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Alex Majoli – Leros
Alex Majoli ci porta nel manicomio di Leros in Grecia. Un reportage iniziato nel 1994 in occasione della chiusura della struttura destinata ad accogliere i peggiori casi psichiatrici del paese. In mostra 34 stampe in bianco e nero di Alex Majoli, uno dei più attivi fotografi dell’agenzia Magnum per le sue immagini che ritraggono il quotidiano in varie città del mondo, che testimoniano il ritorno di questo luogo ad un’apparente situazione di umanità, grazie anche all’apporto di un team di psichiatri italiani che per primi, nel 1990, hanno denunciato la pietosa e sconvolgente situazione di degrado.
Comunicato stampa
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N.A.D.I.R. | nodi appunti domande immagini riflessi
L'Associazione culturale Nadir Pro inaugura un ciclo di mostre fotografiche per raccontare storie di diritti negati, di istituzioni totalizzanti, ma anche di trasformazioni possibili e di piccole vittorie. Si chiama N.A.D.I.R. | nodi appunti domande immagini riflessi, il progetto che vuole documentare ciò che non si vede, comunicare l'inaccessibilità ai diritti di cittadinanza, rappresentare la lotta all'esclusione attraverso i protagonisti. Lo fa posando lo sguardo su due differenti realtà manicomiali, la Grecia e l'Albania e, oltre il mare, un comune elemento: il processo di trasformazione avviato in Italia dalla riforma basagliana che ha portato alla chiusura dei manicomi. A trentanni dalla morte di Franco Basaglia e nell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione, i fotografi Alex Majoli, Antonella Pizzamiglio e Marco Spanò legano con un filo invisibile le due sponde di questo mare.
Il primo appuntamento è con “Leros” di Alex Majoli, fotografo Magnum che nel 1994 realizza un reportage fotografico sul manicomio di Leros in Grecia. Dal 15 gennaio al 5 febbraio 2010 allo Spazio Villas – Lato B nel Parco culturale di San Giovanni di Trieste. Dal 9 al 13 febbraio prosegue al Teatrino di san Giovanni.
Il secondo incontro riguarda ancora Leros, ma con la prospettiva di Antonella Pizzamiglio, che già nell’89 era riuscita a documentare quello che veniva considerato il peggior manicomio del mondo, “Leros. Anche il Nulla ha un nome” dal 29 gennaio al 27 febbraio allo Spazio Rosa nel Parco di San Giovanni.
Chiude la rassegna “Ali Mihali. Sguardi dal buio”, reportage dall’Albania di Marco Spanò, che racconta l’ospedale psichiatrico di Valona, dal 6 febbraio al 5 marzo allo Spazio Villas nel Parco culturale di San Giovanni. E ancora, a latere e in contemporanea, dal 30 gennaio al 13 febbraio la mostra N.A.D.I.R è visitabile anche al Teatro Miela di Trieste.
La rassegna organizzata da Nadir Pro si tiene a Trieste dal 16 gennaio fino al 5 marzo e gode del contributo della Provincia di Trieste e dell’Azienda per i Servizi Sanitari N. 1 “Triestina”.
Per informazioni e approfondinmenti:
http://nadirpro.wordpress.com
associazionenadirpro@gmail.com
tel. 3294414521
Primo appuntamento:
Leros – Alex Majoli
Alex Majoli ci porta nel manicomio di Leros in Grecia. Un reportage iniziato nel 1994 in occasione della chiusura della struttura destinata ad accogliere i peggiori casi psichiatrici del paese. In mostra 34 stampe in bianco e nero di Alex Majoli, uno dei più attivi fotografi dell'agenzia Magnum per le sue immagini che ritraggono il quotidiano in varie città del mondo, che testimoniano il ritorno di questo luogo ad un’apparente situazione di umanità, grazie anche all'apporto di un team di psichiatri italiani che per primi, nel 1990, hanno denunciato la pietosa e sconvolgente situazione di degrado.
Spazio Villas
Via De Pastrovich 5/c
Parco culturale di San Giovanni, Trieste
dal 15 gennaio al 05 febbraio dalle 17 alle 20, ingresso libero.
La mostra proseguirà al Teatrino di San Giovanni dal 9 al 13 febbraio.
info:
http://nadirpro.wordpress.com
associazionenadirpro@gmail.com
3294414521
" So che questa è un’altra storia di matti, tanti matti, all’inizio erano più di 4000.
So che Leros significa sporco e che lo sporco chiama sporco.
So che arrivarono sull’isola da ogni parte della Grecia, scelti tra i casi più gravi e irrecuperabili degli ospedali psichiatrici.
