Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Campo aperto: Luciano Caruso – Alchimia degli estremi
Filosofo di formazione, Caruso (Foglianise, 1944 – Firenze, 2002) rivolge la propria ricerca verso il conferimento di un nuovo valore visivo alla dimensione, altrimenti solo verbale e letteraria, della poesia.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nuovo appuntamento per il ciclo Campo
Aperto al Museo Novecento, che dopo Pittura, Pittura di Riccardo
Guarneri vede protagonista l'artista - nonché poeta - Luciano Caruso
(dal 7 giugno al 12 settembre 2019) in una mostra curata da
Alessandra Acocella. Filosofo di formazione, Caruso (Foglianise, 1944 –
Firenze, 2002) rivolge la propria ricerca verso il conferimento di un
nuovo valore visivo alla dimensione, altrimenti solo verbale e
letteraria, della poesia. Nel suo lavoro assume un ruolo di primo piano
la scrittura, della quale accentua gli elementi visuali e materici. Autore
di saggi, componimenti poetici e testi critici, Caruso pubblica una vasta
serie di opere strettamente connesse con la sua produzione di poesie
visuali, libri-opera e libri-oggetto.
La mostra intende tracciare alcune traiettorie della sua intensa e
poliedrica attività artistica, a partire dagli esordi nel vivace ambiente
culturale napoletano al periodo fiorentino, città dove si trasferisce nel
1976. Le opere che costellano il percorso rivelano una ricerca giocata
su una costante e caleidoscopica «alchimia degli estremi» (per citare il
titolo di uno dei suoi ultimi componimenti poetici): dalla stratificazione
dell’elemento tipografico, calligrafico e iconografico, all’essenzialità del
segno-gesto, dall’astrazione del processo mentale, all’immersione
nella fisicità della materia.
Le due sale al primo piano, dedicate agli anni napoletani, ospitano
alcuni esemplari della serie Tabulae (1967): grandi fogli del medesimo
formato caratterizzati da una composizione verbo-visuale arricchita da
scritture calligrafiche, inserti cartacei e materici, stesure e impasti di
inchiostro o di colore, nel segno di una “ripetizione differente”. Negli
stessi anni, questo “iperlinguaggio visuale” trova il suo polo opposto in
esperimenti dall’estremo rigore formale e concettuale. Nascono così
gli ideogrammi, tracciati con larghe pennellate di tempera bianca su
fogli di varia natura (Ideogramma, 1972), le essenziali espressioni
scritturali riattivate mediante un’azione performativa e multisensoriale
(Poesia olfattiva / OM, 1970-1975), le pagine bianche di libri-opera, la
cui “leggibilità” è affidata unicamente a una sequenza di piccole
perforazioni che corrono lungo i bordi o all’interno della superficie
cartacea (Opuscula de methodo, de criteriis et de qualitate, 1973).
Negli ultimi due decenni di attività, interrottasi prematuramente nel
2002, anno della sua scomparsa, Luciano Caruso prosegue un’originale
rielaborazione di temi, tecniche e linguaggi sperimentati negli anni
giovanili, come in una sorta di percorso a ritroso. Questo viaggio
circolare alla ricerca di un segno originario s’intensifica, negli ultimi
anni di vita, attraverso la creazione di poesie visuali, libri-opera e libri-
oggetto nei quali l’artista materializza richiami più o meno cifrati ad
antiche scritture (Kumana I, 1996) e iscrizioni incompiute (Epigrafe
monca, 2002), dove, sulla superficie della pagina, si stagliano tracce
scure di segni alfabetici e ideogrammatici. Anche nella coppia di opere
Senza titolo (1999) sono presenti tracce del suo precedente percorso
creativo e biografico, con l’inserimento, tra i piccoli ritagli giocati sul
contrasto bianco/nero, di riproduzioni dei “carmina” figurata
medievali, tema al centro dei suoi studi giovanili, così come di pezzi di
pellicola, richiamo all’importanza della trascrizione fotografica e filmica
nelle sperimentazioni collettive di Continuum, gruppo fondato nel
1967 a Napoli dallo stesso Caruso e Stelio Maria Martini.
“Inserendosi nel solco della sperimentazione neoavanguardista di “libri
illeggibili” (da Bruno Munari a Vincenzo Agnetti) – spiega la curatrice
Alessandra Acocella - Caruso esprime attraverso questo e altri
esemplari in copia unica l’importanza di riconsiderare – in un’epoca di
grande riproducibilità – la pagina non come un sistema chiuso tale da
imporre al lettore contenuti, comportamenti, aspirazioni, bensì come
campo aperto a una creatività totalizzante, che consenta di risalire alle
origini della scrittura in direzione segnica, oggettuale e materica.
