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Armando Donna (Vercelli 1913-1994) – Incisioni
Mostra personale
Comunicato stampa
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L’essenza dell’arte è una riservatezza infinita.
Gottfried Benn
L’arte, come tante fra le cose più belle, viene meglio se un po’ di nascosto.
Emilio Cecchi
Considero un onore essere stato invitato a presentare questo catalogo dell’opera incisa di Armando Donna, che meritava di essere rivalutata al di fiori delle rumorose ma effimere indicazioni delle mode e degli interessi da cui è governato il mercato dell’arte.
Sta accadendo per Armando Donna, infatti, ciò che prima o poi, in sede di collaborazione storica, si verifica per gli artisti che sono stati grandi e solitari: che la loro memoria e il loro valore riescono ad abbattere i muri della disattenzione o dell’indifferenza mentre al contrario svaniscono reputazioni costruite sull’artificio.
Venuto che sia il tempo di bilanci non provvisori, nelle coscienze e nei luoghi dove il lavoro artistico non ha soltanto un valore di mercato ma testimonia della sensibilità umana e della civiltà di un Paese, il doppio lascito di Armando Donna - una tenace vocazione a incidere con il bulino le visioni di un sogno d’artista durato tutta una vita, un’opera grafica di quasi cinquecento lastre che vibrano di sempre rinnovate emozioni - è sicuramente destinato a lasciare un’impronta profonda nella storia delle arti figurative di questa seconda metà del secolo.
Sono sicuro che questo bel catalogo - nato dall’impegno affettuoso del figlio e dall’ammirazione devota di quanti, avendo conosciuto questo prezioso Archivista delle immagini del nostro tempo, hanno da lui ricevuto anche una lezione di coerenza morale - contribuirà a mettere in luce la grandezza di un artista che aveva scelto l’isolamento in una città di provincia per non essere distolto dall’impresa ch’era lo scopo della sua vita: essere un costruttore di incantesimi e di sogni.
In Morte a Venezia Thomas Mann osserva che “la solitudine fa maturare l’originalità, la bellezza strana ed inquietante, la poesia”, ma aggiunge che essa “comporta il rischio contrario dello sproporzionato, dell’assurdo e dell’illecito”. Ora, Armando Donna - come sa chi l’abbia conosciuto volle la solitudine come condizione per non essere distolto dalla sua arte, che in lui coincideva con l’idea stessa della felicità; ma proprio per questo la sua non è stata una felicità amara, tanto meno insopportabile. Era la solitudine di cui parla Rilke nelle Lettere a un giovane poeta: un andare avanti sulle strade dell’immaginazione poetica, come il promeneur solitaire di Rousseau, per incontrare se stesso, con l’innocenza gaia di un bimbo. Senza venir mai meno, però, al sentimento di partecipare alla comunità degli uomini, le cui sorti Donna ha sempre diviso con umiltà e adesione totali. Valeva per lui, nelle opere di ogni giorno, quel motto di Albert Camus ch’io credo appartenga agli uomini liberi e responsabili: solidaire et solitaire.
Come artista - dicevo - Donna ha voluto “essere solo” (fino al punto da prendere poca cura dei rapporti con le istituzioni e il mercato dell’arte: le sue presenze in rassegne, gallerie e collezioni di cui dà conto questa pubblicazione erano omaggi dovuti suo valore, mai a sollecitazioni da sua parte) per non subire distrazioni o condizionamenti. La sua non era - vorrei aggiungere - la solitudine di altri artisti a lui simili per la pratica del bulino, quella “selvatica” di Bartolini o quella introversa di Morandi; era la capacità, che aveva in misura spiccata, di spogliarsi di quanto, nel quotidiano, poteva interferire negativamente nel suo progetto di vivere la vita come una rêverie poetica. Non la diserzione dalla comune “fatica di vivere” ma la volontà quasi ascetica di rispondere. giorno dopo giorno, richiami delle “voci di dentro”.