So che vennero messi in una ex base militare dell’isola già usata come carcere per i detenuti politici.
So che nel nuovo manicomio cominciarono a lavorare gli stessi abitanti dell’isola. So che la storia di Leros si confuse presto con quella del suo manicomio e so che il mondo non lo sapeva.
So che dentro al manicomio di Leros non si viveva, si sopravviveva.
So che i matti cominciarono a morire di ogni genere di morte, uno dopo l’altro e chi resisteva irrobustiva la struttura, sviluppava anticorpi per ogni malattia esistente. So che morire era una questione statistica.
So che morire era il minore dei mali, era molto più difficile vivere.
So che molti si uccidevano buttandosi nel mare che era lì, proprio sotto la finestra. So che anche il suicidio era roba da matti e faceva parte delle statistiche.
So che passarono trent’anni di storia e capovolgimenti di governi, il mondo partorì guerre e le fece crescere ma a Leros non cambiava nulla e nessuno pensava di poterlo cambiare.
So che la Grecia entrò in Europa e cercò in tutti i modi di buttare via i suoi scheletri custoditi negli armadi.
So che un giorno arrivò un giornalista della BBC e la sua telecamera mostrò al mondo che cosa succedeva nel manicomio di Leros.
So che il mondo vide, perché a quel punto voleva vedere, e confuse il manicomio con uno zoo.
So che parlarono molto e dissero che i matti morivano, dissero che i matti vivevano al freddo, dissero che i matti non erano curati, dissero che venivano lavati con getti di acqua fredda estate e inverno.
So che il manicomio di Leros fu definito il peggiore del mondo.
So che nel 1990 la Comunità Europea finanziò un progetto finalizzato alla radicale trasformazione del manicomio affidando il coordinamento del progetto ad una equipe di psichiatri e operatori di Trieste, molti dei quali affiancarono Basaglia nella lotta antimanicomiale.
So che accanto ai triestini lavoravano giovani olandesi e greci. So anche che nel 1990, al loro arrivo nel manicomio trovarono 350 persone, ognuno con lo sguardo rivolto verso un proprio mondo, incapaci di tenere ferma la mano dentro a quella di chi gli porgeva la sua.
Trovarono i morti del giorno prima e li seppellirono. Cominciarono a lavorare fianco a fianco con i guardiani del manicomio, si scontrarono con i loro continui tentativi di boicottare il lavoro non tanto per malevolenza quanto per ignoranza.
Tra gli operatori c’erano molte donne ed era difficile far sentire la propria voce a uomini cresciuti a Leros, piccolo punto di terra dello Stato più a sud dei Balcani. Iniziò il gioco di far finta di collaborare, di far finta di aver bisogno del consiglio di chi lavorava in manicomio da trent’anni.
So che il lavoro prese il via nel padiglione 11, il più numeroso del manicomio di Leros. Uomini forti come tori perché nell’11 c’erano solo uomini che urlavano quando qualcuno cercava di insegnargli a mettere i pantaloni e una maglia, uomini che non volevano dormire nei letti, uomini che non sapevano mangiare in altro modo se non con la bocca affondata dentro a secchi di cibo.
C’erano uomini che sbattevano la testa contro il muro e le proprie ginocchia tutto il giorno, tutti i giorni, da trent’anni ed erano gonfi come palloni e piano piano, ancora più piano, con dolcezza e divertendosi, con tutto il tempo che occorreva qualcuno cominciò a stare accanto a Pavili, mentre batteva la testa e a prenderlo sotto braccio per fargli fare due passi. Qualcun altro passò ore seduto a tavola per insegnare ad usare la forchetta e ad infilzare solo il cibo. Ci furono lettere e telefonate per autorizzare uno stanziamento di soldi per i piatti, di carta perché nessuno si facesse male e i bicchieri e le posate e le scarpe, e i letti e le lenzuola e tutto quello che in manicomio non arrivava mai.
Leros, la sporca, fu pulita con sapone e detersivo e il profumo si sparse per tutto il manicomio, tutta l’isola tanto che qualche guardiano scoprì che così era meglio, lavorare era più piacevole. Tutta questa nuova gente arrivata a fare la barba, mettere i vestiti, assegnare i letti con etichette che indicavano il nome di chi vi avrebbe dormito, tutto quel girare di motorini nell’isola di giovani impegnati a vivere dentro a loro storie slegate o forse totalmente connesse con il manicomio, tutto quell’improvviso rumore fatto di radio accese e schiamazzi, il pesce pescato e subito cotto e mangiato, le notti di luna piena che facevano brillare le case, gli occhi, i cieli e i matti si interruppe di colpo nel 1993 in seguito a gravi problemi amministrativi e di gestione del progetto.
