Ma il suo studio potrebbe non essere a Milano, la mostra potrebbe non essere a Genova. Alexandra ha il suo mondo. Lascia al di là il rumore di fondo. Un continuo flusso di informazioni, troppa comunicazione. A denotare la perdita di significato. A sottolineare la sua costruzione – posta con determinazione e chiarezza sulla tela – di forme di vita parallele, nuove. Aperte. A denotare il linguaggio personale, biologico, tecnologico, vero e arte-fatto allo stesso tempo. L’occhio verso il colore, nero, verde acido o flou. Pannelli, pareti d’acciaio o di legno. È il primo impatto. Poi vengono l’intuizione delle “amorfe forme”, piccole storie, caratteri della vita di ogni giorno. Codici binari, scelte alle quali siamo costretti di continuo. Zero, uno; croce, freccia; timbro, sigla; acceso, spento. Un artista deve lasciare un’impronta, indicare una direzione, provocare una frattura, formulare un alfabeto, esprimersi in un linguaggio nuovo. La tecnologia emette segnali. I fumetti giapponesi li assimilano. Qualcuno ha lasciato segni sui muri, qualcuno ha dipinto le tele. C’è anche Alexandra Gredler”. (L.K.)