20 ottobre 2020

Al festival Ammutinamenti di Ravenna, prove di giovane danza d’autore

di

Coreografi esordienti in dialogo con danzatori di formazione accademica: le performance di Ammutinamenti, il Festival di Danza Urbana e d’Autore di Ravenna

Sobotta, the square di Nicola Simone Cisternino, ph. Dario Bonazza

All’interno dell’annuale Ammutinamenti Festival di Danza Urbana e d’Autore di Ravenna, vengono ospitate alcune azioni del Network Anticorpi XL, tra cui la “Vetrina della Giovane danza d’Autore”, specchio e termometro del trend del momento di quel che muove i nostri creativi in fieri, coreografi esordienti alla prova autoriale. L’interesse è anche sugli esiti delle residenze artistiche di “Prove d’autore XL” che mette in dialogo giovani coreografi e coreografe con gli ensemble di danzatori di formazione accademica. A essere scelti la scorsa edizione per la creazione di quest’anno sono stati la coppia Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi, e Giselda Ranieri.

Esito di dieci giorni di lavoro in residenza con la MMContemporary Dance Company, Juliet, Juliet, Juliet di Panzetti e Ticconi, verte su un’idea originale (come lo sono tutti i lavori dell’ingegnosa coppia di danzatori e coreografi). Prendono spunto dal Romeo e Giulietta scespiriano per indagare il mondo dell’opera lirica nelle sue dinamiche plastiche, quei gesti enfatici, melodrammatici che la caratterizzano. Immersi in una costante semioscurità l’ingresso in diagonale e la passerella di entrate e uscite che ritma l’immateriale presenza della bramata amante, è scandito dal lento avanzare di uno, poi due, poi tre, e altri singoli performer che accennano a pose di braccia in alto, seguite da un crescendo di gesti invocanti, di mani sul viso, sul petto, di ginocchia a terra, e rialzati. “La mancanza – di Giulietta – diventa vezzo espressivo che orna e abita le dimore del narciso” spiegano gli autori. Lunghi guanti rossi si aggiungono alle pose e passi di balletto classico appena accennati subito contenuti. Le azioni si sospendono, si cristallizzano nella rappresentazione del pathos, diventano sempre più danzate con scatti e ritmi che s’innestano su un tessuto sonoro di arie d’opera, di voci acute prolungate, contaminate dalla composizione musicale di Sergio Salomone.

Juliet, Juliet, Panzetti e Ticconi, ph. Dario Bonazza

Giselda Ranieri ha lavorato con quattro giovanissimi danzatori del CAP, Corso di Avviamento Professionale del Balletto di Roma firmando un pezzo dal titolo Glitch: here we go again. La coreografa attiva un dispositivo giocoso e ironico, inscenando, come in una chiacchierata tra amici, una serie di piccole sequenze tra i componenti del quartetto che si presentano chi con una piccola chitarra, chi indossando un tutù, chi con una cuffia ascoltando musica. Nel giocare a nasconderla rimbalzandosela, da lì iniziano a trasmettersi anche una serie di gesti, movimenti, parole, dinamiche trasformati in danza. Ciascuno esegue la sua, il proprio racconto, uscendo dal gruppo e ritornandovi. Procedendo coralmente, con un cambio di atmosfera e di musica, rotolando a terra come onde approdano in un altro luogo attivando, nel linguaggio corporeo, balli swing, smorfie facciali, e utilizzo anche della voce finalizzata a emettere suoni, a farsi musicale. Dentro questo sbarazzino meccanismo di trasmissione di movimento dell’uno all’altro, tra stop motion, frammentazione, loop, velocità di esecuzione e ritmo da mantenere richiesto agli interpreti, la coreografia tradisce una irrisolta composizione, con l’effetto più vicino a un lavoro laboratoriale.

