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Alberto Biasi – Opere dalla Collezione Prestini
Acquerelli ed altre opere dagli anni Sessanta fino ad oggi
Comunicato stampa
Segnala l'evento
a Franco
Con la mostra di Alberto Biasi ospitata nei locali dello Studio di restauro “Osservatorio d’Opera”, dove negli anni Novanta era aperta la Galleria ’ArteP4, vogliamo ricordare per tutto quello che ci ha insegnato guidandoci sulla strada della conoscenza e dell’amore per l’arte, Franco Prestini. Nel corso della sua vita, Franco ha raccolto con grande passione una vasta collezione composta da un cospicuo gruppo di opere contemporanee. Vi figurano, tra gli altri, artisti quali Mario Sironi, Lucio Fontana, Emilio Vedova, Mario Schifano, Bruno Munari, Andy Warhol… Un nucleo particolare della collezione è rappresentato dalle opere di Albero Biasi, con cui Franco aveva stabilito un rapporto di amicizia che si è consolidato nel corso degli anni. Anche per condividere questa sua passione, nel 1998, volle presentare nella sua Galleria una mostra di acquerelli di Alberto Biasi, che si caratterizzano come un unicum nella produzione dell’artista. A distanza di dieci anni vogliamo riproporre alcuni di quegli acquerelli, insieme ad altre opere dagli anni Sessanta no ad oggi, che costituiscono un piccolo ma signicativo omaggio ad Alberto Biasi, maestro ed amico per Franco e per tutti noi.
Milly, Germano, Simone
Oggi, dopo che si sono prese le distanze dalla Pop Art e i movimenti artistici degli anni sessanta sono stati “riscoperti” e storicizzati, gli si riconosce, insieme al rango di maestro, il merito di aver scritto una pagina di rilievo nella storia dell’arte del Novecento. Biasi è un maestro senza la prosopopea del ruolo. «Negli anni sessanta, – confessa – all’inizio della mia attività artistica, si diceva che i pittori e scultori fossero giovani artisti fino ai quarant’anni e passa, maturassero fino ai sessanta e solo oltre diventassero maestri. E la dizione grandi maestri era riservata a quei rari artisti che superavano gli ottanta oppure ai defunti. Io rifiutavo quella catalogazione perché, così mi sembrava, sottintendeva forme di paternalismo. Ora invece mi sembra credibile e stimolante, ed ostentatamente mi metto le mani in tasca ogni qualvolta qualcuno mi chiama maestro. Purtroppo mi capita sempre più spesso». La memoria della sua vicenda artistica, lunga ormai dieci lustri, si può dire che giace dentro una serie di cartoni impilati in un angolo del suo studio padovano affacciato sul lento scorrere del Bacchiglione, a due passi della chiesa di San Benedetto. Dentro quelle scatole Alberto Biasi ha raccolto il suo archivio, un archivio prezioso per gli studiosi che vengono da ogni parte a consultarlo. Il motivo della mia visita sarebbe di trovare informazioni sulle esposizioni tenute nelle gallerie bresciane e, in particolare, sul suo rapporto con un collezionista scomparso di recente, Franco Prestini, che nel corso degli anni aveva acquistato un cospicuo numero di sue opere. «Il materiale è lì – dice indicando le casse – però io, in questo momento non riesco a trovare più nulla. Il fatto è che è stata da me Lucilla Meloni, una studiosa molto brava che ha pubblicato nel 2004 quel volume sul Gruppo T (Gli Ambienti del Gruppo T: Arte immersiva, arte interattiva). Adesso era interessata al Gruppo N, in vista di un libro che sarà pubblicato da Silvana Editoriale in italiano e tedesco, e abbiamo faticato quattro mesi analizzando tutti i documenti che io avevo raccolto. Ero frastornato da quel lavoro a ritroso e ogni tanto mi dicevo che prima o poi avrei commesso un lucillicidio, però alla fine siamo riusciti ad arrivare al dunque. Da allora ho rimosso tutto quello che riguarda il passato e mi succede di non ricordare più dove