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Annalisa Mitrano – La leggerezza e il peso dell’invisibile
L’artista abbandona lo stile figurativo e illustrativo e traduce in forme astratte quell’irrequieto bisogno di oltrepassare la soglia dell’apparenza e scavare nelle viscere, negli abissi dell’animo umano
Comunicato stampa
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“Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”.
Testo di Manuela Ciriacono
Andare oltre. Oltre la realtà, oltre il visibile. Mostrare ciò che è nascosto nelle pieghe di un sentimento.
Alzare il sipario e sbirciare dietro le quinte. Cosa c’è dietro (l’apparenza)? Cosa c’è dentro (di noi)?
...Quanti artisti si sono interrogati su questo? Innumerevoli. Annalisa Mitrano è tra questi, ma ha
sicuramente il merito di aver tradotto tali interrogativi esistenziali in materia, cercando di rappresentare
visivamente il lato nascosto delle cose (o di noi stessi), quello scomodo, quello che di solito non ci piace
mostrare, né amiamo raccontare. Simbolisti e surrealisti per primi aprirono le porte dell’arte sul nostro
inconscio, fecero intuire l’esistenza di un mondo “altro”, misterioso e oscuro, non governato dalla
ragione e dalla razionalità, intrappolato nei meandri della psiche umana. Cominciarono, appunto,
un’opera di messa in discussione della realtà così come lo conosciamo, di rappresentazione del mistero,
dell’illogico. Così, vedendo i lavori di Annalisa, mi sono subito venute in mente le opere di Magritte e
Escher, ma, a differenza degli illustri predecessori, Annalisa abbandona lo stile figurativo e illustrativo e
traduce in forme astratte quell’irrequieto bisogno di oltrepassare la soglia dell’apparenza e scavare nelle
viscere, negli abissi dell’animo umano. Annalisa plasma la materia scultorea per dare forma a questa sua
incontrollabile necessità di “scavo”, a questa convulsa e quasi rituale pratica di svelamento del reale.
Utilizza sapientemente materiali diversi (piombo, ceramica, legno, plexiglass), procedendo per
stratificazioni successive, per visualizzare il caos di situazioni ed eventi in cui ci troviamo nostro
malgrado aggrovigliati e rispetto a cui cerchiamo una via di fuga, ma anche per descrivere il complicato
affastellarsi di emozioni e sensazioni, chiuse a chiave nei nostri “Spazi Interiori”, come recita appunto il
titolo di un’opera. Nel delicato equilibrio tra mondo esteriore e universo interiore è racchiuso il senso
della ricerca di Annalisa, che si dipana come un intimo racconto attraverso pagine non scritte,
dimenticate sul fondo di un cassetto, accantonate in un angolo del cuore. Le sue sculture, così come i
meticolosi disegni che spesso le anticipano, pongono l’osservatore davanti ad una linea di confine, ad
una sottile fenditura tra esterno ed interno, tra fuori e dentro, rispetto a cui è spesso difficile
determinare ove si collochi il nostro punto di vista (a volte è il nostro sguardo che si perde nelle
profondità, come nella serie “Energie silenti” o “Moto Perpetuo”, altre volte assistiamo a spontanei
“Affioramenti”). La poetica di Annalisa si costruisce, infatti, intorno a un modulo ricorrente che assume
le sembianze di un foglio morbidamente ripiegato su sé stesso, colto nell’istante in cui lascia intravedere
lo strato sottostante, lasciando l’osservatore in uno stato di inquieta attesa e sospensione, data
dall’impossibilità di vedere e comprendere pienamente cosa si nasconda dietro al susseguirsi
disordinato di questi frammenti. L’alternanza inconsueta di materiali molto differenti tra loro, per
caratteristiche e sensazioni che riescono a trasmettere allo spettatore, contribuisce ad accrescere il
pathos di tale rivelazione in fieri, come accade nel lento processo di sublimazione materica delle opere
“Linea Nera” e “Distacco”. Talvolta le pagine si scostano lievemente, talaltra sembrano sollevarsi
all’improvviso, come mosse da una forza superiore, altre volte ancora a tenerle insieme è un filo che
sembra voler ricucire i lembi di una ferita antica. Commuove pensare che le opere di Annalisa possano in
qualche modo rappresentare l’aspetto della nostra anima. Che è fatta di ricordi sedimentati nel
profondo, talvolta anche arrugginiti, di memorie sgualcite, verità nascoste, sentimenti strappati, parole
trattenute, ferite che il tempo ha saputo ricucire. Ecco, io forse vorrei pensare che questi strati possano
essere la fotografia della nostra anima rattoppata, che conosce abissi e perdizioni, ma anche vette di
purezza e lievità...e non possiamo negare che sia così quando ci fermiamo davanti all’opera “Simulacro”
e tra le pieghe che si schiudono davanti a noi intravediamo il nostro riflesso che ci osserva. Allora penso
a quella poesia di Alda Merini e ci trovo Annalisa, ci trovo Manuela, ci trovo ogni anima allo specchio:
O donne povere e sole,
violentate da chi
non vi conosce.
Donne che avete mani
sull’infanzia,
esultanti segreti
d’amore tenete conto
che la vostra voracità
naturale non
sarà mai saziata.
Mangerete polvere,
cercherete d’impazzire
e non ci riuscirete,
avrete sempre il filo
della ragione che vi
taglierà in due.
Ma da queste profonde
ferite usciranno
farfalle libere.
