Benedetto Bonaffini, nelle sue pitture ne fa un fatto filosofico, azzardiamo una ‘vicinanza’ all'idealismo tedesco, per cui è il soggetto che fa ‘essere’ l'oggetto, perché l'uno non può esistere senza l'altro.
Così si formano le sue immagini-ricordo. Sono ‘memoria’ di luoghi vissuti anche solo per un tempo brevissimo, sono memorie di colori, di rumori, di voci, sono il sentire di un artista nel suo libero itinerare, sono gli ‘incontri’ del (suo) sentire, come lo era per Walser nelle sue ‘passeggiate’. Alle sue tavole l’artista lascia il compito della ‘testimonianza’.
Una frase che Bonaffini ama citare è di Antonio Machado: “Viaggiatore, non esiste un sentiero. I sentieri si aprono camminando”.
E il suo cammino lo concretizza con un atto di meditazione, quel restare sospesi nella memoria che si trasforma in reale.
È un mondo colorato il suo, non a caso ama Hundertwasser, personaggio anomalo nel campo dell’arte, pittore e architetto che amava allontanarsi dagli studi accademici e percorrere itinerari personali fuori dai
‘sentieri battuti’. In queste opere pareti leggere come quinte teatrali si
sovrappongono in uno spazio che sta tra la scena e la realtà, e le finestre che si aprono lasciano sbirciare dettagli di vita.
È tutta una geometria in movimento, la sua, non compaiono persone, la presenza umana silente, fuori dall’inquadratura, agisce nel catturare le immagini.
Il tempo è il tributo che l’artista imprime ai suoi lavori, concatenati tra loro da una memoria cromatica che trasmette di opera in opera: ogni dipinto finito si
‘apparenta’, e si lega, al prossimo che verrà concepito; il colore fresco, inerte e
ancora vibrante sul tavolo, è usato per preparare la cromia del dipinto successivo. È la ‘traccia’ di (quel) ‘sentiero’ di cui parla Machado frutto di un cammino. Il suo.

Alex Donadio