ho riposto i documenti». Pur senza l’aiuto dei documenti la memoria non fa difetto. Alberto Biasi, in più, è un affabulatore straordinario e ti incanta mentre divaga da un ricordo all’altro usando l’ironia come strumento per mettere alla berlina certi meccanismi distorti del sistema dell’arte. C’è del resto in lui una «vocazione scanzonata, dadaista, autoironica e persino un po’ volutamente guascona», come ha scritto Marco Meneguzzo, un critico che lo conosce bene. E, insieme, una simpatia istintiva e la dote, rara, di stabilire rapporti autentici. «Avevo fatto una personale a Brescia già nel 1972 alla Galleria Sincron, dove, in seguito, ho con-tinuato ad esporre soprattutto in collettive. Franco Prestini, che aveva visto i miei lavori in quelle occasioni, venne a trovarmi qui a Padova nel mio studio. Non ricordo la data precisa, probabilmente era a metà degli anni Ottanta. La prima volta era insieme a Carlo Paini della Galleria Lo Spazio, che io conoscevo, anche se tra noi non c’era dimestichezza. Era interessato alle mie opere, ma all’inizio preferii tergiversare perché in quel periodo avevo un rapporto abbastanza diff cile con i galleristi per alcuni episodi spiacevoli che mi erano capitati in passato a Torino. Franco si era presentato con un gallerista, ero un po’ titubante, invece dopo che imparammo a conoscerci, la cosa cambiò completamente già al secondo incontro; ci fu un reciproco rispetto e divenemmo amici. Era una persona un po’ particolare, di poche parole. Era abbastanza chiuso, però, una volta che si apri-va, il contatto diventava immediato e intenso. Mi dimostrava comprensione e apprezzamento, grande interesse per il mio lavoro e questo per me era importante perché la maggior parte delle persone non capiva o non voleva capire quello che facevo. In lui vedevo invece attenzione ed entusiasmo per la mia opera». Franco Prestini aveva incominciato la sua avventura di collezionista dedicandosi dapprima alle opere di altra epoca. Ad interessarlo era, in particolare, la pittura del Seicento. Poi aveva deciso di occuparsi di arte contemporanea, anche grazie all’amicizia che era riuscito a stabilire con alcuni artisti. Alla fine degli anni novanta aveva aperto una sua galleria a Brescia, la P4, in fondo a via Crispi, più per il desiderio di condividere la sua passione che per intenti commerciali. Quali opere – chiedo ad Alberto Biasi – volle acquistare Franco Prestini per la sua collezione? «Dapprima ha preso tutto quello che restava nel mio studio del Gruppo N e che era appeso o nascosto nel mio vecchio studio di via Tommaseo. Era una ex-palestra con una sala immensa e tanti locali. Franco era entusiasta e volle che gli facessi vedere tutto quello che era accatastato sotto i nuovi lavori. Mi chiese, si discusse e si portò via quello che gli piaceva maggiormente, praticamente tutto. Poi tornò e staccò le opere dalle pareti, alla fine cominciò a chiedermi le opere recenti. Era il periodo dei politipi che mi chiese dopo che avevo fatto la mostra antologica a Padova, al Museo agli Eremitani, nel 1988. In quell’occasione ne acquistò parecchi, ma era sempre interessato a quello che andavo facendo e voleva avere documentazione di tutto». Tra le opere acquistate c’era anche un nucleo di acquerelli, che Franco Prestini volle presentare nel 1998 a Brescia nella sua galleria. «Gli acquerelli li avevo deniti opere “festive”, opere che scandivano i momenti in cui mi lasciavo trasportare dal sogno oppure dalla memoria di avvenimenti e emozioni passate o presenti. Erano lavori che eseguivo durante il periodo estivo quando, fuori dallo studio, non avevo materiali con me e con la carta mi divertivo a fare degli acquerelli molto istintivi, se vuoi anche molto informali, molto segnici… Ricordo che mi era capitata l’occasione di