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Amelia Valletta – Atlantikwall.fr/bunker’s village. Diario di un viaggio
Il 23 Marzo del 1942, in una direttiva di guerra, Adolph Hitler definiva i principi fondamentali che avrebbero costituito la fisionomia di un’immensa opera di architettura militare, denominata Atlantikwall ( paragonabile, secondo Paul Virilio, alla Muraglia Cinese o al Vallo di Adriano). Un esempio unico di architettura prefabbricata. Mostra fotografica con racconto
Comunicato stampa
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Il 23 Marzo del 1942, in una direttiva di guerra, Adolph Hitler definiva i principi fondamentali che avrebbero costituito la fisionomia di un’immensa opera di architettura militare, denominata Atlantikwall ( paragonabile, secondo Paul Virilio, alla Muraglia Cinese o al Vallo di Adriano)
6500 Km quadrati di area interessata da Capo Nord ai Pirenei.
6 paesi europei coinvolti ( 7 se includiamo l’Inghilterra con le Channel Islands)
15mila corpi di fabbrica strategicamente disposti lungo la costa atlantica.
13 milioni di metri cubi di cemento armato.
334.000 operai, sia tedeschi che gente del posto.
Un esempio unico di architettura prefabbricata.
Ma non si tratta di un vero è proprio muro, piuttosto di un sistema di fortificazioni – bunker – divisi in settori secondo una logica militare che non sempre coincide con una logica geografica dei paesi occupati.
Perchè è un sistema che ha una sua logica strutturale dall’ obiettivo chiaro, ovvero difendere i confini territoriali, i limiti geografici del Reich da eventuali attacchi alleati, da mare e da cielo. Ancora secondo Virilio, si trattava di affrontare per la prima volta una prospettiva militare tridimensionale (terra, cielo, mare), il che spiega in parte anche la morfologia del bunker stesso.
Fino al 1941 erano già state costruite molte batterie di artiglieria oltre alle principali basi sottomarine (Lorient Brest St. Nazire, La Palisse e Bordeaux) , ma solo con questa direttiva del ’42, il Reich si dotò, direbbero gli architetti, di un piano urbanistico territoriale, anzi extraterritoriale, europeo, difensivo, un sistema capillare e puntiforme, auto-organizzato, auto-sufficiente, in grado di “defend themselves to the extreme limit“(Hitler dalla suddetta direttiva di guerra).
L’Atlantikwall è un prodotto di una cultura tecnologica avanzata, di una società, la Germania del Reich, fortemente industrializzata, in grado di sostenere in così poco tempo uno sforzo costruttivo mastodontico e tecnicamente avanzato – mi riferisco all’Atlantikwall come macchina da guerra, quindi all’insieme di architetture, strumentazione bellica e infrastrutturale.
E l’Atlantikwall deve la sua possibilità di successo proprio alla combinazione delle diverse reti infrastrutturali progettate per favorire la connettività in ogni senso: la rete ferroviaria, i collegamenti telefonici, le strade carrabili di collegamento (la Reich Autobahn) che incrociavano l'intero territorio europeo.
“E così, tutto il territorio della costa atlantica diventa “proibito”, occupato soltanto dagli occhi attenti dei soldati di guardia barricati nei bunker, diventa uno “spazio estremo”, come il deserto, una regione inospitale alle forme di vita…I bunker, le casematte sono un luogo di impegno ed obbedienza, che comprime i corpi fino a ridurli parte del sistema, dei componenti necessari al funzionamento corretto del sistema stesso, un’architettura dove corpo umano e arma si integrano in un'unità preposta per fare la guerra.
In queste architetture, l'uomo cessa di essere centrale alla visione e si trasforma in una parte del meccanismo ottico generale del sistema di controllo.” (G. Padovani)
Oggi, di questo mastodontico confine politico oltre che architettonico, di questa linea di demarcazione concepita con l’idea di controllo sui confini e nel tempo trasformatasi in altro, di questi corpi di fabbrica in cemento grezzo, in molti casi, non esistono altro che le vestigia, segni di un passaggio.
