Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Campolungo. L’Orizzonte Sensibile del Contemporaneo
La mostra accoglie più di cinquanta opere di undici artisti, italiani e stranieri, che testimoniano le tendenze artistiche delle generazioni nate tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Martedì 15 settembre inaugura a Roma, presso il complesso del Vittoriano, la mostra CAMPOLUNGO. L’Orizzonte Sensibile del Contemporaneo. L’esposizione, che sarà aperta al pubblico fino al 10 ottobre 2009, è a cura di Vittoria Coen e raccoglie più di cinquanta opere di undici artisti, italiani e stranieri, che testimoniano le tendenze artistiche delle generazioni nate tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta: Valerio Berruti, Enrico T. De Paris, Shay Frisch, Federico Guida, Riccardo Gusmaroli, Min Jung Kim, Francesco Lauretta, Domingo Milella, Barbara Nahmad, Sharon Pazner e Alex Pinna.
Il titolo della mostra è riferito proprio all’espressione tecnica “campo lungo”, che si usa per un certo tipo di inquadratura cinematografica. Questa esposizione, che nasce da un’idea di Vittoria Coen e del gallerista Ermanno Tedeschi, esprime la distanza - e nello stesso tempo il luogo - in cui si concentrano le attenzioni degli artisti selezionati. Il “campo lungo” ci permette di vedere esposti in mostra matita e pennello, olio e acrilico, rette e curve non più fieramente avverse, carta, tela, metalli, materiali che sfidano il tempo in dipinti, installazioni, sculture, fotografie e video. Alcune di queste opere sono state realizzate appositamente per l’evento, le altre provengono da importanti collezioni private.
Valerio Berruti (Alba, 1977) propone un micro mondo disegnato, costruito organicamente e visivamente aperto. L’ordine, che dominava nelle sue opere precedentemente, si è rotto, portando una novità rispetto al piccolo mondo antico dei bambini “perbene” a cui Berruti ci aveva abituato. Queste creature esprimono una personalità appena abbozzata, ma già fornita di elementi da leggersi come segni di un futuro che, appunto, scorre.
In una espressione, “la semplicità della complessità”, Enrico T. De Paris (Belluno, 1960) sintetizza il suo percorso, fatto di contaminazioni stilistiche e di materiali, pittura, metalli, scultura, installazione, ready made, che si concentra sul rapporto tra ricerca artistica e ricerca scientifica. De Paris vuole forse dirci che tutti i molteplici aspetti della conoscenza devono essere osservati e analizzati per comprendere le complessità del nostro vivere, e lo fa dando al suo lavoro una suggestione ludica del tutto personale. La sua “disperata ironia” si esprime in Genesis e Flussi, serie di installazioni con vetri soffiati dove vivono piccoli uomini e piccoli animali, in mezzo a luci e simulazioni del DNA, microcosmi paralleli che affollano le sue creazioni o nel grande polittico Good News, composto da centoventi piccole tele.
Per Shay Frisch (Israele, 1963) il punto nodale delle sue esperienze estetiche è la luce, con la quale elabora un linguaggio personale nella combinazione e nella contaminazione degli elementi. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un ready made, in realtà è il risultato finale di un processo complesso di combinazioni. Prese e lampadine diventano protagoniste dello spazio: in Superficie assemblata 4616 B (2007), ad esempio, Frisch elabora un assemblaggio come a voler creare un monocromo in rilievo.
Si ispirano alle favole di Fedro i cinque ritratti animali presentati da Federico Guida (Milano, 1969), che sviluppa un percorso individuale attraverso una mirabile tecnica pittorica. Dai pugili, ai ritratti di fotomodelli invecchiati, a quelli infantili e infine, agli autoritratti, è proprio attraverso questa messa a fuoco della “sembianza” che l’artista svolge la sua ricerca e scandaglia l’animo umano. Guida si serve di un linguaggio pittorico al limite del verismo, le sue figure suggeriscono una profondità grazie proprio al gusto per il particolare, per la narrazione estetica attraverso un cromatismo fatto di chiaro scuri potenti, di contrasti cromatici avventurosi. Nella evidente fisicità dei suoi protagonisti, Guida ci costringe ad una comunicazione diretta e immediata con l’opera.