So che in queste righe destinate a sottolineare la qualità e la funzione di questo catalogo io non devo indulgere all’emozione privata dei ricordi. Che sono tanti, non sbiaditi dalla lontananza e che mi porterebbero, in una sorta di congiura dei sentimenti, ad evocare il tempo di un sodalizio fra due giovani (perché tali eravamo allora), che in una piccola città dedita a fatiche agricole e a umili commerci si spartivano “astratti furori” nei quali avevano posto la poesia, la pittura, la musica.
Tuttavia, se guardo quel suo autoritratto eseguito in età già avanzata - il suo sguardo pensoso, la falce di luna ricorrente nei suoi straniti paesaggi, il bulino ch’è stata la piccola spada delle sue battaglie - io non posso non risentire ancora, in un angolo della memoria, il fragile battito del suo minuscolo martello di incisore che mi accoglieva, ormai trasmigrato a Parigi, ogni qualvolta tornavo a trovarlo a Vercelli, chiuso a lavorare nello studio sotto i tetti dell’Accademia di Belle Arti.
Quel picchiettio - che avvertivo o che credevo di avvertire già dal basso, in strada - era la voce stessa dell’amico ritrovato, la conferma che stava lavorando (che stava sognando...), e dunque che per entrambi la vita restava qualcosa di più di un’ombra in cammino, dell’indecifrabile, breve racconto pieno di strepito e furore di cui parla Shakespeare nel Macbeth: era la nostra lunga, ostinata pazienza alla ricerca di un po’ di felicità nei prati celesti della poesia. Un ricordo dolcemente ossessivo, il respiro di un’amicizia ma, anche, il battito stesso del cuore di una città: perché Vercelli, con la sua corona di nebbie della Bassa, ha “respirato”- non soltanto per me, credo - al ritmo di quel bulino infaticabile e fatato.
Era, la sua, un’arte che usava la lingua antica dell’incisione (una lingua che la nostra fretta di vivere vorrebbe condannata a sparire: il che non avverrà) per esprimere inquietudini e consolazioni del tempo presente. Credo che la sfida voluta e vinta da Donna sia consistita proprio in questo: nel rinnovare nei contenuti, così sottraendola al decorativismo degli epigoni, la pratica dell’incisione a bulino, nell’affidargli nuovamente il compito di “raccontare” (e giudicare) il mondo in cui viviamo, fino alle desolate, beckettiane no man lands delle nostre solitudini, di una forse incombente e glaciale finia teme.
Pare a me che uno dei pregi di questo catalogo consista nell’aver ricostruito il senso assolutamente coe¬rente dell’intero percorso di Armando Donna. Un percorso colto attraverso un continuum evolutivo: dal realismo visionario delle prime lastre al successivo iperrealismo metafisico, dalla fase, tecnicamente delicata, del colore affidato al torchio e che chiamerò dell’astrazione lirica al surrealismo pensoso, fino alla rappresentazione allegorica, delle opere ultime, sospese come gridi della coscienza sopra il silenzio.
Queste tappe di una ricerca appassionata e costante, queste variabili di un’immaginazione creatrice mai spenta che hanno tramutato in un’avventura appassionante la lunga giornata di lavoro di un artista apparentemente “sedentario” risultano evidenti grazie al ricco apparato iconico del volume, e trovano puntuali riscontri nello scrupoloso lavoro di catalogazione compiuto da Franco Donna.
Ecco dunque ricostruita la omnia di un artista di cui le Istituzioni della Cultura - in difetto delle capacità valutative del mercato dell’arte - non hanno saputo cogliere finora, se non parzialmente, il valore. Mentre - lo si sappia - dai Paesi dell’Europa venivano a bussare allo studio di Donna giovani artisti desiderosi di apprendere i segreti dell’incisione a bulino da uno dei suoi ultimi cultori. Questa pubblicazione, dunque, non può non avviare un periodo di rivalutazione di un’opera che vigore creativo, coerenza stilistica e zia tecnica rendono assolutamente unica nel panorama delle arti figurative italiane ed europee. Credo di poter affermare, per concludere, che non siamo di fronte ad una delle consuete, frettolose pubblicazioni destinate a supportare manifestazioni d’arte spesso senza avvenire. Abbiamo sotto gli occhi rapporto scritto con la mente e con il cuore, frutto di tre anni di lavoro appassionato. Ci viene incontro, queste pagine, Armando Donna: vivo nella sua restituita grandezza.