Nel corso di due viaggi (marzo-agosto 2007) Amelia Valetta ne ha ripercorso alcuni frammenti lungo la costa francese, da Dieppe in Normandia fino a Saint Malò, per proseguire poi verso la Bretagna, Brest, le basi sottomarine di Lorient e Saint Nazaire, scendendo infine lungo la costa occidentale fino alle batterie di Soulac sur Mer, Saint Barbe e Saint Jean de Luz.
L’idea è quella di completare un rilievo fotografico del paesaggio contemporaneo e delle sue microevidenze, restituendolo quanto più possibile in forma anonima e documentaristica, con occhio freddo, con l’esplicita intenzione di informare, raccontare una storia senza narrazione, senza interpretare, senza mettere in scena.
Allo stesso tempo, spiega l’artista, “non ho potuto evitare di cogliere alcuni messaggi che questi bunker mi suggerivano. Messaggi di speranza, di gioco, di amore”.
I dettagli di questo viaggio, mappe, percorsi, appunti, e le foto naturalmente, sono raccolti in un piccolo carnet di viaggio* che si pregia del contributo di alcuni studiosi provenienti da discipline completamente diverse, invitati a riflettere sul tema del “bunker” in senso ampio.
Questo progetto prende spunto da The Atlantic Wall Linear Museum, una ricerca finanziata dalla Comunità Europea, promossa dalla Sezione di Museografia del DPA-Politecnico di Milano e diretta dal prof. Gennaro Postiglione, in collaborazione con il Raymond Lemarie International Centre for Conservation, a Leuven e il GRAI dell’Ecole d’Architecture de Versailles.
Tappe della mostra:
5/12 luglio 2007, invitata alla rassegna di giovani artisti ZOOART, Cuneo
5/12 ottobre 2007, Libreria Evaluna, Napoli. Introduce Virginio Briatore.
14/12 maggio 2008, Libreria Mondadori, Latina.
settembre 2008– Milano, da definire location e data -
Amelia Valletta nasce a Napoli nel 1970. Architetto, giornalista e drammaturga, lavora da anni sul tema della “narrazione archetipa”, una ricerca che investe ambiti apparentemente molto distanti ma in realtà profondamente legati da ciò che in essi vi è di immutabile. Studiosa dei linguaggi del design, a Milano ha fondato lo studio Designtools (www.designtools.it) che si occupa di ricerca sui linguaggi del design. Vive e lavora tra Napoli e Milano.
6500 Km quadrati di area interessata da Capo Nord ai Pirenei.
6 paesi europei coinvolti ( 7 se includiamo l’Inghilterra con le Channel Islands)
15mila corpi di fabbrica strategicamente disposti lungo la costa atlantica.
13 milioni di metri cubi di cemento armato.
334.000 operai, sia tedeschi che gente del posto.
Un esempio unico di architettura prefabbricata.
Ma non si tratta di un vero è proprio muro, piuttosto di un sistema di fortificazioni – bunker – divisi in settori secondo una logica militare che non sempre coincide con una logica geografica dei paesi occupati.
Perchè è un sistema che ha una sua logica strutturale dall’ obiettivo chiaro, ovvero difendere i confini territoriali, i limiti geografici del Reich da eventuali attacchi alleati, da mare e da cielo. Ancora secondo Virilio, si trattava di affrontare per la prima volta una prospettiva militare tridimensionale (terra, cielo, mare), il che spiega in parte anche la morfologia del bunker stesso.
Fino al 1941 erano già state costruite molte batterie di artiglieria oltre alle principali basi sottomarine (Lorient Brest St. Nazire, La Palisse e Bordeaux) , ma solo con questa direttiva del ’42, il Reich si dotò, direbbero gli architetti, di un piano urbanistico territoriale, anzi extraterritoriale, europeo, difensivo, un sistema capillare e puntiforme, auto-organizzato, auto-sufficiente, in grado di “defend themselves to the extreme limit“(Hitler dalla suddetta direttiva di guerra).
L’Atlantikwall è un prodotto di una cultura tecnologica avanzata, di una società, la Germania del Reich, fortemente industrializzata, in grado di sostenere in così poco tempo uno sforzo costruttivo mastodontico e tecnicamente avanzato – mi riferisco all’Atlantikwall come macchina da guerra, quindi all’insieme di architetture, strumentazione bellica e infrastrutturale.
