01 marzo 2022

Maschere nel balletto, fra tradizione, riscoperte e nuove invenzioni

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Fredy Franzutti e la sua compagnia Balletto del Sud presentano “Le maschere”, una ricerca filologica sulla storia e l'attualità del balletto, in forma di spettacolo, tra Arlecchino e Petruška

Foto di Francesco Sciolti. Carlos Montalvan, Petrushka

È un trionfo di colori, di costumi dalle fogge eleganti e storiche, di maschere variegate. È soprattutto una festa di grande danza. È un viaggio nella bellezza lo spettacolo “Le maschere” (debutto al Teatro Apollo di Lecce, e in tournée) del coreografo Fredy Franzutti che riunisce per la sua compagnia Balletto del Sud una preziosa operazione filologica come raramente se ne vedono. Dalla ricerca accurata di bozzetti originali dei costumi, alla ricostruzione coreografica e alla scelta di brani rappresentativi del repertorio accademico e non solo, egli mette in scena un espressivo condensato di storia del balletto fra Ottocento e Novecento attraverso il tema della maschera.

Fra tradizione e riscoperte, evocazioni e nuove invenzioni a firma di Franzutti, si spazia nella ricca tradizione italiana ed europea regalandoci anche pagine dimenticate o sconosciute ai più: come Harlequinade di Marius Petipa, The Fairy Doll dei fratelli Nikolaj e Sergej Legat, la Cachucha spagnola di Jean Coralli, creato nel 1836 per la grande Fanny Elssler che ne fece il suo insuperato cavallo di battaglia e il Carnaval creato nel 1910, da Michel Fokine, sull’omonima suite per pianoforte Opera 9 di Robert Schumann per Tamara Karsavina e Leonid Leontiev. Il breve atto unico ebbe fama mondiale, pochi mesi dopo il debutto, grazie alla riproposizione che ne fecero, a Berlino, i Ballets Russes di Diaghilev con nuove scenografie e costumi di Léon Bakst e con Lydia Lopokova, Colombina, e il “divino” Vaslav Nijinskij nei panni multicolore di Arlecchino.

The Fairy Doll, Nuria Salado Fustè, Christopher Vazquez e Joao Soledade. Foto di Francesco Sciolti

Pas de deux, pas des trois, assoli, sequenze corali eseguite dai bravissimi ballerini della compagnia – tra cui Nuria Salado Fustè, Matias Iaconianni, Carlos Montalván, Ovidiu Chitanu, Christopher Vazquez, Alice Leoncini, Eva Colomina – si alternano, presentati in forma di gala dall’attore Andrea Sirianni, con un rimando di echi e suggestioni dove si incontrano, nel concatenarsi delle singole creazioni, Pulcinella e Pierrot, Arlecchino e Colombina, Florino e Rosaura, il burattino Petruška, lo sfrenato Can Can dall’Orfeo all’inferno, il gran valzer Masquarade del poeta Mikhail Lermontov, fino a Violetta de La Traviata, melodramma che si conclude in una notte di Carnevale. E di conseguenza i grandi coreografi e artisti dell’epoca, nel brillare delle musiche di Mozart, Rossini, Pugni, Schumann, Offenbach, Brahms, Drigo, Bayer, Stravinskij, Khachaturian, alcune delle quali eseguite dal vivo dai bravi pianisti Sara Metafune e Alberto Manzo, dal clarinettista Mino Tafuro e con brani d’opera cantati dal soprano di coloratura Silvia Rosato Franchini.

In questo viaggio in maschera l’intera compagnia darà prova di grande coralità danzando sulle note di un capolavoro della musica realista socialista russa, ovvero il valzer dalla Suite in 5 movimenti Masquarade che nel 1941 il georgiano Aram Khaciaturian compose ricreando le cupe atmosfere di un vorticoso e misterioso ballo in maschera.

Alice Leoncini e Robert Chacon in “Carnaval”. Foto di Francesco Sciolti

Bastano poi, in chiusura di programma, i pochi minuti della “Scena della camera” del balletto Petruška, musicato da Stravinskij e coreografato da Fokine (prima rappresentazione a Parigi nel 1911), per catapultarci improvvisamente nell’esotismo di una Russia perduta su cui aleggia il mito e il folklore che rinasce accanto un passo di danza codificato. Al prezioso fondale dipinto – evocazione del sipario creato nel 1914 dai disegni di Alexander Golovindel per il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo -, con le quinte laterali dai colori rosso e giallo-ocra che ha accolto le dodici coreografie de Le maschere, si sostituisce ora un altro scenario che riprende i disegni e i colori dell’originale del balletto di Fokine. La storia dell’infelice marionetta da baraccone innamorata del fantoccio di una ballerina, che prova sentimenti e ama, ma soccombe contrastato dal terribile manichino del Moro, è qui concentrata nella scena della camera quando al ricordo della ballerina, preso da grande gioia Petruška si rianima da terra e comincia a saltare e a gesticolare.

Ovidiu Chitanu in “Can Can” di Offenbach. Foto di Francesco Sciolti

È un assolo cui dà intensità espressiva e passionale il ballerino Carlos Montalván, maschera perfetta con trucco ripreso da una foto dell’originale di Nijinskij e costume da Alexandre Benois, perfettamente ricostruito. Il vigoroso gesticolare del danzatore cubano pienamente immedesimato, i suoi salti con le rigide braccia in aria, il sorriso clownesco dal calore melanconico, fanno erompere in lui la rabbia solitaria, la gioia illusoria e la disperazione frenetica quasi espressionista del burattino ribelle al giogo del padrone-ciarlatano, conferendo al personaggio un’anima. Un’esecuzione fulminante piena di pathos.

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