Ugo Ronfani
(da: Armando Donna. Catalogo dell’opera incisa, a cura di Franco Donna e Massimo Nardi, Edit Faenza, 2000)
È difficile, per un figlio, portare testimonianza su un padre che è stato un artista, e grande: significa andare oltre la trama forse inestricabile degli affetti, dei ricordi, del rimpianto per isolarne in qualche modo la memoria attraverso l’opera che ci ha lasciato.
Eppure, questo devo cercare di fare - separare in qualche sorta il padre dall’artista - nel momento in cui il lungo, paziente lavoro per il regesto delle opere di Armando Donna si conclude. Tenterò di congedare questa impresa di postumo riconoscimento del suo valore di artista, che lo colloca nelle prime file nel panorama dell’incisione italiana del Novecento secondo il giudizio della critica più autorevole, sforzandomi di non dare soltanto corso alle emozioni e ai sentimenti di figlio. Troppi del resto, sono stati e continuano ad essere gli attestati di stima per la figura e l’opera di mio padre (tanto più preziosi e significativi in quanto egli, nella sua profonda umiltà non era mai andato in cerca di facili consensi), per temere che le mie parole abbiano, in sede critica, il limitato valore di adempimento filiale.
L’idea di questo regesto è nata nella primavera del ‘93, quando da certe nostre conversazioni trassi il convincimento che per lui la realizzazione di questo “inventario” di tutta una vita dedicata all’arte stava diventando un’esigenza quasi fisica. Naturale che prendessi con lui, e con me stesso, l’impegno di portare a termine, dopo la sua morte, questa impresa, che ha richiesto anni di lavoro. Sono stato validamente aiutato, nella fase iniziale, dall’amico Mossimo Nardi, e a lui vada il mio grazie.
Mentre, via via misurando la vastità ed il valore delle opere uscite dal bulino di mio padre, andavo raccogliendo gli elementi necessari alla compilazione del catalogo generale, inevitabilmente rivivevo i ricordi di un’infanzia che è stata felice perché protetta, in ogni giorno della vita, dal suo amore di padre. Mi sono rivisto, bambino, quando affidavo la mia mano alla sua attraverso le piccole, antiche strade della nostra città Vercelli, dove tanti motivi di ispirazione egli aveva trovato. E mi sono rivisto, con lui, nella verde Valsesia delle nostre lontane vacanze, quando a contatto con la natura mio padre mi rivelava - doni inestimabili - i suoi pensieri e i suoi sentimenti di artista che, poiché era grande, poteva comunicare con un fanciullo.
Come fissandosi in un ricordo estremo, oggi rivedo la sua mano docile e sicura nel tracciare le forme, esperta nel dare loro volumi e sfumature che poi avrebbe tradotto nel linguaggio capiente del suo bulino. E sento, ancora, l’odore dell’inchiostro di quando varcavo la soglia del suo studio e mi accostavo al torchio dal quale uscivano le sue incisioni.
Potrei parlare di lui senza fine: ma i miei ricordi di figlio - lo dicevo all’inizio - non devono essere altra che la luce chiara che si proietta, concluso un lavoro di anni, su un’opera che, adesso, si consegna al futuro.
Franco Donna
(da: Armando Donna. Catalogo dell’opera incisa, a cura di Franco Donna e Massimo Nardi, Edit Faenza, 2000)
Note biografiche
1913 - Armando Donna nasce il 5 febbraio a Vercelli, da Giuseppe Donna e Maria Farialotto.
1925 - Inizia a frequentare la Scuola Borgogna (Vercelli) dove segue gli insegnamenti di Francesco Porzio scultore vercellese.
