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Carlo Cego – Questo è il mio paese
la mostra riunisce buona parte delle opere realizzate dall’artista negli ultimi vent’anni della sua attività.
Comunicato stampa
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Il Salento rende omaggio a Carlo Cego, pittore di origini venete, milanese d’adozione, che dal 1980 fino alla sua scomparsa, ha vissuto a lungo a Otranto alla cui luce e umanità si è profondamente legato. La luce è il vero soggetto della sua pittura fatta di ampie campiture di colore saturo e intenso.
La mostra, dal titolo “Carlo Cego, Questo è il mio paese”, è promossa dalla Provincia di Lecce e dal Comune di Otranto e riunisce buona parte delle opere realizzate dall’artista negli ultimi vent’anni della sua attività. La mostra è curata da Michele Afferri storico dell’arte, Marinilde Giannandrea storica dell’arte e giornalista, Paola Iacucci architetto e moglie di Carlo Cego.
L’evento è organizzato in un duplice appuntamento:
4 - 26 settembre 2010 - Castello Aragonese di Otranto
orario visite 10.00-24.00
12 marzo – 3 aprile 2011 – Complesso Museale S. Francesco della Scarpa a Lecce.
In occasione della mostra sarà presentato il catalogo curato da Michele Afferri e Marinilde Giannandrea.
CARLO CEGO
1939-2003
Carlo Cego nasce a Valdagno (Vicenza) il 10 luglio 1939.
Tra il 1947 e il 1966 vive a Roma dove, nel 1962, si diploma in Pittura con Franco Gentilini all’Accademia di Belle Arti. A Roma frequenta la libreria-galleria Al Ferro di Cavallo luogo d’incontro di artisti, poeti e scrittori.
Tra il 1966 e il 1968 è a Genova dove lavora come scenografo nella fase inaugurale del teatrino sperimentale del Teatro Stabile e nel 1968 Gastone Novelli lo chiama come suo assistente alla cattedra presso il Liceo Artistico di Brera e a Milano rimane fino alla sua scomparsa.
Profondamente e coerentemente legato alla generazione di pittori i che hanno creato e continuato la linea astratta della pittura italiana, Cego non ha mai partecipato a gruppi o movimenti ma ha lavorato dentro una linea di ricerca pittorica legata a una dimensione poetica e luministica. Il corpo della sua opera può essere letto all’interno di un «alfabeto e di una sintassi suscettibile d’infinite variazioni» nelle quali il vero soggetto e la ricerca della luce che entra nelle campiture cromatiche e nella densità della materia pittorica.
A partire dal 1980 trascorre lunghi periodi a Otranto, dove dipinge in una piccola casa-atelier conquistato dalla luce meridiana e dalla umanità del Salento e dove partecipa al gruppo di intellettuali e di artisti che in quegli anni soggiornano nella città salentina (Vittorio Matino, Vanni e Alina Scheiwiller, Carlo Berté, Sergio Sermidi, Franco Vaccari, Guido Ballo, Ugo La Pietra, Dadamaino, Umberto Riva, Luisa Castiglioni, Pietro Coletta, Antonio Trotta), protagonisti di una ricca fase di vivacità culturale.
In questi anni la sua pittura, improntata fino ad allora a un geometrismo lirico, abbandona la forma costruita e sviluppa un linguaggio minimale fatto di linee colorate e ampi spazi bianchi che richiamano le Compenetrazioni iridescenti di Giacomo Balla.
Nel decennio successivo si assiste all’esplosione di un’utopia del colore che si connette con il senso lirico della superficie e con la dimensione reattiva del supporto nelle infinite variazioni cromatiche della materia pittorica. Le opere più recenti sono grandi tele, quasi monocrome, con andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione fra colore e luce e sembrano sospendere i colori nello spazio della tela.
I quadri di Carlo Cego, affermano ancora oggi la dimensione poetica dell’astrazione italiana, «ritrovando valore vivo della pittura come materia assoluta».
Carlo Cego si è spento a Milano il 17 settembre 2003 e ha voluto essere sepolto a Otranto. Sulla sua tomba si legge: Gli piaceva dipingere.
Nella primavera del 2008 la Galleria Civica d’arte contemporanea di Spoleto gli ha dedicato un’importante mostra antologica.
“Fedele per tutta la vita alla qualità della pittura Carlo Cego ha tessuto una storia artistica fatta di permanenze e silenzio. Un percorso che, dagli anni Sessanta romani fino all’apparire di questo secolo, l’ha visto sempre coerentemente legato a una linea astratta, minimale, capace di tessere una storia personale fatta di colore e di luce .
Eppure dentro la pittura di Cego, soprattutto quella che riempie le superfici di tessiture cromatiche e luminose, si avverte costantemente il senso di un orizzonte, l’evocazione di un sedimento naturale. Forse è proprio per questa straordinaria attenzione alle vibrazioni e alle costanti del dato atmosferico che l’artista si lega così profondamente alla luce di Otranto, a un paesaggio inquadrato da una finestra, fatto di una linea tra cielo e mare […].
