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È una Napoli lontana dalle squallide architetture di Scampia, dai vicoli ombrosi e affollati o dagli scorci pittoreschi del Golfo, dalle chiese barocche o dalle catacombe scavate nel tufo. Niente facili clichè per Nostalgia, questo intenso e poetico film di Mario Martone tratto da un romanzo di Ermanno Rea, attraversato dal sorriso levantino di Felice Lasco, un imprenditore edile impersonificato da un Pierfrancesco Savino in stato di grazia, creatura mediterranea che si muove tra Italia ed Egitto, passato e presente, memoria e urgenza. Novello Ulisse, Lasco vive al Cairo dove è sposato con una donna egiziana, e torna in Italia per rivedere la madre Teresa (Aurora Quattrocchi) che vive in una casa popolare del rione Sanità. Lasco la ritrova, fa in tempo a curarsi di lei prima della sua scomparsa, ad accudirla: memorabile la sequenza del figlio che lava la madre nella vasca in un bagno scavato nel tufo, quasi una sorta di ipogeo. L’uomo ritrova i luoghi della sua adolescenza, che ripercorre sfrecciando in moto attraverso antiche strade tra campagne e giardini, piazze e cupole, dove il mare e il golfo non compaiono quasi mai.
Si fa presto viva la malavita che domina il rione, nonostante la resistenza del prete Don Luigi Rega (Francesco De Leva), al quale Lasco chiede notizie del suo amico d’infanzia Oreste Spasiano (Tommaso Ragno), diventato oggi il più temibile e disperato boss del territorio. Come Ettore e Achille, i due uomini si inseguono e alla fine si trovano, per condividere di nuovo il terribile segreto che molti anni prima ha cambiato per sempre la vita di entrambi. È una sorta di cammino a ritroso, una resa dei conti giocata nel cuore di una città che perde i suoi punti di riferimento “pittoreschi” grazie alla fotografia di Paolo Carnera, che trasforma Napoli in una città mediorientale, tra Istanbul ed Amman, Il Cairo e Gerusalemme, Tunisi e Fez.
Nella luce meridiana color del miele i confini spaziali sfumano, il tempo si dilata per diventare tutt’uno con un genius loci epico ma non drammatico. Questo film è un atto d’amore del regista per la dimensione mitica della sua città, della quale riesce a distillare l’essenza migliore e arcaica, la Neapolis greca e mitica, magica e misteriosa, dove anche le persone comuni possono trasformarsi in eroi, in grado di rivolgere il volto bruciato dal sole verso il sole di mezzogiorno, capaci di guardare l’infinito senza bisogno di socchiudere le palpebre.