Negli acrilici di grande formato di Riccardo Gusmaroli (Verona, 1963) si dispiegano motivi formali, perfettamente regolari, dai quali si libra un mondo di magica libertà fantastica, retta da cadenze ora uniformi e complementari, ora assolutamente libere e irripetibili. Nei suoi lavori c’è anche un aspetto ludico che vola sulla leggerezza, dato dall’alchimia dei colori delle opere, che provocano una piacevole perdita di orientamento, forse soltanto apparente.
Min Jung Kim (Gwangju, Corea, 1962) conduce una sua personalissima ricerca attraverso l’analisi del segno e del colore, grazie anche allo studio della calligrafia. L’universo dell’artista è un vortice di calibrate ed eleganti tonalità cromatiche, che creano toni contrastanti accanto a impercettibili sfumature di monocromi. La sua è una pittura concettuale, realizzata attraverso un intrigante uso della carta, che utilizzata in molteplici strati e sovrapposizioni, dopo un sottile gioco di combustione suggerisce una forma tridimensionale che porta lo sguardo ad entrare dentro l’opera. Alla frammentazione e alla scomposizione, effetti derivati da una visione ravvicinata dell’opera, si contrappone una suggestione di generale compattezza della materia e della forma, se si guarda il lavoro da lontano.
Le immagini di Francesco Lauretta (Ispica, 1964), così forti e così nitide, senza contare i soggetti più diversi e i titoli spiazzanti – come il dipinto ad olio Les Demoiselles d', che ritrae il riposo di un gruppo di contadini - sono amplificate nei colori, nel segno e nelle suggestioni visive che provocano nell’osservatore. Quello che noi vediamo nelle quattro scene esposte in mostra di Lauretta, fatte di mille particolari che si scoprono a poco a poco, è l’immagine nell’immagine.
È più interessante guardare il mondo da una certa distanza, possibilmente dall’alto, per poter “riconoscere” meglio, di certi luoghi, le atmosfere, le suggestioni, ed anche le contraddizioni. Domingo Milella (Bari, 1981) rappresenta nelle sue fotografie paesaggi naturali e paesaggi urbani, che si intrecciano ad abusi edilizi e all’incuria dell’uomo. La distanza permette al soggetto di mostrarsi in tutte le sue componenti: sembra a volte di sentire i rumori, gli odori di questi luoghi diversi fra loro, ma che vengono presi in esame da un sentimento che li accomuna, la curiosità di vedere oltre ciò che appare. In un attimo la fotografia deve essere in grado di dire tutto, questa una delle sue caratteristiche principali.
Barbara Nahmad (Milano, 1967) propone frammenti di storia recente. L’artista lavora, infatti, su volti noti, che nei suoi dipinti ad olio e smalto su tela di grande formato acquistano una familiarità diversa, nata da una focalizzazione del tutto personale. Che cosa mette insieme, per esempio, un giovane Dalai Lama, una matura Maria Callas, un giovane Robert Kennedy all’apice della sua carriera? Barbara Nahmad possiede lo sguardo del reporter - lo sappiamo dalle sue esperienze stilistiche precedenti – ma ora i suoi interessi sono volti più a rivelare che a descrivere, come nell’inedito Fiat Nova, che rappresenta Sergio Marchionne.
A Sharon Pazner (Tel Aviv, Israele, 1970) non servono né grandi spazi, né grandi forme, le basta l’idea della forma per realizzare con estrema semplicità e raffinatezza le sue grandi installazioni, come Fishing (2009), creata appositamente per CAMPOLUNGO. L’insistita dimensione geometrica e la regolarità del tracciato non escludono altre presenze, più leggere, come la carta o un intrico di chiavi che non saranno mai in grado di aprire alcunché. Le situazioni che Pazner crea non costringono ad alcun modello interpretativo obbligato, parlano da sole, col solo strumento del vedere. E tutto ciò che vediamo acquista un senso diverso se lo pensiamo come una rappresentazione virtuale.