Ricca la Vetrina dell’ultima giornata che ha visto in scena diversi studi. Sobotta – the square di Nicola Simone Cisternino si basa su una ricerca delle similitudini tra le strutture anatomiche, la musica e lo spazio, sollecitate dall’emotività, esperite dentro un quadrato bianco. Il lavoro fa riferimento alla teoria di MacLeen di una tripla ripartizione del sistema limbico del cervello. I due danzatori, Sara Sguotti e Jari Boldrini, ricevono da una voce fuori campo, tramite consolle, indicazioni sulle azioni e i movimenti da attivare. “Aggiungi, ignora, prova, aumenta, tira, espressione, aiuto, vicini, complementare, aggiungi gesto, ecc”. Azioni che, con cambi di luci, mutano anche bruscamente insieme alle partiture sonore che includono generi musicali diversi – rap, melodico, pop, techno, disco -. Ci sono urla, pianti, risa, lotte, abbracci, rotolamenti, rotazioni di teste, battiti di mani, spinte, prese in spalla, cadute, camminamenti, braccia che sventolano, moine. Un mix emozionale che, strutturalmente, andrebbe meglio amalgamato e compattato per evitare dispersione anche concettuale.

Bianco e nero è il costume che li nasconde, volto coperto, tuta e giacca che, tolti, li riveleranno sorridenti, liberi da una costrizione. In Jenga, indagati da uno spot luminoso, Lia Claudia Latini e Giovanni Leonarduzzi si muovono come gemelli siamesi uniti alle gambe, strisciando e rotolando come attirati da un magnetismo terrestre. S’intrecciano in un contorsionismo che crea inusuali forme di uno stato tribale, per, infine, staccarsi, guardarsi, iniziare un nuovo intreccio su una musica liquida come lo sono i loro movimenti che dalla dinamica hip hop muta in posture più contemporanee.

Stretching one’s arms again, di Lucrezia Gabrieli, ph. Dario Bonazza

È un piacere per gli occhi e le orecchie, il duetto Stretching one’s arms again (produzione Anghiari Dance Hub/Versiliadanza) di Lucrezia Gabrieli in scena con Sofia Magnani. Serenade di Mozart e Untitled (Blue, Yellow, Green on Red) del pittore Rothko i due riferimenti di una coreografia di linee, di tecnica, e di contenuto, costruita sulla leggerezza e musicalità compositiva dello scambio tra le due danzatrici che giocano con l’equilibrio, il ritmo, la vicinanza e il trascolorare cromatico che le scolpisce in un controluce da silhouette nel finale. Con gesti ampi, veloci, morbidi, svolazzanti come note di una partitura disegnata nell’aria, con attimi di pausa e di silenzio allo spegnersi e riaccendersi della musica, la coppia, dal costume verde e azzurro sfumati, esplora gioiosamente nuove possibilità di movimento usando le classiche scarpette a punta.

Il bellissimo Another with you di Matteo Vignali e Noemi dalla Vecchia inizia nel buio totale e con delle voci sullo sfondo. Narra di un rapporto di coppia nel tempo, tra smarrimento, complicità, urti che allontanano e che attraggono, dove l’una muove l’altro sfiorandosi, per prendersi e atterrarsi e tornare ad unirsi e infine lasciarsi. Di differente formazione – lui dalla street dance, lei dal contemporaneo – i due intensi interpreti muovono una scrittura tersa, di dettagli, una danza che sprigiona poesia.

È penalizzata da una lentezza estenuante nel prendere forma la performance Granito#estratto del Collettivo Munerude, la cui interessante ricerca si focalizza sulla corruzione della materia nel tempo. In una costante penombra la trasformazione dei tre corpi femminili seminudi, di spalle, dalle lunghe chiome che le coprono, avviene assumendo forme di massa granitica, di piante, di animali, di insetti inquietanti. Da un unico organismo pulsante quale è all’inizio la massa, i tre corpi uniti si staccano magmaticamente disgregandosi e ricomponendosi, approdando infine alla posizione eretta e alla luce. Sono comunque bravissime Francesca Antonino, Silvia Berti, Laura Chieffo, per fisicità e precisione nel dare respiro al processo di decomposizione, mutazione e resistenza della materia corporea.

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