Testo di Manuela Ciriacono
Andare oltre. Oltre la realtà, oltre il visibile. Mostrare ciò che è nascosto nelle pieghe di un sentimento.
Alzare il sipario e sbirciare dietro le quinte. Cosa c’è dietro (l’apparenza)? Cosa c’è dentro (di noi)?
...Quanti artisti si sono interrogati su questo? Innumerevoli. Annalisa Mitrano è tra questi, ma ha
sicuramente il merito di aver tradotto tali interrogativi esistenziali in materia, cercando di rappresentare
visivamente il lato nascosto delle cose (o di noi stessi), quello scomodo, quello che di solito non ci piace
mostrare, né amiamo raccontare. Simbolisti e surrealisti per primi aprirono le porte dell’arte sul nostro
inconscio, fecero intuire l’esistenza di un mondo “altro”, misterioso e oscuro, non governato dalla
ragione e dalla razionalità, intrappolato nei meandri della psiche umana. Cominciarono, appunto,
un’opera di messa in discussione della realtà così come lo conosciamo, di rappresentazione del mistero,
dell’illogico. Così, vedendo i lavori di Annalisa, mi sono subito venute in mente le opere di Magritte e
Escher, ma, a differenza degli illustri predecessori, Annalisa abbandona lo stile figurativo e illustrativo e
traduce in forme astratte quell’irrequieto bisogno di oltrepassare la soglia dell’apparenza e scavare nelle
viscere, negli abissi dell’animo umano. Annalisa plasma la materia scultorea per dare forma a questa sua
incontrollabile necessità di “scavo”, a questa convulsa e quasi rituale pratica di svelamento del reale.
Utilizza sapientemente materiali diversi (piombo, ceramica, legno, plexiglass), procedendo per
stratificazioni successive, per visualizzare il caos di situazioni ed eventi in cui ci troviamo nostro
malgrado aggrovigliati e rispetto a cui cerchiamo una via di fuga, ma anche per descrivere il complicato
affastellarsi di emozioni e sensazioni, chiuse a chiave nei nostri “Spazi Interiori”, come recita appunto il
titolo di un’opera. Nel delicato equilibrio tra mondo esteriore e universo interiore è racchiuso il senso
della ricerca di Annalisa, che si dipana come un intimo racconto attraverso pagine non scritte,
dimenticate sul fondo di un cassetto, accantonate in un angolo del cuore. Le sue sculture, così come i
meticolosi disegni che spesso le anticipano, pongono l’osservatore davanti ad una linea di confine, ad
una sottile fenditura tra esterno ed interno, tra fuori e dentro, rispetto a cui è spesso difficile
determinare ove si collochi il nostro punto di vista (a volte è il nostro sguardo che si perde nelle
profondità, come nella serie “Energie silenti” o “Moto Perpetuo”, altre volte assistiamo a spontanei
“Affioramenti”). La poetica di Annalisa si costruisce, infatti, intorno a un modulo ricorrente che assume
le sembianze di un foglio morbidamente ripiegato su sé stesso, colto nell’istante in cui lascia intravedere
lo strato sottostante, lasciando l’osservatore in uno stato di inquieta attesa e sospensione, data
dall’impossibilità di vedere e comprendere pienamente cosa si nasconda dietro al susseguirsi
disordinato di questi frammenti. L’alternanza inconsueta di materiali molto differenti tra loro, per
caratteristiche e sensazioni che riescono a trasmettere allo spettatore, contribuisce ad accrescere il
pathos di tale rivelazione in fieri, come accade nel lento processo di sublimazione materica delle opere
“Linea Nera” e “Distacco”. Talvolta le pagine si scostano lievemente, talaltra sembrano sollevarsi
all’improvviso, come mosse da una forza superiore, altre volte ancora a tenerle insieme è un filo che
sembra voler ricucire i lembi di una ferita antica. Commuove pensare che le opere di Annalisa possano in
qualche modo rappresentare l’aspetto della nostra anima. Che è fatta di ricordi sedimentati nel
profondo, talvolta anche arrugginiti, di memorie sgualcite, verità nascoste, sentimenti strappati, parole
trattenute, ferite che il tempo ha saputo ricucire. Ecco, io forse vorrei pensare che questi strati possano
essere la fotografia della nostra anima rattoppata, che conosce abissi e perdizioni, ma anche vette di
purezza e lievità...e non possiamo negare che sia così quando ci fermiamo davanti all’opera “Simulacro”
e tra le pieghe che si schiudono davanti a noi intravediamo il nostro riflesso che ci osserva. Allora penso
a quella poesia di Alda Merini e ci trovo Annalisa, ci trovo Manuela, ci trovo ogni anima allo specchio:
O donne povere e sole,
violentate da chi
non vi conosce.
Donne che avete mani
sull’infanzia,
esultanti segreti
d’amore tenete conto
che la vostra voracità
naturale non
sarà mai saziata.
Mangerete polvere,
cercherete d’impazzire
e non ci riuscirete,
avrete sempre il filo
della ragione che vi
taglierà in due.
Ma da queste profonde
ferite usciranno
farfalle libere.
28
novembre 2015
Annalisa Mitrano – La leggerezza e il peso dell’invisibile
Dal 28 novembre 2015 al 04 gennaio 2016
arte contemporanea
Location
SPAZIO DANSEEI
Olgiate Olona, Via Oriani, 62, (Varese)
Olgiate Olona, Via Oriani, 62, (Varese)
Orario di apertura
Venerdì e sabato 16.00 – 19.00 e su appuntamento
Vernissage
28 Novembre 2015, ore 16.30
Autore