Se c’è un artista che nella propria opera riesce a coniugare passato e presente dell’arte e dei suoi artifici, in grado di far rivivere una tecnica secentesca, alchemicamente oscura, come la maniera nera e la rappresentazione del proprio tempo, questo è senz’altro Alberto Rocco.

Pittore, sperimentatore, e finissimo incisore Rocco nato a Roma vive e lavora da sempre a Torino. Ottiene riconoscimenti e premi per il proprio lavoro sin dal 1958 e negli anni affina la tecnica raggiungendo un livello di maestria tale che lo fa annoverare tra i migliori incisori in Europa. In mostra, una quarantina di opere grafiche che raccontano il segno elegante, il dominio di una tecnica complessa, la poesia giocata in virtù della luce che l’incisione fa scaturire dal nero vellutato e profondo.

Rocco anima un principio ordinatore che porta in superficie non solo l’accurata selezione di alcuni oggetti, il nitore quasi metafisico che questi esprimono, egli dà vita ad icone ancestrali che afferiscono ad una speculazione giocata tra l’allusività e l’allegoria, un mondo interiore fatto di severa intransigenza estetica e virtuosismo privo di ogni concessione all’ornamentale.
Scriveva Rilke: “raccogliamo disperatamente il miele del visibile per custodirlo nel grande alveare d’oro dell’invisibile”. Il magistero di Alberto Rocco avvicina lo spettatore al miele del visibile, lo invita ad un approccio critico, ad un’emozione complice e intellettuale in una atavica contemplazione di due assoluti contrapposti, il nero e il bianco.

Edmondo Bertaina