fare una mostra a Padova all’Oratorio di San Rocco, era il 1997; Franco Prestini venne a vedere la mostra e volle assolutamente comperare gli acquerelli. Quando vedeva una cosa che gli piaceva, si entusiasmava. Prese gli acquerelli e volle poi organizzare la mostra nella sua galleria». Momenti festivi in cui appare più evidente e immediato il rapporto con la natura che, in realtà, c’è in tutto il suo lavoro. «L’arte di Biasi – ha notato Giovanni Granzotto – non ha potuto prescindere dal suo coinvolgimento emotivo con i fenomeni naturali. Tutto, anche per lui, nasce da lì, e in quel bacino naturale, in quello scrigno senza lucchetti e serrature, ma proposto ed offerto all’occhio e dal cuore di tutti, si possono trovare e riconoscere le mille informazioni e i mille spunti utili al progredire della scienza, ed indispensabili alla creazione artistica». «L’osservazione della natura è quello che, sotto sotto, c’è in tutto il mio lavoro, solo che passa attraverso tanti passaggi a livello mentale, è talmente distillata come in un alambicco, che, alla fine, chi guarda l’opera non riconosce più i passaggi. Comunque gli acquerelli sono rimasti un unicum perché ne nacque una situazione di conflitto con le cose che facevo e capitava che chi cercava gli acquerelli si trovava poi in diffcoltà a comprendere quello che io facevo abitualmente. Anche le mie opere del periodo della pop-art, le trame e i rilievi ottico-dinamici in cui sembra prevalere una progettualità speculativa, sono profondamente legate alla natura>.
Le ragioni di una mostra
Parlare di restauro in arte contemporanea potrebbe apparire contraddittorio, innanzitutto perché per definizione la parte più attuale dei valori di un’opera d’arte contemporanea non dovrebbe necessitare di interventi o di cure contro l’invecchiamento ed il degrado fisico. Nella realtà non è così. Già dagli inizi del novecento ogni genere di materiale di uso comune o comunque di produzione industriale comincia ad entrare nella tipologia e nella produzione di opere di artisti di tutte le corren-ti sperimentali (papiercollè, collage, assemblaggi polimaterici, acciaio, materie plastiche etc.)ed in particolare dagli anni sessanta in poi questi materiali, acquisiti dalla realtà circostante, e nati non necessariamente per “fare” arte, costituiscono l’essenza stessa dell’opera che di fatto viene reinventata esteticamente, in maniera spiazzante creativa e spesso antifunzionale. Le opere d’arte contemporanea, dunque, si logorano, si danneggiano ed in alcuni casi, si rompono come qualsiasi altro oggetto prodotto dalla nostra società. Pur essendo oggetti, queste opere d’arte sono di natura “speciale”, la cui funzione primaria è prevalentemente estetica ed emozionale, ma ad un livello più alto rappresentano un patrimonio non solo culturale che va preservato, valorizzato, difeso. Questi prodotti del talento umano nascono principalmente come pezzi unici, la cui originalità è di fatto legata ai materiali costitutivi ed il valore economico è determinato dal fatto di essere veramente originali in quanto unici. Prioritaria quindi la cura delle opere e conseguente la necessità di poterle mantenere nelle condizioni ottimali alla loro conservazione. Il nostro Studio si occupa della conservazione e del restauro di dipinti, disegni e stampe su materiale cartaceo. Così come avviene di norma in un laboratorio, le opere esposte sono state in alcuni casi da noi restaurate, in altri solo analizzate, ed altre saranno oggetto di restauro nei prossimi mesi. Le ragioni di una mostra sono molteplici. In questo caso una raccolta di opere d’arte che apparteneva a Franco Prestini, una persona a noi molto vicina. Non sono solo le opere d’arte che ammiriamo o di cui ci prendiamo cura che continuano a vivere resistendo al tempo...