Negli anni Ottanta le ripartizioni architettoniche, centrate sul senso di uno spazio geometricamente costruito, diventano linea iridescente, simmetria che segna il campo della tela bianca con il ritmo sintetico di una modulata variazione cromatica. Cominciano a definirsi le Storie di luce, una serie con variazioni minimali negli andamenti e nelle direzioni, che tracciano l’ipotesi di una vibrazione sensoriale […] Si comincia a sviluppare proprio da questi anni un’utopia del colore, il senso lirico della superficie che acquista tono monocromo nella serie dei monoliti della fine degli anni Ottanta, nei quali la linea si allarga in un piccolo rettangolo e Cego comincia a concentrasi sul tutto pieno della tela, dentro le strutture sature, lavorando costantemente sulla dialettica figura-sfondo sezionando, frantumando le piccole geometrie applicate a collage. Una sequenza, ritmata da piccoli spostamenti di posizione del rettangolo-menhir, costantemente presente e sempre ancorato alla base, nella quale ritorna il peso delle prime forme architettoniche, quelle della fine degli anni Sessanta.
Direi che proprio in questo residuo geometrico si avverte il senso, ancora terrestre, di un ancoraggio, di una permanenza che presto scompare. Prive di titolo, con poche eccezioni (“Notturno a Otranto”, dipinto in un agosto del ’93 con il fondo profondo dei colori di una notte d’estate e d’oriente), le tele degli anni Novanta assumono una sostanziale serialità e forniscono la sensazione che nel plateau dal formato regolare si costruisca una mappatura, immanente e particolare, che relaziona lo sguardo ordinato con l’occhio poetico, lo spazio simmetrico con quello che procede per empatia ed esperienza diretta. Non che la mappatura sia dichiarata, al contrario, ma a ben guardare la dimensione della visione sembra interconnettere quello che i greci chiamavano kairós, il “momento opportuno”, con una cultura del flusso, della fluidità, della trasparenza, fatta d’infinite e mutevoli variazioni […] Le tele dell’ultimo periodo, quello che precede la morte, sono dentro un linguaggio ancora più sintetico, cominciano a esplorare formati più grandi e tessiture ormai sostanzialmente monocrome, nelle quali lo spazio sembra schiacciato dalla luce. Andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione tra trama e colore.” Marinilde Giannandrea.
La mostra, dal titolo “Carlo Cego, Questo è il mio paese”, è promossa dalla Provincia di Lecce e dal Comune di Otranto e riunisce buona parte delle opere realizzate dall’artista negli ultimi vent’anni della sua attività. La mostra è curata da Michele Afferri storico dell’arte, Marinilde Giannandrea storica dell’arte e giornalista, Paola Iacucci architetto e moglie di Carlo Cego.
L’evento è organizzato in un duplice appuntamento:
4 - 26 settembre 2010 - Castello Aragonese di Otranto
orario visite 10.00-24.00
12 marzo – 3 aprile 2011 – Complesso Museale S. Francesco della Scarpa a Lecce.
In occasione della mostra sarà presentato il catalogo curato da Michele Afferri e Marinilde Giannandrea.
CARLO CEGO
1939-2003
Carlo Cego nasce a Valdagno (Vicenza) il 10 luglio 1939.
Tra il 1947 e il 1966 vive a Roma dove, nel 1962, si diploma in Pittura con Franco Gentilini all’Accademia di Belle Arti. A Roma frequenta la libreria-galleria Al Ferro di Cavallo luogo d’incontro di artisti, poeti e scrittori.
Tra il 1966 e il 1968 è a Genova dove lavora come scenografo nella fase inaugurale del teatrino sperimentale del Teatro Stabile e nel 1968 Gastone Novelli lo chiama come suo assistente alla cattedra presso il Liceo Artistico di Brera e a Milano rimane fino alla sua scomparsa.
Profondamente e coerentemente legato alla generazione di pittori i che hanno creato e continuato la linea astratta della pittura italiana, Cego non ha mai partecipato a gruppi o movimenti ma ha lavorato dentro una linea di ricerca pittorica legata a una dimensione poetica e luministica. Il corpo della sua opera può essere letto all’interno di un «alfabeto e di una sintassi suscettibile d’infinite variazioni» nelle quali il vero soggetto e la ricerca della luce che entra nelle campiture cromatiche e nella densità della materia pittorica.