1931 - Si diploma all’Istituto dl Belle Arti di Vercelli.
1933 - A Vercelli riceve da Enzo Gazzone i primi insegnamenti sull’acquaforte. Parte per La Spezia, dove svolgerà il servizio di leva.
1941 - La lettura del libro “Bianco e Nero” di G. F. Guarnati (1937) è decisiva: Armando Donna decide di dedicarsi al bulino.
1943 - A febbraio si sposa con Licia Antonietti. A settembre termina il servizio militare.
1945 - Lavora per la Casa degli Argentieri di Vercelli, incidendo piatti e oggetti vari (portaciprie, portagioie, etc.) mentre da autodidatta si esercita con il bulino su piccole lastre di rame.
1947 - Inizia ad insegnare presso l’Istituto di Belle Arti di Vercelli, in qualità di docente di disegno e tecniche incisorie.
1948 - Incide la sua prima opera a bulino: una natura morta intitolata Libri (cat. 13). Viene invitato da Marcello Boglione alla prima edizione del dopoguerra dell’esposizione della “Società Promotrice delle Belle Arti” di Torino (Palazzo Chiablese) dove espone Natura morta con sedia (cat. 18) e Natura morta con candeliere (cat. 23).
1951 - Viene invItato da Carlo Alberto Petrucci a partecipare per la prima volta ad una mostra all’estero, l’esposizione “Art graphique Italien contemporain” presso la Galleria Georges Giroux di Bruxelles, a fianco dei più importanti incisori italiani: Barbisan, Morandi, Maccari, Manzù.
Tra il 1951 e il 1994 partecipa a numerose esposizioni in Gallerie pubbliche e private) in Italia e all’estero.
1959 - Inizia ad utilizzare la tecnica dell’acquatinta (cat. 197).
1969 - Inizia ad incidere bulini a colori (cat. 280).
1994 - Muore a Vercelli il 18 ottobre.
Gottfried Benn
L’arte, come tante fra le cose più belle, viene meglio se un po’ di nascosto.
Emilio Cecchi
Considero un onore essere stato invitato a presentare questo catalogo dell’opera incisa di Armando Donna, che meritava di essere rivalutata al di fiori delle rumorose ma effimere indicazioni delle mode e degli interessi da cui è governato il mercato dell’arte.
Sta accadendo per Armando Donna, infatti, ciò che prima o poi, in sede di collaborazione storica, si verifica per gli artisti che sono stati grandi e solitari: che la loro memoria e il loro valore riescono ad abbattere i muri della disattenzione o dell’indifferenza mentre al contrario svaniscono reputazioni costruite sull’artificio.
Venuto che sia il tempo di bilanci non provvisori, nelle coscienze e nei luoghi dove il lavoro artistico non ha soltanto un valore di mercato ma testimonia della sensibilità umana e della civiltà di un Paese, il doppio lascito di Armando Donna - una tenace vocazione a incidere con il bulino le visioni di un sogno d’artista durato tutta una vita, un’opera grafica di quasi cinquecento lastre che vibrano di sempre rinnovate emozioni - è sicuramente destinato a lasciare un’impronta profonda nella storia delle arti figurative di questa seconda metà del secolo.
Sono sicuro che questo bel catalogo - nato dall’impegno affettuoso del figlio e dall’ammirazione devota di quanti, avendo conosciuto questo prezioso Archivista delle immagini del nostro tempo, hanno da lui ricevuto anche una lezione di coerenza morale - contribuirà a mettere in luce la grandezza di un artista che aveva scelto l’isolamento in una città di provincia per non essere distolto dall’impresa ch’era lo scopo della sua vita: essere un costruttore di incantesimi e di sogni.
