17 dicembre 2009

essai La storia alternativa dei Bastardi senza gloria

 
Dai “maccaroni kombat” alla critica cinematografica. Quentin Tarantino sempre più trasversale fra i generi. L’ultimo lungometraggio del regista ripercorso attraverso la storia orizzontale delle tipologie filmiche che attraversa...

di

Questo potrebbe essere il mio capolavoro
Aldo Raine

La cifra del nuovo film di Quentin Tarantino è iscritta tutta nello spelling
distorto del titolo: Inglourious Basterds. Un graffio. La pronuncia storpiata – dal tenente
Raine, dallo stile cinematografico, dalle digressioni del racconto – che
modifica la dicitura corretta e, infine, l’oggetto stesso. È l’operazione che
il regista porta avanti sulla Storia novecentesca, e sul suo oggetto principale
di attrazione/repulsione: il nazismo.
Lo strumento principale è, come al solito, la
rivisitazione sapiente dei generi: il maccaroni kombat di Castellari & Co.,
una delle tante filiazioni dello spaghetti-western nostrano, la Seconda guerra
mondiale vista dalla Hollywood più coraggiosa (Quella sporca dozzina, Il grande Uno rosso), lo spy movie e persino, per la
prima volta in maniera esplicita, la critica cinematografica.
L’obiettivo dichiarato è quello di modificare, trasformare
la grande narrazione per eccellenza, quella storica. In questo, Tarantino
sfrutta e piega abilmente uno dei filoni più frequentati dalla fiction recente,
soprattutto letteraria: la storia alternativa (o controfattuale). Il what if, forte di una lunga e autorevole
tradizione culturale, ma introdotto nella contemporaneità dal Philip Dick de L’uomo
nell’alto castello

(The Man in the High Castle, 1962) e dal Norman Spinrad de Il signore della
svastica
(The
Iron Dream
,
1972), è stato infatti sviluppato e approfondito negli ultimi anni da autori
come Harry Turtledove (nei cicli Invasione, 1994-96, Colonizzazione, 1999-2004, e Timeline 191, 1997-2007), Robert Harris (Fatherland, 1992) e Kim Stanley Robinson (The
Years of Rice and Salt
, 2002), fino a diventare uno dei sotto-generi più popolari della
letteratura di consumo.
Anche in Italia – paese generalmente e notoriamente
refrattario a questo filone – abbiamo avuto esempi anche abbastanza
sorprendenti, come L’inattesa piega degli eventi (2008) di Enrico Brizzi, ma non
sono mancate persino prove più “tradizionali” (Conta le stelle, se puoi, 2008, di Elena Loewenthal).
Una scena tratta da Inglourious Basterds di Quentin Tarantino
L’aspetto fondamentale, che salta immediatamente agli
occhi, è che praticamente tutte le narrazioni in questione si concentrano su un
determinato periodo – quello compreso tra le due Guerre – e sul nazifascismo. Dick
immagina un mondo in cui i vincitori sono tedeschi e giapponesi, che
collezionano cimeli americani, mentre l’Adolf Hitler di Spinrad, emigrato negli Stati Uniti negli
anni ‘20, è diventato un illustratore e uno scrittore di fantascienza; gli
alieni di Turtledove arrivano in pieno conflitto mondiale a scompaginare giochi
e alleanze con i loro progetti colonialistici. Il protagonista di Brizzi,
giornalista sportivo in un Impero Fascista del 1960, scopre progressivamente la
natura razzista e repressiva del regime seguendo le partite della Serie Africa;
il Duce della Loewenthal è morto invece nel ‘24, cambiando per sempre la storia
di una famiglia e dell’Italia.
Si tratta dunque di una questione ben più seria di un
gioco scolastico. Il “che cosa sarebbe accaduto se…” è divenuto gradualmente,
cioè, il mezzo attraverso cui scardinare e scandagliare l’interpretazione degli
eventi. Inoltre, il romanzo sembra “supplire” a un deficit di comprensione e di
profondità della storia: le varie versioni alternative compongono e proiettano
un’immagine paradossalmente più fedele all’originale della riproduzione
accademica. La divergenza propone un chiarimento: è una strategia di
negoziazione con la realtà. È come se tutti questi autori si fossero resi
conto, in differenti periodi e contesti socio-culturali, della centralità
assoluta dei totalitarismi e soprattutto della Seconda guerra mondiale (la loro
“soluzione”) nella costruzione e ri-costruzione del mondo contemporaneo, nella
definizione delle sue norme e nell’evoluzione della sua struttura. Cambiare
anche nella finzione quei fatti significa metterli in prospettiva.
Quentin Tarantino
Che cosa fa allora Tarantino in Bastardi senza gloria? Porta la storia alternativa su
un livello ulteriore. Innanzitutto, ambienta Pulp Fiction nella Francia occupata dai
nazisti: è chiaro come questo film, infatti, metta fra parentesi Kill Bill e Death Proof, qualificandoli come
prove-digressioni-deviazioni da un percorso principale che è quello della prima
trilogia. Dialoghi, atmosfere e veri clash culturali al posto dei giochini
cinefili e nostalgici. A questo punto si potrà obiettare: anche la storia
alternativa è una variante della nostalgia. Certo, ma una forma “attiva” di
nostalgia. E scusate se è poco.
I dispositivi narrativi e visivi messi in opera sono al
servizio di un’idea forte: l’immagine del Führer crivellato di colpi e dei
gerarchi che saltano in aria nel cinema in cui si svolge la prima di un
tremendo film di propaganda è di quelle destinate a rimanere a lungo negli
occhi e nella mente.
Primo, perché da una parte e dall’altra della barricata –
Shosanna, Zoller – il cinema è “la prosecuzione della guerra con altri mezzi”, e anche della vita, dal momento
che l’immagine di entrambi proiettata sullo schermo agisce anche dopo la loro
effettiva morte, portando avanti l’opera di distruzione e di vendetta (e qui il
percorso di formazione di Beatrix Kiddo assume un significato cosmico e
rivelatorio). Ma, soprattutto, la medesima relazione che si viene a stabilire
tra il film “assassino” e i suoi spettatori-vittime all’interno di Inglourious
Basterds
e del
cinema parigino si replica nel “nostro” cinema, riverberandosi su di noi
spettatori del 2009 e sulla nostra percezione della realtà.

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e lo Spiegel

christian caliandro


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
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2 Commenti

  1. Tarantino lavora ad un livello assolutamente parificabile all’arte contemporanea. Forse bisognerebbe iniziare a puntellare ed abbattere alcuni muri divisori. Film come questi andrebbero presentati in anteprima alla biennale di venezia (ma non quella del cinema). Sì, lo so si crea un cortocircuito che fa storcere il naso ai benpensanti dell’arte contemporanea…ma a volte storcere il naso serve.

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