La misura in cui Alex Pinna (Imperia, 1967) si ritrova meglio è certamente la dismisura, che non significa esasperazione o eccesso. Il rigore formale e l’essenzialità sono le coordinate principali delle sue sculture, che amano sfidare la vertigine e il paradosso, come nel caso di 2con o di Punte, entrambe grandi opere in bronzo patinato. La soggettività acrobatica di Pinna si legge nel disegno, è scultura disegnata, nata su un foglio, e portata fino al punto estremo di sopravvivenza fisica, come se a dirigere l’operazione non fossero gli strumenti dello scultore ma l’immaginazione del disegnatore.
“Si va sviluppando una diversa coscienza interna nel processo artistico: una cura particolare si esercita, un’azione attenta è rivolta ai materiali, ai soggetti e l’arte moltiplica i suoi linguaggi. La pittura in particolare riacquista i suoi diritti, si riappropria di tutto ciò che alcuni consideravano trapassato. Gli artisti stanno ricominciando a raccontare, accettano di essere letti secondo la loro propria grammatica, ne facilitano spesso la comprensione fornendo segnali sulle loro pratiche creative, sulla loro progettualità, sulle loro motivazioni. Si fa strada, nonostante tutto, un’atmosfera più riflessiva” – dice Vittoria Coen – “Che lo si voglia o no, nel suo campo, l’artista fa i conti con se stesso, anche quando sembra che stia alla finestra, curioso e onnivoro, o deluso e scettico. E i toni del lavoro riflettono, in questo senso, quella che chiamiamo dialettica di contrari. Si tratta di atteggiamenti, di affinità o di contrasti: la storia dell’arte ne è ricca. Ma sottolineandone le manifestazioni, si legge quanto i referenti siano ancora fondanti e quanto intorno ad essi si svolga la rappresentazione delle forme artistiche nella nostra civiltà. Essere artefici o essere esecutori, sarà forse questo il punto, il vero dilemma”.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Gangemi, in versione bilingue italiano/inglese, con un testo introduttivo di Vittoria Coen e riproduzioni a colori delle opere esposte.
Il titolo della mostra è riferito proprio all’espressione tecnica “campo lungo”, che si usa per un certo tipo di inquadratura cinematografica. Questa esposizione, che nasce da un’idea di Vittoria Coen e del gallerista Ermanno Tedeschi, esprime la distanza - e nello stesso tempo il luogo - in cui si concentrano le attenzioni degli artisti selezionati. Il “campo lungo” ci permette di vedere esposti in mostra matita e pennello, olio e acrilico, rette e curve non più fieramente avverse, carta, tela, metalli, materiali che sfidano il tempo in dipinti, installazioni, sculture, fotografie e video. Alcune di queste opere sono state realizzate appositamente per l’evento, le altre provengono da importanti collezioni private.
Valerio Berruti (Alba, 1977) propone un micro mondo disegnato, costruito organicamente e visivamente aperto. L’ordine, che dominava nelle sue opere precedentemente, si è rotto, portando una novità rispetto al piccolo mondo antico dei bambini “perbene” a cui Berruti ci aveva abituato. Queste creature esprimono una personalità appena abbozzata, ma già fornita di elementi da leggersi come segni di un futuro che, appunto, scorre.
In una espressione, “la semplicità della complessità”, Enrico T. De Paris (Belluno, 1960) sintetizza il suo percorso, fatto di contaminazioni stilistiche e di materiali, pittura, metalli, scultura, installazione, ready made, che si concentra sul rapporto tra ricerca artistica e ricerca scientifica. De Paris vuole forse dirci che tutti i molteplici aspetti della conoscenza devono essere osservati e analizzati per comprendere le complessità del nostro vivere, e lo fa dando al suo lavoro una suggestione ludica del tutto personale. La sua “disperata ironia” si esprime in Genesis e Flussi, serie di installazioni con vetri soffiati dove vivono piccoli uomini e piccoli animali, in mezzo a luci e simulazioni del DNA, microcosmi paralleli che affollano le sue creazioni o nel grande polittico Good News, composto da centoventi piccole tele.
