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Cecchin | Ciancaglini | Gasparini – La città dal volto invisibile
La mostra indaga la complessità degli aspetti che identificano il volto nascosto della metropoli
Comunicato stampa
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Angelo Ciancaglini, Max Gasparini, Liliana Cecchin.
I tre volti della metropoli.
Un cantiere deserto appare nel buio. L’impalcatura come uno scheletro debolmente illuminato da una luce sinistra, fluorescente. Il resto è bruma scura, magma nero e grigio che accomuna in una stessa materia bituminosa il cielo e l’asfalto. Dietro, appena leggibili, i fantasmi di due gru rosse tagliano il buio come ferite sanguinanti. E’ la metropoli colta nella sua essenza – architetture e cemento – dal pennello acuto e crudo di Angelo Ciancaglini. Uno dei tre volti della città che si raccontano in questa tripla personale dal sapore vagamente malinconico. L’ossatura, appunto, lo scenario, condotto seguendo rigide griglie geometriche. Poi c’è la folla, quella che di questo scenario ha fatto la sua casa. Una folla anonima e febbrile, dipinta da Liliana Cecchin come un unico essere senza volto. Ma quando la folla si disgrega, ogni elemento, separato dagli altri, rivela il suo essere unico, la sua unica personalità. Sogni e speranze, delusioni e dolore. Sono quelli che trovano forma nel lavoro di Max Gasparini, perfetta fusione di accenti lirici e suggestioni espressioniste.
Ruvidi, materici e al tempo stesso elegantemente scanditi dalla griglia geometrica degli spazi, i lavori di Angelo Ciancaglini indagano la città nelle ore in cui l’uomo è assente. Le sue ambientazioni sono albe livide o tramonti infuocati di pm10 e polveri sottili, o magari notti senza luna, dove resta solo una pennellata chiara a regalare un’illusione di luce, mentre tutto il resto si perde in una penombra senza punti di riferimento. Dell’uomo resta traccia nelle stazioni, nei cantieri, nei pilastri di cemento, nelle ombre degli aerei o nei boulevard che si spalancano tra quinte di palazzi squadrati, crivellati da finestre cieche. A volte alla pittura, stesa a spatolate grumose – ostili, verrebbe da dire – si sovrappongono lettere, strisce, solidi geometrici che si librano incongruenti nel cielo. Inquietanti presenze, proprio come il carro armato che appare a un tratto, lasciando il dubbio di trovarci davanti a uno scenario di guerra. Un day after senza speranza.
Poi la città si sveglia e comincia ad animarsi di presenze. Sono studenti, uomini d’affari, ragazze che si affrettano verso le porte spalancate di un vagone della metropolitana o che si sfiorano senza vedersi mentre camminano a testa bassa su un marciapiede. Liliana Cecchin non perde tempo a definire i tratti di un volto, perché in questo magma il volto non ha motivo di esistere. Non c’è scambio di sguardi, non c’è interazione. Nemmeno tra la madre e la bambina che percorrono fianco a fianco quel pavimento lucido: la madre si intuisce distratta da una conversazione al telefono, la bimba, annoiata, si guarda le scarpe. Ognuno col pensiero è immerso in quello che lo aspetta: la riunione, un esame, un problema di lavoro. E’ come se ci si trovasse sospesi in un non-momento, una parentesi nel tempo che in realtà non viene percepita né vissuta. Per questo a volte le persone sono poco più che sensazioni visive in lontananza, quando il punto di vista si abbassa repentinamente e l’artista pone al centro del quadro la lastra lucida e anonima del pavimento. Capace di un realismo quasi fotografico nella definizione di un dettaglio (le pieghe di una camicia candida, la sfumatura di una ciocca di capelli) Liliana Cecchin si rivela abilissima anche nel fuori fuoco, scelto per dare a una figura – ridotta a poco più di una macchia – il dinamismo del movimento.
