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Annamaria Targher – Ninfee
un’improbabile convivenza di toni il cui non compiacersi salva questa ipotetica serialità dall’imperterrita verità luccicante del pop e affida la serie tutta delle Ninfee all’atteggiamento e al credo esistenziale della pittura.
Comunicato stampa
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La serie Ninfee segue, oscillando tra la paranoica tranquillità delle stesure piatte e l’indagine minuziosa e calibrata della composizione (così radente la psicologia della forma), lo scossone del periodo ritrattistico.
Pretesto per rifondare l’autonomia della pittura, il ritorno all’astrazione va inteso, in questo caso, come atto di suprema libertà o, per converso, come proiezione e ombra di sé: coraggio di guardarsi dentro. Sarà proprio il soggetto precedentemente ritratto a suggerire all’artista questo confacente approdo: l’ osare sporgersi (ora, con un rinnovato coraggio) sul proprio baratro. Si radicalizza, in tal modo, la distanza dell’opzione astratta dall’elemento di realtà condivisa per calarsi nel vicolo cieco, solipsistico e, al contempo, responsabile del fare dell’artista.
L’escamotage tematico reiterato, infatti, non ha nulla da condividere con le possibilità rappresentative, derivanti dal mutare del dato naturale, che hanno fomentato la particolare simbiosi di Monet con questo fiore. Natura, forse, svilita nelle sue probabilità espressive e ardere di un folle scandagliare che si aggrappa alla pura teorizzazione formale per non accecarsi e perdersi nel proprio errare biografico: quasi tutte le Ninfee, infatti, partono dal nero. Un nero asciutto - mai più pesante di un sottilissimo velo - o spessore come ardua manifestazione di una muliebre divagazione, differenza minimale o tributo all’indifferenziazione così da ricordare le parole di Wittgenstein “Il nero lucido e quello opaco non potrebbero avere nomi diversi?” e quasi tutte hanno un filo rosso che le accomuna: il risveglio del rosso di cadmio.
Estremo gioco dell’oggetto – soggetto e coscienza del limite investigativo; luogo dove la ripetizione può comportare il rischio di una dolciastra “ricaduta nel gusto” o di una “degradazione immediata” (Paz a proposito di Duchamp) suggerite da un’improbabile convivenza di toni il cui non compiacersi salva però questa ipotetica serialità dall’imperterrita verità luccicante del pop e affida la serie tutta delle Ninfee all’atteggiamento e al credo esistenziale della pittura.
Pretesto per rifondare l’autonomia della pittura, il ritorno all’astrazione va inteso, in questo caso, come atto di suprema libertà o, per converso, come proiezione e ombra di sé: coraggio di guardarsi dentro. Sarà proprio il soggetto precedentemente ritratto a suggerire all’artista questo confacente approdo: l’ osare sporgersi (ora, con un rinnovato coraggio) sul proprio baratro. Si radicalizza, in tal modo, la distanza dell’opzione astratta dall’elemento di realtà condivisa per calarsi nel vicolo cieco, solipsistico e, al contempo, responsabile del fare dell’artista.
L’escamotage tematico reiterato, infatti, non ha nulla da condividere con le possibilità rappresentative, derivanti dal mutare del dato naturale, che hanno fomentato la particolare simbiosi di Monet con questo fiore. Natura, forse, svilita nelle sue probabilità espressive e ardere di un folle scandagliare che si aggrappa alla pura teorizzazione formale per non accecarsi e perdersi nel proprio errare biografico: quasi tutte le Ninfee, infatti, partono dal nero. Un nero asciutto - mai più pesante di un sottilissimo velo - o spessore come ardua manifestazione di una muliebre divagazione, differenza minimale o tributo all’indifferenziazione così da ricordare le parole di Wittgenstein “Il nero lucido e quello opaco non potrebbero avere nomi diversi?” e quasi tutte hanno un filo rosso che le accomuna: il risveglio del rosso di cadmio.
Estremo gioco dell’oggetto – soggetto e coscienza del limite investigativo; luogo dove la ripetizione può comportare il rischio di una dolciastra “ricaduta nel gusto” o di una “degradazione immediata” (Paz a proposito di Duchamp) suggerite da un’improbabile convivenza di toni il cui non compiacersi salva però questa ipotetica serialità dall’imperterrita verità luccicante del pop e affida la serie tutta delle Ninfee all’atteggiamento e al credo esistenziale della pittura.
14
agosto 2010
Annamaria Targher – Ninfee
Dal 14 al 25 agosto 2010
arte contemporanea
Location
SALA COMUNALE
Folgaria, Via Roma, 60, (Trento)
Folgaria, Via Roma, 60, (Trento)
Orario di apertura
tutti i giorni: 10.30–12.30; 17.00–19.00; 21.00–22.00
Vernissage
14 Agosto 2010, no vernissage
Sito web
www.annamariatargher.it
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