Per Shay Frisch (Israele, 1963) il punto nodale delle sue esperienze estetiche è la luce, con la quale elabora un linguaggio personale nella combinazione e nella contaminazione degli elementi. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un ready made, in realtà è il risultato finale di un processo complesso di combinazioni. Prese e lampadine diventano protagoniste dello spazio: in Superficie assemblata 4616 B (2007), ad esempio, Frisch elabora un assemblaggio come a voler creare un monocromo in rilievo.
Si ispirano alle favole di Fedro i cinque ritratti animali presentati da Federico Guida (Milano, 1969), che sviluppa un percorso individuale attraverso una mirabile tecnica pittorica. Dai pugili, ai ritratti di fotomodelli invecchiati, a quelli infantili e infine, agli autoritratti, è proprio attraverso questa messa a fuoco della “sembianza” che l’artista svolge la sua ricerca e scandaglia l’animo umano. Guida si serve di un linguaggio pittorico al limite del verismo, le sue figure suggeriscono una profondità grazie proprio al gusto per il particolare, per la narrazione estetica attraverso un cromatismo fatto di chiaro scuri potenti, di contrasti cromatici avventurosi. Nella evidente fisicità dei suoi protagonisti, Guida ci costringe ad una comunicazione diretta e immediata con l’opera.
Negli acrilici di grande formato di Riccardo Gusmaroli (Verona, 1963) si dispiegano motivi formali, perfettamente regolari, dai quali si libra un mondo di magica libertà fantastica, retta da cadenze ora uniformi e complementari, ora assolutamente libere e irripetibili. Nei suoi lavori c’è anche un aspetto ludico che vola sulla leggerezza, dato dall’alchimia dei colori delle opere, che provocano una piacevole perdita di orientamento, forse soltanto apparente.
Min Jung Kim (Gwangju, Corea, 1962) conduce una sua personalissima ricerca attraverso l’analisi del segno e del colore, grazie anche allo studio della calligrafia. L’universo dell’artista è un vortice di calibrate ed eleganti tonalità cromatiche, che creano toni contrastanti accanto a impercettibili sfumature di monocromi. La sua è una pittura concettuale, realizzata attraverso un intrigante uso della carta, che utilizzata in molteplici strati e sovrapposizioni, dopo un sottile gioco di combustione suggerisce una forma tridimensionale che porta lo sguardo ad entrare dentro l’opera. Alla frammentazione e alla scomposizione, effetti derivati da una visione ravvicinata dell’opera, si contrappone una suggestione di generale compattezza della materia e della forma, se si guarda il lavoro da lontano.
Le immagini di Francesco Lauretta (Ispica, 1964), così forti e così nitide, senza contare i soggetti più diversi e i titoli spiazzanti – come il dipinto ad olio Les Demoiselles d', che ritrae il riposo di un gruppo di contadini - sono amplificate nei colori, nel segno e nelle suggestioni visive che provocano nell’osservatore. Quello che noi vediamo nelle quattro scene esposte in mostra di Lauretta, fatte di mille particolari che si scoprono a poco a poco, è l’immagine nell’immagine.
È più interessante guardare il mondo da una certa distanza, possibilmente dall’alto, per poter “riconoscere” meglio, di certi luoghi, le atmosfere, le suggestioni, ed anche le contraddizioni. Domingo Milella (Bari, 1981) rappresenta nelle sue fotografie paesaggi naturali e paesaggi urbani, che si intrecciano ad abusi edilizi e all’incuria dell’uomo. La distanza permette al soggetto di mostrarsi in tutte le sue componenti: sembra a volte di sentire i rumori, gli odori di questi luoghi diversi fra loro, ma che vengono presi in esame da un sentimento che li accomuna, la curiosità di vedere oltre ciò che appare. In un attimo la fotografia deve essere in grado di dire tutto, questa una delle sue caratteristiche principali.