E l’Atlantikwall deve la sua possibilità di successo proprio alla combinazione delle diverse reti infrastrutturali progettate per favorire la connettività in ogni senso: la rete ferroviaria, i collegamenti telefonici, le strade carrabili di collegamento (la Reich Autobahn) che incrociavano l'intero territorio europeo.
“E così, tutto il territorio della costa atlantica diventa “proibito”, occupato soltanto dagli occhi attenti dei soldati di guardia barricati nei bunker, diventa uno “spazio estremo”, come il deserto, una regione inospitale alle forme di vita…I bunker, le casematte sono un luogo di impegno ed obbedienza, che comprime i corpi fino a ridurli parte del sistema, dei componenti necessari al funzionamento corretto del sistema stesso, un’architettura dove corpo umano e arma si integrano in un'unità preposta per fare la guerra.
In queste architetture, l'uomo cessa di essere centrale alla visione e si trasforma in una parte del meccanismo ottico generale del sistema di controllo.” (G. Padovani)
Oggi, di questo mastodontico confine politico oltre che architettonico, di questa linea di demarcazione concepita con l’idea di controllo sui confini e nel tempo trasformatasi in altro, di questi corpi di fabbrica in cemento grezzo, in molti casi, non esistono altro che le vestigia, segni di un passaggio.
Nel corso di due viaggi (marzo-agosto 2007) Amelia Valetta ne ha ripercorso alcuni frammenti lungo la costa francese, da Dieppe in Normandia fino a Saint Malò, per proseguire poi verso la Bretagna, Brest, le basi sottomarine di Lorient e Saint Nazaire, scendendo infine lungo la costa occidentale fino alle batterie di Soulac sur Mer, Saint Barbe e Saint Jean de Luz.
L’idea è quella di completare un rilievo fotografico del paesaggio contemporaneo e delle sue microevidenze, restituendolo quanto più possibile in forma anonima e documentaristica, con occhio freddo, con l’esplicita intenzione di informare, raccontare una storia senza narrazione, senza interpretare, senza mettere in scena.
Allo stesso tempo, spiega l’artista, “non ho potuto evitare di cogliere alcuni messaggi che questi bunker mi suggerivano. Messaggi di speranza, di gioco, di amore”.
I dettagli di questo viaggio, mappe, percorsi, appunti, e le foto naturalmente, sono raccolti in un piccolo carnet di viaggio* che si pregia del contributo di alcuni studiosi provenienti da discipline completamente diverse, invitati a riflettere sul tema del “bunker” in senso ampio.
Questo progetto prende spunto da The Atlantic Wall Linear Museum, una ricerca finanziata dalla Comunità Europea, promossa dalla Sezione di Museografia del DPA-Politecnico di Milano e diretta dal prof. Gennaro Postiglione, in collaborazione con il Raymond Lemarie International Centre for Conservation, a Leuven e il GRAI dell’Ecole d’Architecture de Versailles.
Tappe della mostra:
5/12 luglio 2007, invitata alla rassegna di giovani artisti ZOOART, Cuneo
5/12 ottobre 2007, Libreria Evaluna, Napoli. Introduce Virginio Briatore.
14/12 maggio 2008, Libreria Mondadori, Latina.
settembre 2008– Milano, da definire location e data -
Amelia Valletta nasce a Napoli nel 1970. Architetto, giornalista e drammaturga, lavora da anni sul tema della “narrazione archetipa”, una ricerca che investe ambiti apparentemente molto distanti ma in realtà profondamente legati da ciò che in essi vi è di immutabile. Studiosa dei linguaggi del design, a Milano ha fondato lo studio Designtools (www.designtools.it) che si occupa di ricerca sui linguaggi del design. Vive e lavora tra Napoli e Milano.
17
maggio 2008
Amelia Valletta – Atlantikwall.fr/bunker’s village. Diario di un viaggio
Dal 17 al 24 maggio 2008
fotografia
Location
LIBRERIA MONDADORI
Latina, Via Cesare Battisti, 16, (Latina)
Latina, Via Cesare Battisti, 16, (Latina)
Sito web
www.designtools.it
Autore