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Angela Maria Alberti / Valente Cancogni – Come in alto così in basso
doppia personale di scultura
Comunicato stampa
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VALENTE CANCOGNI
C’è, nella scultura di Valente Cancogni, una evidente, e quasi proclamata, intenzione di vincere la pesantezza, densa e opaca, della materia.
Tutto ciò ubbidisce a una necessità espressiva, che è quella di dare forma al movimento ma anche quella di cercare l’identità profonda della figura, oltreché a sollecitazioni interiori che non si arrestano neppure di fronte all’inevitabile aggressione ai valori plastici della materia.
Il risultato è così una progressiva perdita di densità, per cui il movimento non è più sorretto dalla spinta interiore della materia, ma dalla modulazione dei profili e dalla frammentazione delle superfici.
Ecco così la forte concentrazione delle figure in attesa come di quelle prese dal vorticare di una danza, in ogni caso struggimenti dell’anima che si condensano in forme fantasmatiche, sostenute da una materia ormai allo stremo, come cera molle provata dal fuoco o, se si vuole, come neve che prova a resistere al sole.
Ed ecco ancora figure che si sfaldano in una nostalgia delle vigore perduto, ma che anche per questa via non intendono rinunciare ad occupare lo spazio da cui sono costrette a ritrarsi, e perciò si affidano allo sviluppo di un vaporoso movimento, in cui si spande il senso di mistero che sprigiona la loro concentrazione espressiva.
Perché all’uomo si può togliere tutto, carne e nervi e sangue, cercando di cancellare ogni connotazione della sua identità fisica, ma alla fine rimane, inafferrabile e perciò indistruttibile come la presenza degli angeli, l’aura della sua umanità.
ANGELA MARIA ALBERTI
C’è assoluta coincidenza in queste donne, fra esigenze poetiche e intenzioni formali. Come se indagando l’essenza di una identità misteriosa e complessa come quella femminile, Angela Alberti dovesse inevitabilmente approdare a forme che occupano lo spazio senza aggredirlo, riuscendo a contenere nel loro sviluppo esteriore le sollecitazioni di un impulso vitale profondo, ancestrale e perciò inestinguibile.
Da qui queste forme piene e sode, come polpa di frutta opulenta, che lievitano lentamente e senza sforzo, come il pane; e del pane conservano la salda riservatezza, il senso della misura, l’idea che possa esistere una bellezza utile e buona.
Un sentimento delle origini che si raccoglie tutto nel sapore arcaico delle superfici, e per il resto si affida ad uno sforzo di sintesi che non cede mai alla stilizzazione primitiva, ma rimane ancorato alla costruzione rigorosa della forma e al senso poetico, delicato e generoso, della figura.
Anche quando la deformazione è una evidente intenzione espressiva, come nella Caduta, deve così essere sorretta dal rigore della figura, che si concentra accennando appena alle divisioni fra le parti del corpo e allo sviluppo delle sue articolazioni, e poi si dilata per superfici tranquille e profili ondeggianti, lasciando trasparire intatto il vigore architettonico della sensualità.
Dal punto di vista formale si tratta di restituire alla natura i suoi misteri; nelle intenzioni poetiche di dare corpo a una figura che esprima fino in fondo la generosità delle donne, senza dimenticarne l’intransigenza, la serietà, il coraggio.
C’è, nella scultura di Valente Cancogni, una evidente, e quasi proclamata, intenzione di vincere la pesantezza, densa e opaca, della materia.
Tutto ciò ubbidisce a una necessità espressiva, che è quella di dare forma al movimento ma anche quella di cercare l’identità profonda della figura, oltreché a sollecitazioni interiori che non si arrestano neppure di fronte all’inevitabile aggressione ai valori plastici della materia.
Il risultato è così una progressiva perdita di densità, per cui il movimento non è più sorretto dalla spinta interiore della materia, ma dalla modulazione dei profili e dalla frammentazione delle superfici.
Ecco così la forte concentrazione delle figure in attesa come di quelle prese dal vorticare di una danza, in ogni caso struggimenti dell’anima che si condensano in forme fantasmatiche, sostenute da una materia ormai allo stremo, come cera molle provata dal fuoco o, se si vuole, come neve che prova a resistere al sole.
Ed ecco ancora figure che si sfaldano in una nostalgia delle vigore perduto, ma che anche per questa via non intendono rinunciare ad occupare lo spazio da cui sono costrette a ritrarsi, e perciò si affidano allo sviluppo di un vaporoso movimento, in cui si spande il senso di mistero che sprigiona la loro concentrazione espressiva.
Perché all’uomo si può togliere tutto, carne e nervi e sangue, cercando di cancellare ogni connotazione della sua identità fisica, ma alla fine rimane, inafferrabile e perciò indistruttibile come la presenza degli angeli, l’aura della sua umanità.
ANGELA MARIA ALBERTI
C’è assoluta coincidenza in queste donne, fra esigenze poetiche e intenzioni formali. Come se indagando l’essenza di una identità misteriosa e complessa come quella femminile, Angela Alberti dovesse inevitabilmente approdare a forme che occupano lo spazio senza aggredirlo, riuscendo a contenere nel loro sviluppo esteriore le sollecitazioni di un impulso vitale profondo, ancestrale e perciò inestinguibile.
Da qui queste forme piene e sode, come polpa di frutta opulenta, che lievitano lentamente e senza sforzo, come il pane; e del pane conservano la salda riservatezza, il senso della misura, l’idea che possa esistere una bellezza utile e buona.
Un sentimento delle origini che si raccoglie tutto nel sapore arcaico delle superfici, e per il resto si affida ad uno sforzo di sintesi che non cede mai alla stilizzazione primitiva, ma rimane ancorato alla costruzione rigorosa della forma e al senso poetico, delicato e generoso, della figura.
Anche quando la deformazione è una evidente intenzione espressiva, come nella Caduta, deve così essere sorretta dal rigore della figura, che si concentra accennando appena alle divisioni fra le parti del corpo e allo sviluppo delle sue articolazioni, e poi si dilata per superfici tranquille e profili ondeggianti, lasciando trasparire intatto il vigore architettonico della sensualità.
Dal punto di vista formale si tratta di restituire alla natura i suoi misteri; nelle intenzioni poetiche di dare corpo a una figura che esprima fino in fondo la generosità delle donne, senza dimenticarne l’intransigenza, la serietà, il coraggio.
29
giugno 2006
Angela Maria Alberti / Valente Cancogni – Come in alto così in basso
Dal 29 giugno al 15 luglio 2006
arte contemporanea
Location
CHIOSTRO DI SAN FRANCESCO
Massa, Piazza San Francesco, (Massa-carrara)
Massa, Piazza San Francesco, (Massa-carrara)
Orario di apertura
tutti i giorni ore 18.00/22.00 - domenica ore 10.00/13.00 -18.00/22.00 - lunedì chiuso
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