A partire dal 1980 trascorre lunghi periodi a Otranto, dove dipinge in una piccola casa-atelier conquistato dalla luce meridiana e dalla umanità del Salento e dove partecipa al gruppo di intellettuali e di artisti che in quegli anni soggiornano nella città salentina (Vittorio Matino, Vanni e Alina Scheiwiller, Carlo Berté, Sergio Sermidi, Franco Vaccari, Guido Ballo, Ugo La Pietra, Dadamaino, Umberto Riva, Luisa Castiglioni, Pietro Coletta, Antonio Trotta), protagonisti di una ricca fase di vivacità culturale.
In questi anni la sua pittura, improntata fino ad allora a un geometrismo lirico, abbandona la forma costruita e sviluppa un linguaggio minimale fatto di linee colorate e ampi spazi bianchi che richiamano le Compenetrazioni iridescenti di Giacomo Balla.
Nel decennio successivo si assiste all’esplosione di un’utopia del colore che si connette con il senso lirico della superficie e con la dimensione reattiva del supporto nelle infinite variazioni cromatiche della materia pittorica. Le opere più recenti sono grandi tele, quasi monocrome, con andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione fra colore e luce e sembrano sospendere i colori nello spazio della tela.
I quadri di Carlo Cego, affermano ancora oggi la dimensione poetica dell’astrazione italiana, «ritrovando valore vivo della pittura come materia assoluta».
Carlo Cego si è spento a Milano il 17 settembre 2003 e ha voluto essere sepolto a Otranto. Sulla sua tomba si legge: Gli piaceva dipingere.
Nella primavera del 2008 la Galleria Civica d’arte contemporanea di Spoleto gli ha dedicato un’importante mostra antologica.
“Fedele per tutta la vita alla qualità della pittura Carlo Cego ha tessuto una storia artistica fatta di permanenze e silenzio. Un percorso che, dagli anni Sessanta romani fino all’apparire di questo secolo, l’ha visto sempre coerentemente legato a una linea astratta, minimale, capace di tessere una storia personale fatta di colore e di luce .
Eppure dentro la pittura di Cego, soprattutto quella che riempie le superfici di tessiture cromatiche e luminose, si avverte costantemente il senso di un orizzonte, l’evocazione di un sedimento naturale. Forse è proprio per questa straordinaria attenzione alle vibrazioni e alle costanti del dato atmosferico che l’artista si lega così profondamente alla luce di Otranto, a un paesaggio inquadrato da una finestra, fatto di una linea tra cielo e mare […].
Negli anni Ottanta le ripartizioni architettoniche, centrate sul senso di uno spazio geometricamente costruito, diventano linea iridescente, simmetria che segna il campo della tela bianca con il ritmo sintetico di una modulata variazione cromatica. Cominciano a definirsi le Storie di luce, una serie con variazioni minimali negli andamenti e nelle direzioni, che tracciano l’ipotesi di una vibrazione sensoriale […] Si comincia a sviluppare proprio da questi anni un’utopia del colore, il senso lirico della superficie che acquista tono monocromo nella serie dei monoliti della fine degli anni Ottanta, nei quali la linea si allarga in un piccolo rettangolo e Cego comincia a concentrasi sul tutto pieno della tela, dentro le strutture sature, lavorando costantemente sulla dialettica figura-sfondo sezionando, frantumando le piccole geometrie applicate a collage. Una sequenza, ritmata da piccoli spostamenti di posizione del rettangolo-menhir, costantemente presente e sempre ancorato alla base, nella quale ritorna il peso delle prime forme architettoniche, quelle della fine degli anni Sessanta.
Direi che proprio in questo residuo geometrico si avverte il senso, ancora terrestre, di un ancoraggio, di una permanenza che presto scompare. Prive di titolo, con poche eccezioni (“Notturno a Otranto”, dipinto in un agosto del ’93 con il fondo profondo dei colori di una notte d’estate e d’oriente), le tele degli anni Novanta assumono una sostanziale serialità e forniscono la sensazione che nel plateau dal formato regolare si costruisca una mappatura, immanente e particolare, che relaziona lo sguardo ordinato con l’occhio poetico, lo spazio simmetrico con quello che procede per empatia ed esperienza diretta. Non che la mappatura sia dichiarata, al contrario, ma a ben guardare la dimensione della visione sembra interconnettere quello che i greci chiamavano kairós, il “momento opportuno”, con una cultura del flusso, della fluidità, della trasparenza, fatta d’infinite e mutevoli variazioni […] Le tele dell’ultimo periodo, quello che precede la morte, sono dentro un linguaggio ancora più sintetico, cominciano a esplorare formati più grandi e tessiture ormai sostanzialmente monocrome, nelle quali lo spazio sembra schiacciato dalla luce. Andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione tra trama e colore.” Marinilde Giannandrea.
04
settembre 2010
Carlo Cego – Questo è il mio paese
Dal 04 al 26 settembre 2010
arte contemporanea
Location
CASTELLO ARAGONESE
Otranto, Via Castello, (Lecce)
Otranto, Via Castello, (Lecce)
Vernissage
4 Settembre 2010, ore 19
Autore
Curatore