Afferma l’autore al riguardo: il libro, anche quello uniformato
dall’industria culturale, continua a godere di un’aura sacrale e a
presentarsi come veicolo di saggezza, messaggio affidato al tempo, ma
allo stesso momento costringe a rispettare la sua ideologia castrante,
nascosta dietro l’innocente pagina a stampa, che esclude però qualsiasi
ricorso alla manualità e vanifica il bisogno/impulso a penetrare nella
materia, dal quale pure è nata la scrittura”.
“Quella di Caruso – afferma il direttore artistico Sergio Risaliti – è stata
un’esperienza intellettuale tesa a coniugare arte e politica, secondo
una tradizione marxista che non fu solo di teorico, visto che l’artista fin
da giovane scopriva l’attività poetica come un’azione politica,
accentuando il ‘carattere totalizzante dell’esperienza estetica’”. In
occasione della mostra viene pubblicato un catalogo che riunisce le
opere esposte e una selezione di scritti, che offrono, come ricorda
ancora Sergio Risaliti “un esempio del grado di preparazione, lucidità,
ispirazione e impegno che nel giovanissimo Caruso fu da subito di
livello altissimo, e mai venne meno nel passare degli anni, mentre
restava al centro la necessità quasi istintiva di calarsi nella lotta, anche
quando cercava di farsi organico, mai però addomesticato e de-
limitato. Una lezione memorabile per le generazioni di artisti di oggi e
per quanti travaseranno la conoscenza di Caruso dall’arte alla scrittura
e viceversa, senza soluzione di continuità. Voglio poi sottolineare il
fatto che in questo momento il Museo Novecento espone anche le
opere di Vincenzo Agnetti, offrendo così la possibilità di incrociare due
esperienze affini come quelle di due artisti che hanno messo al centro
della loro ricerca il libro e la parola”.
Aperto al Museo Novecento, che dopo Pittura, Pittura di Riccardo
Guarneri vede protagonista l'artista - nonché poeta - Luciano Caruso
(dal 7 giugno al 12 settembre 2019) in una mostra curata da
Alessandra Acocella. Filosofo di formazione, Caruso (Foglianise, 1944 –
Firenze, 2002) rivolge la propria ricerca verso il conferimento di un
nuovo valore visivo alla dimensione, altrimenti solo verbale e
letteraria, della poesia. Nel suo lavoro assume un ruolo di primo piano
la scrittura, della quale accentua gli elementi visuali e materici. Autore
di saggi, componimenti poetici e testi critici, Caruso pubblica una vasta
serie di opere strettamente connesse con la sua produzione di poesie
visuali, libri-opera e libri-oggetto.
La mostra intende tracciare alcune traiettorie della sua intensa e
poliedrica attività artistica, a partire dagli esordi nel vivace ambiente
culturale napoletano al periodo fiorentino, città dove si trasferisce nel
1976. Le opere che costellano il percorso rivelano una ricerca giocata
su una costante e caleidoscopica «alchimia degli estremi» (per citare il
titolo di uno dei suoi ultimi componimenti poetici): dalla stratificazione
dell’elemento tipografico, calligrafico e iconografico, all’essenzialità del
segno-gesto, dall’astrazione del processo mentale, all’immersione
nella fisicità della materia.
Le due sale al primo piano, dedicate agli anni napoletani, ospitano
alcuni esemplari della serie Tabulae (1967): grandi fogli del medesimo
formato caratterizzati da una composizione verbo-visuale arricchita da
scritture calligrafiche, inserti cartacei e materici, stesure e impasti di
inchiostro o di colore, nel segno di una “ripetizione differente”. Negli
stessi anni, questo “iperlinguaggio visuale” trova il suo polo opposto in
esperimenti dall’estremo rigore formale e concettuale. Nascono così
gli ideogrammi, tracciati con larghe pennellate di tempera bianca su
fogli di varia natura (Ideogramma, 1972), le essenziali espressioni
scritturali riattivate mediante un’azione performativa e multisensoriale
(Poesia olfattiva / OM, 1970-1975), le pagine bianche di libri-opera, la
cui “leggibilità” è affidata unicamente a una sequenza di piccole
perforazioni che corrono lungo i bordi o all’interno della superficie
cartacea (Opuscula de methodo, de criteriis et de qualitate, 1973).
