20 settembre 2020

Un “Notturno” da non perdere

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Al confine tra documentario, docufilm e lungometraggio, "Notturno" è un viaggio in una delle regioni più calde del pianeta girato con attenzione all’estetica delle immagini ma anche alla sensibilità dei contenuti

Notturno, still da film
Notturno, still da film

Il confine tra stati è una linea reale e immaginaria allo stesso tempo. Invisibile ma invalicabile, protegge e racchiude ma spesso causa conflitti, guerre e violenze. L’ultimo film di Gianfranco Rosi Notturno è dedicato ai confini più incandescenti del pianeta all’alba del XXI secolo, tra Iran, Kurdistan, Iraq, Turchia e Siria: una geografia dell’orrore talmente intricata e contraddittoria da non poter essere raccontata.

Notturno, di Gianfranco Rosi
Notturno, di Gianfranco Rosi

Con una coraggiosa intuizione Rosi ha deciso di evitare narrazioni retoriche e sensazionalistiche e colonne sonore fintamente evocative, per puntare solo sulle immagini e sui suoni in presa diretta, in modo da manipolare il meno possibile la narrazione, senza però indicare una geografia precisa ma una condizione emotiva e psicologica: quella di vivere sul confine inteso come luogo di incontro/scontro tra popoli, religioni, caratteri, mentalità. Ed è su quella linea il senso di un’opera che non ha paura di puntare il dito su una realtà terribile senza però l’arroganza o l’ambizione di interpretarla. Rosi fa un passo indietro e lascia alle immagini il compito di catapultare lo spettatore su quei confini, dove soldati in mimetica trascorrono giornate intere osservando un orizzonte devastato (e qui il pensiero corre alle memorabili scene del Deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini, girato nella fortezza iraniana di Arg er Bam, distrutta dal terremoto nel 2003). Luoghi dove tutto è transitorio e mutevole, abitati da esseri umani assuefatti ad un’esistenza dominata dall’emergenza, dal dolore e dalla morte, dove la furia devastatrice della guerra ha distrutto tutto, ma si accanisce ancora su terre dove non splende mai il sole, soffocate da un cielo plumbeo che delinea orizzonti bassi e opprimenti.

Cinque le storie, che si dipanano tra macerie di villaggi e caserme, mezzi blindati e paludi, campi illuminati dai pozzi di petrolio o dai bagliori delle bombe, ospedali psichiatrici e scuole materne, dove le poche figure presenti hanno i contorni disfatti dei marinai descritti da Conrad in Cuore di tenebra. Uomini e donne, giovani e anziani assuefatti all’orrore che li circonda , che si muovono in un tempo incerto, in una sorta di territorio magmatico e instabile, dove il tempo sembra essersi bloccato e l’asfalto delle strade si sgretola al passaggio di centinaia di veicoli pesanti. Particolarmente forti e toccanti le immagini dei bambini scampati alla furia devastante dell’Isis, che descrivono alla loro maestra gli orrori dei quali sono stati testimoni, aiutati da una serie di disegni molto espliciti. Altrettanto toccanti i primi piani sul volto di Alì, il ragazzino che dorme sul divano di un’unica stanza dove è assiepata una intera famiglia ed esce all’alba per vendersi come cane da riporto per i cacciatori di uccellini per 5 dollari al giorno. Forse l’unico episodio più forzato riguarda 5 malati rinchiusi in un ospedale psichiatrico che vengono invitati dal responsabile del reparto a recitare una serie di testi politici per uno spettacolo da mettere in scena nel teatrino dell’ospedale. Per il resto Notturno è un film che fa riflettere, situato nel confine sempre più labile tra documentario, docufilm e lungometraggio vero e proprio. Un viaggio, da vedere sul grande schermo, in una delle regioni più calde del pianeta girato con attenzione all’estetica delle immagini ma anche alla sensibilità dei contenuti, con un linguaggio sobrio e rigoroso non comune alle nostre latitudini. Forse non a tutti piacerà, ma è da non perdere.

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