In Morte a Venezia Thomas Mann osserva che “la solitudine fa maturare l’originalità, la bellezza strana ed inquietante, la poesia”, ma aggiunge che essa “comporta il rischio contrario dello sproporzionato, dell’assurdo e dell’illecito”. Ora, Armando Donna - come sa chi l’abbia conosciuto volle la solitudine come condizione per non essere distolto dalla sua arte, che in lui coincideva con l’idea stessa della felicità; ma proprio per questo la sua non è stata una felicità amara, tanto meno insopportabile. Era la solitudine di cui parla Rilke nelle Lettere a un giovane poeta: un andare avanti sulle strade dell’immaginazione poetica, come il promeneur solitaire di Rousseau, per incontrare se stesso, con l’innocenza gaia di un bimbo. Senza venir mai meno, però, al sentimento di partecipare alla comunità degli uomini, le cui sorti Donna ha sempre diviso con umiltà e adesione totali. Valeva per lui, nelle opere di ogni giorno, quel motto di Albert Camus ch’io credo appartenga agli uomini liberi e responsabili: solidaire et solitaire.
Come artista - dicevo - Donna ha voluto “essere solo” (fino al punto da prendere poca cura dei rapporti con le istituzioni e il mercato dell’arte: le sue presenze in rassegne, gallerie e collezioni di cui dà conto questa pubblicazione erano omaggi dovuti suo valore, mai a sollecitazioni da sua parte) per non subire distrazioni o condizionamenti. La sua non era - vorrei aggiungere - la solitudine di altri artisti a lui simili per la pratica del bulino, quella “selvatica” di Bartolini o quella introversa di Morandi; era la capacità, che aveva in misura spiccata, di spogliarsi di quanto, nel quotidiano, poteva interferire negativamente nel suo progetto di vivere la vita come una rêverie poetica. Non la diserzione dalla comune “fatica di vivere” ma la volontà quasi ascetica di rispondere. giorno dopo giorno, richiami delle “voci di dentro”.
So che in queste righe destinate a sottolineare la qualità e la funzione di questo catalogo io non devo indulgere all’emozione privata dei ricordi. Che sono tanti, non sbiaditi dalla lontananza e che mi porterebbero, in una sorta di congiura dei sentimenti, ad evocare il tempo di un sodalizio fra due giovani (perché tali eravamo allora), che in una piccola città dedita a fatiche agricole e a umili commerci si spartivano “astratti furori” nei quali avevano posto la poesia, la pittura, la musica.
Tuttavia, se guardo quel suo autoritratto eseguito in età già avanzata - il suo sguardo pensoso, la falce di luna ricorrente nei suoi straniti paesaggi, il bulino ch’è stata la piccola spada delle sue battaglie - io non posso non risentire ancora, in un angolo della memoria, il fragile battito del suo minuscolo martello di incisore che mi accoglieva, ormai trasmigrato a Parigi, ogni qualvolta tornavo a trovarlo a Vercelli, chiuso a lavorare nello studio sotto i tetti dell’Accademia di Belle Arti.
Quel picchiettio - che avvertivo o che credevo di avvertire già dal basso, in strada - era la voce stessa dell’amico ritrovato, la conferma che stava lavorando (che stava sognando...), e dunque che per entrambi la vita restava qualcosa di più di un’ombra in cammino, dell’indecifrabile, breve racconto pieno di strepito e furore di cui parla Shakespeare nel Macbeth: era la nostra lunga, ostinata pazienza alla ricerca di un po’ di felicità nei prati celesti della poesia. Un ricordo dolcemente ossessivo, il respiro di un’amicizia ma, anche, il battito stesso del cuore di una città: perché Vercelli, con la sua corona di nebbie della Bassa, ha “respirato”- non soltanto per me, credo - al ritmo di quel bulino infaticabile e fatato.
Era, la sua, un’arte che usava la lingua antica dell’incisione (una lingua che la nostra fretta di vivere vorrebbe condannata a sparire: il che non avverrà) per esprimere inquietudini e consolazioni del tempo presente. Credo che la sfida voluta e vinta da Donna sia consistita proprio in questo: nel rinnovare nei contenuti, così sottraendola al decorativismo degli epigoni, la pratica dell’incisione a bulino, nell’affidargli nuovamente il compito di “raccontare” (e giudicare) il mondo in cui viviamo, fino alle desolate, beckettiane no man lands delle nostre solitudini, di una forse incombente e glaciale finia teme.