Lo so e so che durò un solo anno e poi tutto ricominciò più forte di prima...." (Laura Facchi)
L'Associazione culturale Nadir Pro inaugura un ciclo di mostre fotografiche per raccontare storie di diritti negati, di istituzioni totalizzanti, ma anche di trasformazioni possibili e di piccole vittorie. Si chiama N.A.D.I.R. | nodi appunti domande immagini riflessi, il progetto che vuole documentare ciò che non si vede, comunicare l'inaccessibilità ai diritti di cittadinanza, rappresentare la lotta all'esclusione attraverso i protagonisti. Lo fa posando lo sguardo su due differenti realtà manicomiali, la Grecia e l'Albania e, oltre il mare, un comune elemento: il processo di trasformazione avviato in Italia dalla riforma basagliana che ha portato alla chiusura dei manicomi. A trentanni dalla morte di Franco Basaglia e nell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione, i fotografi Alex Majoli, Antonella Pizzamiglio e Marco Spanò legano con un filo invisibile le due sponde di questo mare.
Il primo appuntamento è con “Leros” di Alex Majoli, fotografo Magnum che nel 1994 realizza un reportage fotografico sul manicomio di Leros in Grecia. Dal 15 gennaio al 5 febbraio 2010 allo Spazio Villas – Lato B nel Parco culturale di San Giovanni di Trieste. Dal 9 al 13 febbraio prosegue al Teatrino di san Giovanni.
Il secondo incontro riguarda ancora Leros, ma con la prospettiva di Antonella Pizzamiglio, che già nell’89 era riuscita a documentare quello che veniva considerato il peggior manicomio del mondo, “Leros. Anche il Nulla ha un nome” dal 29 gennaio al 27 febbraio allo Spazio Rosa nel Parco di San Giovanni.
Chiude la rassegna “Ali Mihali. Sguardi dal buio”, reportage dall’Albania di Marco Spanò, che racconta l’ospedale psichiatrico di Valona, dal 6 febbraio al 5 marzo allo Spazio Villas nel Parco culturale di San Giovanni. E ancora, a latere e in contemporanea, dal 30 gennaio al 13 febbraio la mostra N.A.D.I.R è visitabile anche al Teatro Miela di Trieste.
La rassegna organizzata da Nadir Pro si tiene a Trieste dal 16 gennaio fino al 5 marzo e gode del contributo della Provincia di Trieste e dell’Azienda per i Servizi Sanitari N. 1 “Triestina”.
Per informazioni e approfondinmenti:
http://nadirpro.wordpress.com
associazionenadirpro@gmail.com
tel. 3294414521
Primo appuntamento:
Leros – Alex Majoli
Alex Majoli ci porta nel manicomio di Leros in Grecia. Un reportage iniziato nel 1994 in occasione della chiusura della struttura destinata ad accogliere i peggiori casi psichiatrici del paese. In mostra 34 stampe in bianco e nero di Alex Majoli, uno dei più attivi fotografi dell'agenzia Magnum per le sue immagini che ritraggono il quotidiano in varie città del mondo, che testimoniano il ritorno di questo luogo ad un’apparente situazione di umanità, grazie anche all'apporto di un team di psichiatri italiani che per primi, nel 1990, hanno denunciato la pietosa e sconvolgente situazione di degrado.
Spazio Villas
Via De Pastrovich 5/c
Parco culturale di San Giovanni, Trieste
dal 15 gennaio al 05 febbraio dalle 17 alle 20, ingresso libero.
La mostra proseguirà al Teatrino di San Giovanni dal 9 al 13 febbraio.
info:
http://nadirpro.wordpress.com
associazionenadirpro@gmail.com
3294414521
" So che questa è un’altra storia di matti, tanti matti, all’inizio erano più di 4000.
So che Leros significa sporco e che lo sporco chiama sporco.
So che arrivarono sull’isola da ogni parte della Grecia, scelti tra i casi più gravi e irrecuperabili degli ospedali psichiatrici.
So che vennero messi in una ex base militare dell’isola già usata come carcere per i detenuti politici.
So che nel nuovo manicomio cominciarono a lavorare gli stessi abitanti dell’isola. So che la storia di Leros si confuse presto con quella del suo manicomio e so che il mondo non lo sapeva.
So che dentro al manicomio di Leros non si viveva, si sopravviveva.
So che i matti cominciarono a morire di ogni genere di morte, uno dopo l’altro e chi resisteva irrobustiva la struttura, sviluppava anticorpi per ogni malattia esistente. So che morire era una questione statistica.
So che morire era il minore dei mali, era molto più difficile vivere.