Barbara Nahmad (Milano, 1967) propone frammenti di storia recente. L’artista lavora, infatti, su volti noti, che nei suoi dipinti ad olio e smalto su tela di grande formato acquistano una familiarità diversa, nata da una focalizzazione del tutto personale. Che cosa mette insieme, per esempio, un giovane Dalai Lama, una matura Maria Callas, un giovane Robert Kennedy all’apice della sua carriera? Barbara Nahmad possiede lo sguardo del reporter - lo sappiamo dalle sue esperienze stilistiche precedenti – ma ora i suoi interessi sono volti più a rivelare che a descrivere, come nell’inedito Fiat Nova, che rappresenta Sergio Marchionne.
A Sharon Pazner (Tel Aviv, Israele, 1970) non servono né grandi spazi, né grandi forme, le basta l’idea della forma per realizzare con estrema semplicità e raffinatezza le sue grandi installazioni, come Fishing (2009), creata appositamente per CAMPOLUNGO. L’insistita dimensione geometrica e la regolarità del tracciato non escludono altre presenze, più leggere, come la carta o un intrico di chiavi che non saranno mai in grado di aprire alcunché. Le situazioni che Pazner crea non costringono ad alcun modello interpretativo obbligato, parlano da sole, col solo strumento del vedere. E tutto ciò che vediamo acquista un senso diverso se lo pensiamo come una rappresentazione virtuale.
La misura in cui Alex Pinna (Imperia, 1967) si ritrova meglio è certamente la dismisura, che non significa esasperazione o eccesso. Il rigore formale e l’essenzialità sono le coordinate principali delle sue sculture, che amano sfidare la vertigine e il paradosso, come nel caso di 2con o di Punte, entrambe grandi opere in bronzo patinato. La soggettività acrobatica di Pinna si legge nel disegno, è scultura disegnata, nata su un foglio, e portata fino al punto estremo di sopravvivenza fisica, come se a dirigere l’operazione non fossero gli strumenti dello scultore ma l’immaginazione del disegnatore.
“Si va sviluppando una diversa coscienza interna nel processo artistico: una cura particolare si esercita, un’azione attenta è rivolta ai materiali, ai soggetti e l’arte moltiplica i suoi linguaggi. La pittura in particolare riacquista i suoi diritti, si riappropria di tutto ciò che alcuni consideravano trapassato. Gli artisti stanno ricominciando a raccontare, accettano di essere letti secondo la loro propria grammatica, ne facilitano spesso la comprensione fornendo segnali sulle loro pratiche creative, sulla loro progettualità, sulle loro motivazioni. Si fa strada, nonostante tutto, un’atmosfera più riflessiva” – dice Vittoria Coen – “Che lo si voglia o no, nel suo campo, l’artista fa i conti con se stesso, anche quando sembra che stia alla finestra, curioso e onnivoro, o deluso e scettico. E i toni del lavoro riflettono, in questo senso, quella che chiamiamo dialettica di contrari. Si tratta di atteggiamenti, di affinità o di contrasti: la storia dell’arte ne è ricca. Ma sottolineandone le manifestazioni, si legge quanto i referenti siano ancora fondanti e quanto intorno ad essi si svolga la rappresentazione delle forme artistiche nella nostra civiltà. Essere artefici o essere esecutori, sarà forse questo il punto, il vero dilemma”.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Gangemi, in versione bilingue italiano/inglese, con un testo introduttivo di Vittoria Coen e riproduzioni a colori delle opere esposte.
15
settembre 2009
Campolungo. L’Orizzonte Sensibile del Contemporaneo
Dal 15 settembre al 10 ottobre 2009
arte contemporanea
Location
COMPLESSO DEL VITTORIANO
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Orario di apertura
Tutti i giorni 9.30-19.30
Vernissage
15 Settembre 2009, ore 18
Editore
GANGEMI
Ufficio stampa
ILARIA GIANOLI
Ufficio stampa
COMUNICAREORGANIZZANDO
Autore
Curatore