Pare a me che uno dei pregi di questo catalogo consista nell’aver ricostruito il senso assolutamente coe¬rente dell’intero percorso di Armando Donna. Un percorso colto attraverso un continuum evolutivo: dal realismo visionario delle prime lastre al successivo iperrealismo metafisico, dalla fase, tecnicamente delicata, del colore affidato al torchio e che chiamerò dell’astrazione lirica al surrealismo pensoso, fino alla rappresentazione allegorica, delle opere ultime, sospese come gridi della coscienza sopra il silenzio.
Queste tappe di una ricerca appassionata e costante, queste variabili di un’immaginazione creatrice mai spenta che hanno tramutato in un’avventura appassionante la lunga giornata di lavoro di un artista apparentemente “sedentario” risultano evidenti grazie al ricco apparato iconico del volume, e trovano puntuali riscontri nello scrupoloso lavoro di catalogazione compiuto da Franco Donna.
Ecco dunque ricostruita la omnia di un artista di cui le Istituzioni della Cultura - in difetto delle capacità valutative del mercato dell’arte - non hanno saputo cogliere finora, se non parzialmente, il valore. Mentre - lo si sappia - dai Paesi dell’Europa venivano a bussare allo studio di Donna giovani artisti desiderosi di apprendere i segreti dell’incisione a bulino da uno dei suoi ultimi cultori. Questa pubblicazione, dunque, non può non avviare un periodo di rivalutazione di un’opera che vigore creativo, coerenza stilistica e zia tecnica rendono assolutamente unica nel panorama delle arti figurative italiane ed europee. Credo di poter affermare, per concludere, che non siamo di fronte ad una delle consuete, frettolose pubblicazioni destinate a supportare manifestazioni d’arte spesso senza avvenire. Abbiamo sotto gli occhi rapporto scritto con la mente e con il cuore, frutto di tre anni di lavoro appassionato. Ci viene incontro, queste pagine, Armando Donna: vivo nella sua restituita grandezza.
Ugo Ronfani
(da: Armando Donna. Catalogo dell’opera incisa, a cura di Franco Donna e Massimo Nardi, Edit Faenza, 2000)
È difficile, per un figlio, portare testimonianza su un padre che è stato un artista, e grande: significa andare oltre la trama forse inestricabile degli affetti, dei ricordi, del rimpianto per isolarne in qualche modo la memoria attraverso l’opera che ci ha lasciato.
Eppure, questo devo cercare di fare - separare in qualche sorta il padre dall’artista - nel momento in cui il lungo, paziente lavoro per il regesto delle opere di Armando Donna si conclude. Tenterò di congedare questa impresa di postumo riconoscimento del suo valore di artista, che lo colloca nelle prime file nel panorama dell’incisione italiana del Novecento secondo il giudizio della critica più autorevole, sforzandomi di non dare soltanto corso alle emozioni e ai sentimenti di figlio. Troppi del resto, sono stati e continuano ad essere gli attestati di stima per la figura e l’opera di mio padre (tanto più preziosi e significativi in quanto egli, nella sua profonda umiltà non era mai andato in cerca di facili consensi), per temere che le mie parole abbiano, in sede critica, il limitato valore di adempimento filiale.
L’idea di questo regesto è nata nella primavera del ‘93, quando da certe nostre conversazioni trassi il convincimento che per lui la realizzazione di questo “inventario” di tutta una vita dedicata all’arte stava diventando un’esigenza quasi fisica. Naturale che prendessi con lui, e con me stesso, l’impegno di portare a termine, dopo la sua morte, questa impresa, che ha richiesto anni di lavoro. Sono stato validamente aiutato, nella fase iniziale, dall’amico Mossimo Nardi, e a lui vada il mio grazie.
Mentre, via via misurando la vastità ed il valore delle opere uscite dal bulino di mio padre, andavo raccogliendo gli elementi necessari alla compilazione del catalogo generale, inevitabilmente rivivevo i ricordi di un’infanzia che è stata felice perché protetta, in ogni giorno della vita, dal suo amore di padre. Mi sono rivisto, bambino, quando affidavo la mia mano alla sua attraverso le piccole, antiche strade della nostra città Vercelli, dove tanti motivi di ispirazione egli aveva trovato. E mi sono rivisto, con lui, nella verde Valsesia delle nostre lontane vacanze, quando a contatto con la natura mio padre mi rivelava - doni inestimabili - i suoi pensieri e i suoi sentimenti di artista che, poiché era grande, poteva comunicare con un fanciullo.
Come fissandosi in un ricordo estremo, oggi rivedo la sua mano docile e sicura nel tracciare le forme, esperta nel dare loro volumi e sfumature che poi avrebbe tradotto nel linguaggio capiente del suo bulino. E sento, ancora, l’odore dell’inchiostro di quando varcavo la soglia del suo studio e mi accostavo al torchio dal quale uscivano le sue incisioni.
Potrei parlare di lui senza fine: ma i miei ricordi di figlio - lo dicevo all’inizio - non devono essere altra che la luce chiara che si proietta, concluso un lavoro di anni, su un’opera che, adesso, si consegna al futuro.
Franco Donna
(da: Armando Donna. Catalogo dell’opera incisa, a cura di Franco Donna e Massimo Nardi, Edit Faenza, 2000)
Note biografiche
1913 - Armando Donna nasce il 5 febbraio a Vercelli, da Giuseppe Donna e Maria Farialotto.
1925 - Inizia a frequentare la Scuola Borgogna (Vercelli) dove segue gli insegnamenti di Francesco Porzio scultore vercellese.
1931 - Si diploma all’Istituto dl Belle Arti di Vercelli.
1933 - A Vercelli riceve da Enzo Gazzone i primi insegnamenti sull’acquaforte. Parte per La Spezia, dove svolgerà il servizio di leva.
1941 - La lettura del libro “Bianco e Nero” di G. F. Guarnati (1937) è decisiva: Armando Donna decide di dedicarsi al bulino.
1943 - A febbraio si sposa con Licia Antonietti. A settembre termina il servizio militare.
1945 - Lavora per la Casa degli Argentieri di Vercelli, incidendo piatti e oggetti vari (portaciprie, portagioie, etc.) mentre da autodidatta si esercita con il bulino su piccole lastre di rame.
1947 - Inizia ad insegnare presso l’Istituto di Belle Arti di Vercelli, in qualità di docente di disegno e tecniche incisorie.
1948 - Incide la sua prima opera a bulino: una natura morta intitolata Libri (cat. 13). Viene invitato da Marcello Boglione alla prima edizione del dopoguerra dell’esposizione della “Società Promotrice delle Belle Arti” di Torino (Palazzo Chiablese) dove espone Natura morta con sedia (cat. 18) e Natura morta con candeliere (cat. 23).
1951 - Viene invItato da Carlo Alberto Petrucci a partecipare per la prima volta ad una mostra all’estero, l’esposizione “Art graphique Italien contemporain” presso la Galleria Georges Giroux di Bruxelles, a fianco dei più importanti incisori italiani: Barbisan, Morandi, Maccari, Manzù.
Tra il 1951 e il 1994 partecipa a numerose esposizioni in Gallerie pubbliche e private) in Italia e all’estero.
1959 - Inizia ad utilizzare la tecnica dell’acquatinta (cat. 197).
1969 - Inizia ad incidere bulini a colori (cat. 280).
1994 - Muore a Vercelli il 18 ottobre.
18
aprile 2009
Armando Donna (Vercelli 1913-1994) – Incisioni
Dal 18 aprile al 07 maggio 2009
disegno e grafica
Location
ARIANNA SARTORI ARTE & OBJECT DESIGN
Mantova, Via Ippolito Nievo, 10, (Mantova)
Mantova, Via Ippolito Nievo, 10, (Mantova)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
18 Aprile 2009, ore 18.00
Autore
Curatore