So che molti si uccidevano buttandosi nel mare che era lì, proprio sotto la finestra. So che anche il suicidio era roba da matti e faceva parte delle statistiche.
So che passarono trent’anni di storia e capovolgimenti di governi, il mondo partorì guerre e le fece crescere ma a Leros non cambiava nulla e nessuno pensava di poterlo cambiare.
So che la Grecia entrò in Europa e cercò in tutti i modi di buttare via i suoi scheletri custoditi negli armadi.
So che un giorno arrivò un giornalista della BBC e la sua telecamera mostrò al mondo che cosa succedeva nel manicomio di Leros.
So che il mondo vide, perché a quel punto voleva vedere, e confuse il manicomio con uno zoo.
So che parlarono molto e dissero che i matti morivano, dissero che i matti vivevano al freddo, dissero che i matti non erano curati, dissero che venivano lavati con getti di acqua fredda estate e inverno.
So che il manicomio di Leros fu definito il peggiore del mondo.
So che nel 1990 la Comunità Europea finanziò un progetto finalizzato alla radicale trasformazione del manicomio affidando il coordinamento del progetto ad una equipe di psichiatri e operatori di Trieste, molti dei quali affiancarono Basaglia nella lotta antimanicomiale.
So che accanto ai triestini lavoravano giovani olandesi e greci. So anche che nel 1990, al loro arrivo nel manicomio trovarono 350 persone, ognuno con lo sguardo rivolto verso un proprio mondo, incapaci di tenere ferma la mano dentro a quella di chi gli porgeva la sua.
Trovarono i morti del giorno prima e li seppellirono. Cominciarono a lavorare fianco a fianco con i guardiani del manicomio, si scontrarono con i loro continui tentativi di boicottare il lavoro non tanto per malevolenza quanto per ignoranza.
Tra gli operatori c’erano molte donne ed era difficile far sentire la propria voce a uomini cresciuti a Leros, piccolo punto di terra dello Stato più a sud dei Balcani. Iniziò il gioco di far finta di collaborare, di far finta di aver bisogno del consiglio di chi lavorava in manicomio da trent’anni.
So che il lavoro prese il via nel padiglione 11, il più numeroso del manicomio di Leros. Uomini forti come tori perché nell’11 c’erano solo uomini che urlavano quando qualcuno cercava di insegnargli a mettere i pantaloni e una maglia, uomini che non volevano dormire nei letti, uomini che non sapevano mangiare in altro modo se non con la bocca affondata dentro a secchi di cibo.
C’erano uomini che sbattevano la testa contro il muro e le proprie ginocchia tutto il giorno, tutti i giorni, da trent’anni ed erano gonfi come palloni e piano piano, ancora più piano, con dolcezza e divertendosi, con tutto il tempo che occorreva qualcuno cominciò a stare accanto a Pavili, mentre batteva la testa e a prenderlo sotto braccio per fargli fare due passi. Qualcun altro passò ore seduto a tavola per insegnare ad usare la forchetta e ad infilzare solo il cibo. Ci furono lettere e telefonate per autorizzare uno stanziamento di soldi per i piatti, di carta perché nessuno si facesse male e i bicchieri e le posate e le scarpe, e i letti e le lenzuola e tutto quello che in manicomio non arrivava mai.
Leros, la sporca, fu pulita con sapone e detersivo e il profumo si sparse per tutto il manicomio, tutta l’isola tanto che qualche guardiano scoprì che così era meglio, lavorare era più piacevole. Tutta questa nuova gente arrivata a fare la barba, mettere i vestiti, assegnare i letti con etichette che indicavano il nome di chi vi avrebbe dormito, tutto quel girare di motorini nell’isola di giovani impegnati a vivere dentro a loro storie slegate o forse totalmente connesse con il manicomio, tutto quell’improvviso rumore fatto di radio accese e schiamazzi, il pesce pescato e subito cotto e mangiato, le notti di luna piena che facevano brillare le case, gli occhi, i cieli e i matti si interruppe di colpo nel 1993 in seguito a gravi problemi amministrativi e di gestione del progetto.
Lo so e so che durò un solo anno e poi tutto ricominciò più forte di prima...." (Laura Facchi)
16
gennaio 2010
Alex Majoli – Leros
Dal 16 gennaio al 13 febbraio 2010
fotografia
Location
CASA ROSA – EX OPP PARCO DI SAN GIOVANNI
Trieste, Via Guglielmo De Pastrovich, (Trieste)
Trieste, Via Guglielmo De Pastrovich, (Trieste)
Orario di apertura
dalle 17 alle 20
Vernissage
16 Gennaio 2010, ore 18.30
Autore
Curatore