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Andrew Smaldone – One Thing Against Another Creates
La luce è come il fossile di un organismo che racconta nella sua forma irrigidita la propria inadeguatezza al mutare delle condizioni: come la sconfitta della capacità di evoluzione, di adattamento.
Comunicato stampa
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L’anno scorso da un’altra parte
A Marienbad, l’anno scorso, forse e semplicemente non è successo niente. La pellicola di Alain Resnais, L'année dernière à Marienbad, annoda l’estremo tra tutti i suoi paradossi nella possibilità che la memoria fallace sia quella dell’uomo, ostinato a far riemergere il ricordo di un incontro, e non quella della donna, che di quell’incontro non trattiene nulla. La realtà di quell’evento si disperde in tutti i tentativi di renderlo riconoscibile e anche di dargli una conseguenza, o un significato rispetto al presente.
Scrivo di Resnais e del suo argomentatissimo film perché riguardandolo a distanza di anni trovo ancora che sia lo spazio fisico la presenza costante, anche se metamorfica e definitivamente inaffidabile. In apparenza solido e immanente, lo spazio architettonico rivela una condizione di impermanenza, si riflette nelle sue stesse rappresentazioni e prende una natura ambigua estraendo da sé il proprio significato e parlando di altre dimensioni – più o meno – reali.
Il tempo rarefatto nelle opere di Andrew Smaldone proviene dall’osservazione dell’architettura e da un processo di estrazione simile. Lo spazio genera immagini legate a un ricordo dell’artista in cui l’arte, come pratica, come formazione, come percezione, ha occupato quelle stanze: una scuola d’arte a Londra, una galleria non profit in Italia. Nel momento in cui vengono ritratte, dismessa la funzione originaria, le architetture di Andrew rivelano di conservare una memoria dormiente della loro storia, di quello che hanno accolto. Si tratta di qualcosa che, come nelle visioni dei personaggi di Resnais, non si è indurita in una forma definitiva, ma continua a trasformarsi, si mantiene plastica e modificabile da parte di chi torna a sollevare il sipario per lasciar passare la luce.
Sensibilmente è proprio la luce (più persistente degli odori e dei sapori, più pervasiva di qualsiasi altro fattore nello scatenare la reminiscenza) a veicolare la memoria: il suo depositarsi sulle superfici, il suo attenuarsi, il suo creare, assieme all’ombra, un mondo riflesso, più intenso, fragile, più profondo del mondo materiale. Il baricentro di questo modo di osservare e restituire l’ambiente si sintetizza nelle parole di Jun’ichiro Tanizaki scelte da Andrew come titolo della sua mostra, che dichiarano la passione e l’interesse a cercare la bellezza non nelle cose stesse, ma “nelle fantasie delle ombre, nella luce e nell'oscurità che one thing against another creates”.
La luce è come il fossile di un organismo che racconta nella sua forma irrigidita la propria inadeguatezza al mutare delle condizioni: come la sconfitta della capacità di evoluzione, di adattamento. Con questa filigrana, nelle opere di Andrew emerge anche l’ammissione della predilezione, romantica ma non sentimentale, per la malinconia, per la solitudine dello spazio, privato della sua funzione, e per la contemplazione del tempo. Un tempo inteso in maniera ellittica dove senza rimpianti, e con la lucidità di chi sa comprendere le frizioni della storia, il desiderio colloca uno stato di esistenza che forse non si è mai verificato, non sotto le condizioni fisiche del mondo tangibile. La solitudine dello spazio rivela la solitudine nel tempo.
Pietro Gaglianò
A Marienbad, l’anno scorso, forse e semplicemente non è successo niente. La pellicola di Alain Resnais, L'année dernière à Marienbad, annoda l’estremo tra tutti i suoi paradossi nella possibilità che la memoria fallace sia quella dell’uomo, ostinato a far riemergere il ricordo di un incontro, e non quella della donna, che di quell’incontro non trattiene nulla. La realtà di quell’evento si disperde in tutti i tentativi di renderlo riconoscibile e anche di dargli una conseguenza, o un significato rispetto al presente.
Scrivo di Resnais e del suo argomentatissimo film perché riguardandolo a distanza di anni trovo ancora che sia lo spazio fisico la presenza costante, anche se metamorfica e definitivamente inaffidabile. In apparenza solido e immanente, lo spazio architettonico rivela una condizione di impermanenza, si riflette nelle sue stesse rappresentazioni e prende una natura ambigua estraendo da sé il proprio significato e parlando di altre dimensioni – più o meno – reali.
Il tempo rarefatto nelle opere di Andrew Smaldone proviene dall’osservazione dell’architettura e da un processo di estrazione simile. Lo spazio genera immagini legate a un ricordo dell’artista in cui l’arte, come pratica, come formazione, come percezione, ha occupato quelle stanze: una scuola d’arte a Londra, una galleria non profit in Italia. Nel momento in cui vengono ritratte, dismessa la funzione originaria, le architetture di Andrew rivelano di conservare una memoria dormiente della loro storia, di quello che hanno accolto. Si tratta di qualcosa che, come nelle visioni dei personaggi di Resnais, non si è indurita in una forma definitiva, ma continua a trasformarsi, si mantiene plastica e modificabile da parte di chi torna a sollevare il sipario per lasciar passare la luce.
Sensibilmente è proprio la luce (più persistente degli odori e dei sapori, più pervasiva di qualsiasi altro fattore nello scatenare la reminiscenza) a veicolare la memoria: il suo depositarsi sulle superfici, il suo attenuarsi, il suo creare, assieme all’ombra, un mondo riflesso, più intenso, fragile, più profondo del mondo materiale. Il baricentro di questo modo di osservare e restituire l’ambiente si sintetizza nelle parole di Jun’ichiro Tanizaki scelte da Andrew come titolo della sua mostra, che dichiarano la passione e l’interesse a cercare la bellezza non nelle cose stesse, ma “nelle fantasie delle ombre, nella luce e nell'oscurità che one thing against another creates”.
La luce è come il fossile di un organismo che racconta nella sua forma irrigidita la propria inadeguatezza al mutare delle condizioni: come la sconfitta della capacità di evoluzione, di adattamento. Con questa filigrana, nelle opere di Andrew emerge anche l’ammissione della predilezione, romantica ma non sentimentale, per la malinconia, per la solitudine dello spazio, privato della sua funzione, e per la contemplazione del tempo. Un tempo inteso in maniera ellittica dove senza rimpianti, e con la lucidità di chi sa comprendere le frizioni della storia, il desiderio colloca uno stato di esistenza che forse non si è mai verificato, non sotto le condizioni fisiche del mondo tangibile. La solitudine dello spazio rivela la solitudine nel tempo.
Pietro Gaglianò
14
gennaio 2014
Andrew Smaldone – One Thing Against Another Creates
Dal 14 al 28 gennaio 2014
arte contemporanea
Location
SRISA GALLERY OF CONTEMPORARY ART
Firenze, Via San Gallo, 53/r, (Firenze)
Firenze, Via San Gallo, 53/r, (Firenze)
Orario di apertura
da Lunedi a Venerdi dalle ore 12 alle 19
Vernissage
14 Gennaio 2014, ore 18:30
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