OSSERVATORIO D'OPERA
Giorgio Orlandi e Andrea Lancini
Con la mostra di Alberto Biasi ospitata nei locali dello Studio di restauro “Osservatorio d’Opera”, dove negli anni Novanta era aperta la Galleria ’ArteP4, vogliamo ricordare per tutto quello che ci ha insegnato guidandoci sulla strada della conoscenza e dell’amore per l’arte, Franco Prestini. Nel corso della sua vita, Franco ha raccolto con grande passione una vasta collezione composta da un cospicuo gruppo di opere contemporanee. Vi figurano, tra gli altri, artisti quali Mario Sironi, Lucio Fontana, Emilio Vedova, Mario Schifano, Bruno Munari, Andy Warhol… Un nucleo particolare della collezione è rappresentato dalle opere di Albero Biasi, con cui Franco aveva stabilito un rapporto di amicizia che si è consolidato nel corso degli anni. Anche per condividere questa sua passione, nel 1998, volle presentare nella sua Galleria una mostra di acquerelli di Alberto Biasi, che si caratterizzano come un unicum nella produzione dell’artista. A distanza di dieci anni vogliamo riproporre alcuni di quegli acquerelli, insieme ad altre opere dagli anni Sessanta no ad oggi, che costituiscono un piccolo ma signicativo omaggio ad Alberto Biasi, maestro ed amico per Franco e per tutti noi.
Milly, Germano, Simone
Oggi, dopo che si sono prese le distanze dalla Pop Art e i movimenti artistici degli anni sessanta sono stati “riscoperti” e storicizzati, gli si riconosce, insieme al rango di maestro, il merito di aver scritto una pagina di rilievo nella storia dell’arte del Novecento. Biasi è un maestro senza la prosopopea del ruolo. «Negli anni sessanta, – confessa – all’inizio della mia attività artistica, si diceva che i pittori e scultori fossero giovani artisti fino ai quarant’anni e passa, maturassero fino ai sessanta e solo oltre diventassero maestri. E la dizione grandi maestri era riservata a quei rari artisti che superavano gli ottanta oppure ai defunti. Io rifiutavo quella catalogazione perché, così mi sembrava, sottintendeva forme di paternalismo. Ora invece mi sembra credibile e stimolante, ed ostentatamente mi metto le mani in tasca ogni qualvolta qualcuno mi chiama maestro. Purtroppo mi capita sempre più spesso». La memoria della sua vicenda artistica, lunga ormai dieci lustri, si può dire che giace dentro una serie di cartoni impilati in un angolo del suo studio padovano affacciato sul lento scorrere del Bacchiglione, a due passi della chiesa di San Benedetto. Dentro quelle scatole Alberto Biasi ha raccolto il suo archivio, un archivio prezioso per gli studiosi che vengono da ogni parte a consultarlo. Il motivo della mia visita sarebbe di trovare informazioni sulle esposizioni tenute nelle gallerie bresciane e, in particolare, sul suo rapporto con un collezionista scomparso di recente, Franco Prestini, che nel corso degli anni aveva acquistato un cospicuo numero di sue opere. «Il materiale è lì – dice indicando le casse – però io, in questo momento non riesco a trovare più nulla. Il fatto è che è stata da me Lucilla Meloni, una studiosa molto brava che ha pubblicato nel 2004 quel volume sul Gruppo T (Gli Ambienti del Gruppo T: Arte immersiva, arte interattiva). Adesso era interessata al Gruppo N, in vista di un libro che sarà pubblicato da Silvana Editoriale in italiano e tedesco, e abbiamo faticato quattro mesi analizzando tutti i documenti che io avevo raccolto. Ero frastornato da quel lavoro a ritroso e ogni tanto mi dicevo che prima o poi avrei commesso un lucillicidio, però alla fine siamo riusciti ad arrivare al dunque. Da allora ho rimosso tutto quello che riguarda il passato e mi succede di non ricordare più dove ho riposto i documenti». Pur senza l’aiuto dei documenti la memoria non fa difetto. Alberto Biasi, in più, è un affabulatore straordinario e ti incanta mentre divaga da un ricordo all’altro usando l’ironia come strumento per mettere alla berlina certi meccanismi distorti del sistema dell’arte. C’è del resto in lui una «vocazione scanzonata, dadaista, autoironica e persino un po’ volutamente guascona», come ha scritto Marco Meneguzzo, un critico che lo conosce bene. E, insieme, una simpatia istintiva e la dote, rara, di stabilire rapporti autentici. «Avevo fatto una personale a Brescia già nel 1972 alla Galleria Sincron, dove, in seguito, ho con-tinuato ad esporre soprattutto in collettive. Franco Prestini, che aveva visto i miei lavori in quelle occasioni, venne a trovarmi qui a Padova nel mio studio. Non ricordo la data