose di cambiare gli ultimi 5 minuti del film con un lieto fine, offrendomi 230.000 dollari, che era quasi pari all’intero budget del film…».

E lei cosa fece?
«Non accettai, perché non aveva senso modificare il finale di una tragedia greca. Quando però una volta tornata in Italia lo dissi al produttore Enzo Doria lui si mangiò le mani».

Lei era legata da un’amicizia con Pier Paolo Pasolini: vide I Cannibali?
«Pasolini mi volle conoscere dopo aver visto Francesco. Vide il film e gli piacque molto. Frequentavo anche Alberto Moravia, e anche il suo giudizio fu positivo».

Una storia che può sempre accadere: così lei ha definito i Cannibali. Qual è la relazione con l’attuale pandemia?
«C’è una relazione: ora ci impediscono di ammalarci, non di morire. La più grande relazione del film è con il nazismo, che è una pandemia dello spirito»

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui