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Babas – Retablos – Mondi in scatola
Babas (aka Barbara Capponi) ha scoperto che i mondi racchiusi nei retablos possono essere infiniti quanto quelli racchiusi nella sua mente. Le sue fantasie hanno trovato casa in piccole teche di 8 centimetri per 20. Mondi minuscoli in cui è facile perdersi
Comunicato stampa
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CATALOGO
BABAS
RETABLOS – Mondi in scatola
2010-2014
Raccontami un film con una frase
Una volta ho incontrato un giovane regista che aveva
vinto il primo premio a un festival di cinema. Io, che
ero in giuria, non l’avevo votato, sebbene il film fosse
notevole. Era stato per mesi in un villaggio sperduto
nell’Atlante, in Marocco e aveva raccontato a passo 1,
senza orpelli, la vita di una coppia di anziani contadini ai
bordi di un villaggio. Al confronto, L’albero degli zoccoli
di Olmi pareva un film d’azione con Van Damme. Gli ho
domandato: “Che cosa fai di mestiere?”. Risposta: “Passo
la vita a convincere i produttori che hanno bisogno di
realizzare i miei film.” In quel momento ho pensato
quanto è prezioso il dono della sintesi quando si devono
sedurre le orecchie di qualcuno. (E come fosse difficile al
corso di cinema raccontare un film con una frase sola.)
Se io dovessi raccontare l’Odissea con una frase,
come faccio? Dove risiedono le fondamenta? Dov’è il
propulsore atomico degli accadimenti? Semplice: è
nel carattere del protagonista. Con poche pennellate
che tratteggiano l’eroe posso prefigurare un grande
affresco. Nella tradizione dei fumetti animati, codificata
come pratica professionale soprattutto in Giappone,
il character è quella creatura che esprime il massimo
significato e sapore con il minimo di segni, ossia la
massima economia del disegno. (In fondo, la differenza
fra gli esseri umani è riconducibile a poche pennellate.)
Il character è un semilavorato narrativo che ha una
duplice funzione. Da una parte risponde alle esigenze
della moderna industria dello storytelling, ossia quella
dei serial e di tutto ciò che può avere un numero
illimitato di puntate. Esiste un luogo imprecisato nello
spazio e nel tempo, in cui ogni anno tutti i character del
mondo, soprattutto quelli televisivi, si danno convegno
e si riempiono di legnate. Vincono solo i più forti.
Sono loro che faranno guadagnare un sacco di soldi ai
produttori. (È stato detto che i serial di qualità sono i
veri eredi del romanzo.)
Dall’altra, è un dono, un modo gentile per trasmettere
una storia a un pubblico senza a tutti costi preoccuparsi
di punti neri e ciglia finte. Ed è certamente questa la
modalità più affine al lavoro di Babas. Dare carta bianca
a una persona è il massimo segno di stima mai concepito
dall’essere umano. Babas dà al suo pubblico due scatole.
In una c’è il character. Nell’altra ci sono dei fogli bianchi.
Il messaggio non potrebbe essere più esplicito: “Caro
amico, io ho creato un carattere, ora sta a te farlo vivere
nelle storie che vorrai. Buona fortuna. (Poi però non
venire da me a lamentarti, ognuno si prenda le sue
responsabilità.)”
È un atto di lungimiranza poetica offrire praterie
sconfinate all’intelligenza. Perché chiudere tutto in un
recinto ossessivo dove ogni cosa è già descritta, detta,
fatta, precotta, senza margini di improvvisazione? Il
character ci porta nel regno del plausibile, che è una
terra di mezzo fra la realtà e l’immaginazione.
I retablos sono complesse pale d’altare in legno dipinto
che hanno avuto una grande diffusione nei paesi del Sud
America. Col tempo si sono trasformati anche in piccole
scatole di legno, dentro le quali vengono ricreate scene
religiose o del quotidiano. Parlano spesso il linguaggio
degli ex voto, ossia scenette in cui il fantastico irrompe
nel quotidiano. (Con tutta la forza di una copertina della
Domenica del Corriere.)
I retablos di Babas sono piccole teche larghe 20
centimetri e alte 8. Sono un inno allo spirito nomade e
alle esigenze di portabilità del contemporaneo: è un’arte
palmare, maneggevole, ergonomica. Minimondi, come li
chiama lei. Sono piccole macchine per generare storie,
juke box abbandonati dalla società di gestione e quindi
utilizzabili a ufo. Devi solo fare una cosa: accendere il
pulsante nella mente. Non sarai mica pigro, vero? Le
storie partono uguali ma finiscono sempre diverse,
perché chi se le scrive in testa è diverso dagli altri.
Babas, pubblicitaria di giorno e artista di notte, ha
sempre lavorato con coerenza e serietà sulla nozione di
character. Ha creato una piccola legione di personaggi
per Findus, fra cui lo svagato Carletto (1998). Ha
inventato lo squalo con l’apparecchio per la copertina
del cd Eat the Phikis di Elio e le Storie Tese (1996) e i
ritratti di pongo dei membri del gruppo all’interno. Ha
concepito lo straordinario libro Double-face (1996) in
cui ha incollato le parti sinistre dei volti con le parti
sinistre, e le parti destre con quelle destre, suggerendo
che dentro di noi convivono il dottor Jekyll e il signor
Hyde. È un approccio evoluto, il suo, nel solco di Andy
Warhol. Non ha fatto come altri creativi, che quando
entrano nell’arte cercano di uccidere la professione.
Al contrario, ha lavorato sullo snodo perfetto fra i due
mondi: le storie, i personaggi.
L’estetica di Babas si muove nei territori del fumetto,
della cultura pop, delle tinte sovraccariche al limite
della parodia. Il che non significa limitarsi a visioni
edulcorate della vita. Per chi scrive, i titoli lunghi
delle opere suonano come un elogio della potenza
della parola e della fantasia ubriaca. E ricordano le
storie del film Big Fish (2003) che hanno il potere di
rimodellare la vita reale. È l’assurda grandeur delle
frottole, bellezza! Le scenette sono episodi in punta di
forchetta, azioni teatrali congelate per sempre. Non
sempre corrispondono al climax della storia, ma sempre
corrispondono a un punto cruciale: un episodio senza
il quale la storia non avrebbe un baricentro e il prima
non porterebbe al dopo. L’effetto è leggermente comico:
ogni mattina siamo condotti a rivivere la stessa scena. E
viene in mente un altro film, Groundhog Day (1993), con
Bill Murray che impeccabilmente sfida ogni mattina il
minaccioso Giorno della Marmotta.
Gli ex voto raccontano di miracoli, situazioni talmente
improbabili da strappare il sorriso. Come vincere alla
lotteria. Come quando il vento porta via lo schermo
del drive-in dove era in programma Via col vento (è
successo veramente). Come quando vai al Santuario
della Beata Vergine delle Grazie, fuori Mantova, e ti
trovi un coccodrillo che vola. Come nelle tavole del
principe dello humour nero Joan Cornellà. I colori sono
quelli del candito ma il sangue è vero e la tragedia è
in agguato. Fuori dalla cornice così rassicurante dei
retablos, c’è un lupo famelico che brancola e sbadiglia.
Meglio non uscire. Non fidatevi troppo dei pupazzetti
sorridenti. Loro sono come noi. Sorridono, e poi
mordono. Chiagnono, e poi fottono. Io vi ho avvisato.
D’altronde l’arte pop è nata così, mischiare l’alto e il
basso, il dolce e l’amaro, la tragedia e la commedia, e
vedere l’effetto che fa. (Il mio eroe preferito è il Capitano
Bobson, così impacciato, perplesso e poetico di fronte
a una misteriosa plancia dei comandi: non sa proprio
dove c***o andare. È l’Ulisse che ci siamo meritati, e si
merita un bacio sulla nuca.)
Eugenio Alberti Schatz
BABAS
RETABLOS – Mondi in scatola
2010-2014
Raccontami un film con una frase
Una volta ho incontrato un giovane regista che aveva
vinto il primo premio a un festival di cinema. Io, che
ero in giuria, non l’avevo votato, sebbene il film fosse
notevole. Era stato per mesi in un villaggio sperduto
nell’Atlante, in Marocco e aveva raccontato a passo 1,
senza orpelli, la vita di una coppia di anziani contadini ai
bordi di un villaggio. Al confronto, L’albero degli zoccoli
di Olmi pareva un film d’azione con Van Damme. Gli ho
domandato: “Che cosa fai di mestiere?”. Risposta: “Passo
la vita a convincere i produttori che hanno bisogno di
realizzare i miei film.” In quel momento ho pensato
quanto è prezioso il dono della sintesi quando si devono
sedurre le orecchie di qualcuno. (E come fosse difficile al
corso di cinema raccontare un film con una frase sola.)
Se io dovessi raccontare l’Odissea con una frase,
come faccio? Dove risiedono le fondamenta? Dov’è il
propulsore atomico degli accadimenti? Semplice: è
nel carattere del protagonista. Con poche pennellate
che tratteggiano l’eroe posso prefigurare un grande
affresco. Nella tradizione dei fumetti animati, codificata
come pratica professionale soprattutto in Giappone,
il character è quella creatura che esprime il massimo
significato e sapore con il minimo di segni, ossia la
massima economia del disegno. (In fondo, la differenza
fra gli esseri umani è riconducibile a poche pennellate.)
Il character è un semilavorato narrativo che ha una
duplice funzione. Da una parte risponde alle esigenze
della moderna industria dello storytelling, ossia quella
dei serial e di tutto ciò che può avere un numero
illimitato di puntate. Esiste un luogo imprecisato nello
spazio e nel tempo, in cui ogni anno tutti i character del
mondo, soprattutto quelli televisivi, si danno convegno
e si riempiono di legnate. Vincono solo i più forti.
Sono loro che faranno guadagnare un sacco di soldi ai
produttori. (È stato detto che i serial di qualità sono i
veri eredi del romanzo.)
Dall’altra, è un dono, un modo gentile per trasmettere
una storia a un pubblico senza a tutti costi preoccuparsi
di punti neri e ciglia finte. Ed è certamente questa la
modalità più affine al lavoro di Babas. Dare carta bianca
a una persona è il massimo segno di stima mai concepito
dall’essere umano. Babas dà al suo pubblico due scatole.
In una c’è il character. Nell’altra ci sono dei fogli bianchi.
Il messaggio non potrebbe essere più esplicito: “Caro
amico, io ho creato un carattere, ora sta a te farlo vivere
nelle storie che vorrai. Buona fortuna. (Poi però non
venire da me a lamentarti, ognuno si prenda le sue
responsabilità.)”
È un atto di lungimiranza poetica offrire praterie
sconfinate all’intelligenza. Perché chiudere tutto in un
recinto ossessivo dove ogni cosa è già descritta, detta,
fatta, precotta, senza margini di improvvisazione? Il
character ci porta nel regno del plausibile, che è una
terra di mezzo fra la realtà e l’immaginazione.
I retablos sono complesse pale d’altare in legno dipinto
che hanno avuto una grande diffusione nei paesi del Sud
America. Col tempo si sono trasformati anche in piccole
scatole di legno, dentro le quali vengono ricreate scene
religiose o del quotidiano. Parlano spesso il linguaggio
degli ex voto, ossia scenette in cui il fantastico irrompe
nel quotidiano. (Con tutta la forza di una copertina della
Domenica del Corriere.)
I retablos di Babas sono piccole teche larghe 20
centimetri e alte 8. Sono un inno allo spirito nomade e
alle esigenze di portabilità del contemporaneo: è un’arte
palmare, maneggevole, ergonomica. Minimondi, come li
chiama lei. Sono piccole macchine per generare storie,
juke box abbandonati dalla società di gestione e quindi
utilizzabili a ufo. Devi solo fare una cosa: accendere il
pulsante nella mente. Non sarai mica pigro, vero? Le
storie partono uguali ma finiscono sempre diverse,
perché chi se le scrive in testa è diverso dagli altri.
Babas, pubblicitaria di giorno e artista di notte, ha
sempre lavorato con coerenza e serietà sulla nozione di
character. Ha creato una piccola legione di personaggi
per Findus, fra cui lo svagato Carletto (1998). Ha
inventato lo squalo con l’apparecchio per la copertina
del cd Eat the Phikis di Elio e le Storie Tese (1996) e i
ritratti di pongo dei membri del gruppo all’interno. Ha
concepito lo straordinario libro Double-face (1996) in
cui ha incollato le parti sinistre dei volti con le parti
sinistre, e le parti destre con quelle destre, suggerendo
che dentro di noi convivono il dottor Jekyll e il signor
Hyde. È un approccio evoluto, il suo, nel solco di Andy
Warhol. Non ha fatto come altri creativi, che quando
entrano nell’arte cercano di uccidere la professione.
Al contrario, ha lavorato sullo snodo perfetto fra i due
mondi: le storie, i personaggi.
L’estetica di Babas si muove nei territori del fumetto,
della cultura pop, delle tinte sovraccariche al limite
della parodia. Il che non significa limitarsi a visioni
edulcorate della vita. Per chi scrive, i titoli lunghi
delle opere suonano come un elogio della potenza
della parola e della fantasia ubriaca. E ricordano le
storie del film Big Fish (2003) che hanno il potere di
rimodellare la vita reale. È l’assurda grandeur delle
frottole, bellezza! Le scenette sono episodi in punta di
forchetta, azioni teatrali congelate per sempre. Non
sempre corrispondono al climax della storia, ma sempre
corrispondono a un punto cruciale: un episodio senza
il quale la storia non avrebbe un baricentro e il prima
non porterebbe al dopo. L’effetto è leggermente comico:
ogni mattina siamo condotti a rivivere la stessa scena. E
viene in mente un altro film, Groundhog Day (1993), con
Bill Murray che impeccabilmente sfida ogni mattina il
minaccioso Giorno della Marmotta.
Gli ex voto raccontano di miracoli, situazioni talmente
improbabili da strappare il sorriso. Come vincere alla
lotteria. Come quando il vento porta via lo schermo
del drive-in dove era in programma Via col vento (è
successo veramente). Come quando vai al Santuario
della Beata Vergine delle Grazie, fuori Mantova, e ti
trovi un coccodrillo che vola. Come nelle tavole del
principe dello humour nero Joan Cornellà. I colori sono
quelli del candito ma il sangue è vero e la tragedia è
in agguato. Fuori dalla cornice così rassicurante dei
retablos, c’è un lupo famelico che brancola e sbadiglia.
Meglio non uscire. Non fidatevi troppo dei pupazzetti
sorridenti. Loro sono come noi. Sorridono, e poi
mordono. Chiagnono, e poi fottono. Io vi ho avvisato.
D’altronde l’arte pop è nata così, mischiare l’alto e il
basso, il dolce e l’amaro, la tragedia e la commedia, e
vedere l’effetto che fa. (Il mio eroe preferito è il Capitano
Bobson, così impacciato, perplesso e poetico di fronte
a una misteriosa plancia dei comandi: non sa proprio
dove c***o andare. È l’Ulisse che ci siamo meritati, e si
merita un bacio sulla nuca.)
Eugenio Alberti Schatz
09
aprile 2014
Babas – Retablos – Mondi in scatola
Dal 09 al 13 aprile 2014
arte contemporanea
Location
SPAZIO 29 SOUTH – INSIDE OUT
Milano, Via Gian Francesco Pizzi, 29, (Milano)
Milano, Via Gian Francesco Pizzi, 29, (Milano)
Orario di apertura
Dalle 11.00 alle 20.00
Vernissage
9 Aprile 2014, ore 19
Autore