precisa, probabilmente era a metà degli anni Ottanta. La prima volta era insieme a Carlo Paini della Galleria Lo Spazio, che io conoscevo, anche se tra noi non c’era dimestichezza. Era interessato alle mie opere, ma all’inizio preferii tergiversare perché in quel periodo avevo un rapporto abbastanza diff cile con i galleristi per alcuni episodi spiacevoli che mi erano capitati in passato a Torino. Franco si era presentato con un gallerista, ero un po’ titubante, invece dopo che imparammo a conoscerci, la cosa cambiò completamente già al secondo incontro; ci fu un reciproco rispetto e divenemmo amici. Era una persona un po’ particolare, di poche parole. Era abbastanza chiuso, però, una volta che si apri-va, il contatto diventava immediato e intenso. Mi dimostrava comprensione e apprezzamento, grande interesse per il mio lavoro e questo per me era importante perché la maggior parte delle persone non capiva o non voleva capire quello che facevo. In lui vedevo invece attenzione ed entusiasmo per la mia opera». Franco Prestini aveva incominciato la sua avventura di collezionista dedicandosi dapprima alle opere di altra epoca. Ad interessarlo era, in particolare, la pittura del Seicento. Poi aveva deciso di occuparsi di arte contemporanea, anche grazie all’amicizia che era riuscito a stabilire con alcuni artisti. Alla fine degli anni novanta aveva aperto una sua galleria a Brescia, la P4, in fondo a via Crispi, più per il desiderio di condividere la sua passione che per intenti commerciali. Quali opere – chiedo ad Alberto Biasi – volle acquistare Franco Prestini per la sua collezione? «Dapprima ha preso tutto quello che restava nel mio studio del Gruppo N e che era appeso o nascosto nel mio vecchio studio di via Tommaseo. Era una ex-palestra con una sala immensa e tanti locali. Franco era entusiasta e volle che gli facessi vedere tutto quello che era accatastato sotto i nuovi lavori. Mi chiese, si discusse e si portò via quello che gli piaceva maggiormente, praticamente tutto. Poi tornò e staccò le opere dalle pareti, alla fine cominciò a chiedermi le opere recenti. Era il periodo dei politipi che mi chiese dopo che avevo fatto la mostra antologica a Padova, al Museo agli Eremitani, nel 1988. In quell’occasione ne acquistò parecchi, ma era sempre interessato a quello che andavo facendo e voleva avere documentazione di tutto». Tra le opere acquistate c’era anche un nucleo di acquerelli, che Franco Prestini volle presentare nel 1998 a Brescia nella sua galleria. «Gli acquerelli li avevo deniti opere “festive”, opere che scandivano i momenti in cui mi lasciavo trasportare dal sogno oppure dalla memoria di avvenimenti e emozioni passate o presenti. Erano lavori che eseguivo durante il periodo estivo quando, fuori dallo studio, non avevo materiali con me e con la carta mi divertivo a fare degli acquerelli molto istintivi, se vuoi anche molto informali, molto segnici… Ricordo che mi era capitata l’occasione di fare una mostra a Padova all’Oratorio di San Rocco, era il 1997; Franco Prestini venne a vedere la mostra e volle assolutamente comperare gli acquerelli. Quando vedeva una cosa che gli piaceva, si entusiasmava. Prese gli acquerelli e volle poi organizzare la mostra nella sua galleria». Momenti festivi in cui appare più evidente e immediato il rapporto con la natura che, in realtà, c’è in tutto il suo lavoro. «L’arte di Biasi – ha notato Giovanni Granzotto – non ha potuto prescindere dal suo coinvolgimento emotivo con i fenomeni naturali. Tutto, anche per lui, nasce da lì, e in quel bacino naturale, in quello scrigno senza lucchetti e serrature, ma proposto ed offerto all’occhio e dal cuore di tutti, si possono trovare e riconoscere le mille informazioni e i mille spunti utili al progredire della scienza, ed indispensabili alla creazione artistica». «L’osservazione della natura è quello che, sotto sotto, c’è in tutto il mio lavoro, solo che passa attraverso tanti passaggi a livello mentale, è talmente distillata come in un alambicco, che, alla fine, chi guarda l’opera non riconosce più i passaggi. Comunque gli acquerelli sono rimasti un unicum perché ne nacque una situazione di conflitto con le cose che facevo e capitava che chi cercava gli acquerelli si trovava poi in diffcoltà a comprendere quello che io facevo abitualmente. Anche le mie opere del periodo della pop-art, le trame e i rilievi ottico-dinamici in cui sembra prevalere una progettualità speculativa, sono profondamente legate alla natura>.