Negli ultimi due decenni di attività, interrottasi prematuramente nel
2002, anno della sua scomparsa, Luciano Caruso prosegue un’originale
rielaborazione di temi, tecniche e linguaggi sperimentati negli anni
giovanili, come in una sorta di percorso a ritroso. Questo viaggio
circolare alla ricerca di un segno originario s’intensifica, negli ultimi
anni di vita, attraverso la creazione di poesie visuali, libri-opera e libri-
oggetto nei quali l’artista materializza richiami più o meno cifrati ad
antiche scritture (Kumana I, 1996) e iscrizioni incompiute (Epigrafe
monca, 2002), dove, sulla superficie della pagina, si stagliano tracce
scure di segni alfabetici e ideogrammatici. Anche nella coppia di opere
Senza titolo (1999) sono presenti tracce del suo precedente percorso
creativo e biografico, con l’inserimento, tra i piccoli ritagli giocati sul
contrasto bianco/nero, di riproduzioni dei “carmina” figurata
medievali, tema al centro dei suoi studi giovanili, così come di pezzi di
pellicola, richiamo all’importanza della trascrizione fotografica e filmica
nelle sperimentazioni collettive di Continuum, gruppo fondato nel
1967 a Napoli dallo stesso Caruso e Stelio Maria Martini.
“Inserendosi nel solco della sperimentazione neoavanguardista di “libri
illeggibili” (da Bruno Munari a Vincenzo Agnetti) – spiega la curatrice
Alessandra Acocella - Caruso esprime attraverso questo e altri
esemplari in copia unica l’importanza di riconsiderare – in un’epoca di
grande riproducibilità – la pagina non come un sistema chiuso tale da
imporre al lettore contenuti, comportamenti, aspirazioni, bensì come
campo aperto a una creatività totalizzante, che consenta di risalire alle
origini della scrittura in direzione segnica, oggettuale e materica.
Afferma l’autore al riguardo: il libro, anche quello uniformato
dall’industria culturale, continua a godere di un’aura sacrale e a
presentarsi come veicolo di saggezza, messaggio affidato al tempo, ma
allo stesso momento costringe a rispettare la sua ideologia castrante,
nascosta dietro l’innocente pagina a stampa, che esclude però qualsiasi
ricorso alla manualità e vanifica il bisogno/impulso a penetrare nella
materia, dal quale pure è nata la scrittura”.
“Quella di Caruso – afferma il direttore artistico Sergio Risaliti – è stata
un’esperienza intellettuale tesa a coniugare arte e politica, secondo
una tradizione marxista che non fu solo di teorico, visto che l’artista fin
da giovane scopriva l’attività poetica come un’azione politica,
accentuando il ‘carattere totalizzante dell’esperienza estetica’”. In
occasione della mostra viene pubblicato un catalogo che riunisce le
opere esposte e una selezione di scritti, che offrono, come ricorda
ancora Sergio Risaliti “un esempio del grado di preparazione, lucidità,
ispirazione e impegno che nel giovanissimo Caruso fu da subito di
livello altissimo, e mai venne meno nel passare degli anni, mentre
restava al centro la necessità quasi istintiva di calarsi nella lotta, anche
quando cercava di farsi organico, mai però addomesticato e de-
limitato. Una lezione memorabile per le generazioni di artisti di oggi e
per quanti travaseranno la conoscenza di Caruso dall’arte alla scrittura
e viceversa, senza soluzione di continuità. Voglio poi sottolineare il
fatto che in questo momento il Museo Novecento espone anche le
opere di Vincenzo Agnetti, offrendo così la possibilità di incrociare due
esperienze affini come quelle di due artisti che hanno messo al centro
della loro ricerca il libro e la parola”.
05
giugno 2019
Campo aperto: Luciano Caruso – Alchimia degli estremi
Dal 05 giugno al 12 settembre 2019
arte moderna e contemporanea
Location
MUSEO NOVECENTO
Firenze, Piazza Di Santa Maria Novella, 10, (Firenze)
Firenze, Piazza Di Santa Maria Novella, 10, (Firenze)
Biglietti
intero €8,50
ridotto €5,00
Orario di apertura
Lun - Mar - Mer - Sab - Dom | 11:00 - 20:00
Giovedì| 11:00 - 14:00
Venerdì | 11:00 - 23:00
Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura
Vernissage
5 Giugno 2019, h 18 su invito
Autore
Curatore