Le ragioni di una mostra
Parlare di restauro in arte contemporanea potrebbe apparire contraddittorio, innanzitutto perché per definizione la parte più attuale dei valori di un’opera d’arte contemporanea non dovrebbe necessitare di interventi o di cure contro l’invecchiamento ed il degrado fisico. Nella realtà non è così. Già dagli inizi del novecento ogni genere di materiale di uso comune o comunque di produzione industriale comincia ad entrare nella tipologia e nella produzione di opere di artisti di tutte le corren-ti sperimentali (papiercollè, collage, assemblaggi polimaterici, acciaio, materie plastiche etc.)ed in particolare dagli anni sessanta in poi questi materiali, acquisiti dalla realtà circostante, e nati non necessariamente per “fare” arte, costituiscono l’essenza stessa dell’opera che di fatto viene reinventata esteticamente, in maniera spiazzante creativa e spesso antifunzionale. Le opere d’arte contemporanea, dunque, si logorano, si danneggiano ed in alcuni casi, si rompono come qualsiasi altro oggetto prodotto dalla nostra società. Pur essendo oggetti, queste opere d’arte sono di natura “speciale”, la cui funzione primaria è prevalentemente estetica ed emozionale, ma ad un livello più alto rappresentano un patrimonio non solo culturale che va preservato, valorizzato, difeso. Questi prodotti del talento umano nascono principalmente come pezzi unici, la cui originalità è di fatto legata ai materiali costitutivi ed il valore economico è determinato dal fatto di essere veramente originali in quanto unici. Prioritaria quindi la cura delle opere e conseguente la necessità di poterle mantenere nelle condizioni ottimali alla loro conservazione. Il nostro Studio si occupa della conservazione e del restauro di dipinti, disegni e stampe su materiale cartaceo. Così come avviene di norma in un laboratorio, le opere esposte sono state in alcuni casi da noi restaurate, in altri solo analizzate, ed altre saranno oggetto di restauro nei prossimi mesi. Le ragioni di una mostra sono molteplici. In questo caso una raccolta di opere d’arte che apparteneva a Franco Prestini, una persona a noi molto vicina. Non sono solo le opere d’arte che ammiriamo o di cui ci prendiamo cura che continuano a vivere resistendo al tempo...
OSSERVATORIO D'OPERA
Giorgio Orlandi e Andrea Lancini
25
ottobre 2008
Alberto Biasi – Opere dalla Collezione Prestini
Dal 25 ottobre al 15 novembre 2008
arte contemporanea
Location
OSSERVATORIO D’OPERA
Brescia, Via Francesco Crispi, 37, (Brescia)
Brescia, Via Francesco Crispi, 37, (Brescia)
Orario di apertura
Lun-Ven: 16-19, Sab-Dom: 10- 12 / 16-19
Vernissage
25 Ottobre 2008, ore 18
Autore
Curatore