La giornata è finita. La folla si disperde e diventa persona, umanità. Max Gasparini fa di questa umanità la materia di un lavoro intimista, costruito a grandi pennellate che, se al primo sguardo possono dare l’impressione di un’ispirazione immediata e di un procedere istintivo, si rivelano, ad uno studio più attento, meditate e pensate una ad una. Declinate in pochi colori, spesso nelle sfumature di un solo colore, le sue donne sono apparizioni. Seducenti come sirene quando guardano lo spettatore, assumono una connotazione inquietante quando invece abbassano lo sguardo o chiudono gli occhi. Quando il loro pallore diafano, cereo, che va disfacendosi in colate di materia, raggela il loro sonno in atmosfere da morgue. Se il supporto che sceglie è il cartone, Gasparini regala gradevolissimi effetti di trasparenza lasciando parte della base al naturale. Altrettanto piacevole, sebbene diversissimo, è l’effetto quando invece l’artista decide di cambiare registro e di passare a una resa del soggetto quasi fotografica. Lì il fondo è una lastra bianca, un nulla da cui il viso emerge come se affiorasse da un liquido denso e lattiginoso. Ma poi ecco che ci accorgiamo dell’illusione. Quello non è un viso: è solo un involucro. Una maschera che si indossa o si toglie a piacimento come in un grottesco giorno di Carnevale.
I tre volti della metropoli.
Un cantiere deserto appare nel buio. L’impalcatura come uno scheletro debolmente illuminato da una luce sinistra, fluorescente. Il resto è bruma scura, magma nero e grigio che accomuna in una stessa materia bituminosa il cielo e l’asfalto. Dietro, appena leggibili, i fantasmi di due gru rosse tagliano il buio come ferite sanguinanti. E’ la metropoli colta nella sua essenza – architetture e cemento – dal pennello acuto e crudo di Angelo Ciancaglini. Uno dei tre volti della città che si raccontano in questa tripla personale dal sapore vagamente malinconico. L’ossatura, appunto, lo scenario, condotto seguendo rigide griglie geometriche. Poi c’è la folla, quella che di questo scenario ha fatto la sua casa. Una folla anonima e febbrile, dipinta da Liliana Cecchin come un unico essere senza volto. Ma quando la folla si disgrega, ogni elemento, separato dagli altri, rivela il suo essere unico, la sua unica personalità. Sogni e speranze, delusioni e dolore. Sono quelli che trovano forma nel lavoro di Max Gasparini, perfetta fusione di accenti lirici e suggestioni espressioniste.
Ruvidi, materici e al tempo stesso elegantemente scanditi dalla griglia geometrica degli spazi, i lavori di Angelo Ciancaglini indagano la città nelle ore in cui l’uomo è assente. Le sue ambientazioni sono albe livide o tramonti infuocati di pm10 e polveri sottili, o magari notti senza luna, dove resta solo una pennellata chiara a regalare un’illusione di luce, mentre tutto il resto si perde in una penombra senza punti di riferimento. Dell’uomo resta traccia nelle stazioni, nei cantieri, nei pilastri di cemento, nelle ombre degli aerei o nei boulevard che si spalancano tra quinte di palazzi squadrati, crivellati da finestre cieche. A volte alla pittura, stesa a spatolate grumose – ostili, verrebbe da dire – si sovrappongono lettere, strisce, solidi geometrici che si librano incongruenti nel cielo. Inquietanti presenze, proprio come il carro armato che appare a un tratto, lasciando il dubbio di trovarci davanti a uno scenario di guerra. Un day after senza speranza.
Poi la città si sveglia e comincia ad animarsi di presenze. Sono studenti, uomini d’affari, ragazze che si affrettano verso le porte spalancate di un vagone della metropolitana o che si sfiorano senza vedersi mentre camminano a testa bassa su un marciapiede. Liliana Cecchin non perde tempo a definire i tratti di un volto, perché in questo magma il volto non ha motivo di esistere. Non c’è scambio di sguardi, non c’è interazione. Nemmeno tra la madre e la bambina che percorrono fianco a fianco quel pavimento lucido: la madre si intuisce distratta da una conversazione al telefono, la bimba, annoiata, si guarda le scarpe. Ognuno col pensiero è immerso in quello che lo aspetta: la riunione, un esame, un problema di lavoro. E’ come se ci si trovasse sospesi in un non-momento, una parentesi nel tempo che in realtà non viene percepita né vissuta. Per questo a volte le persone sono poco più che sensazioni visive in lontananza, quando il punto di vista si abbassa repentinamente e l’artista pone al centro del quadro la lastra lucida e anonima del pavimento. Capace di un realismo quasi fotografico nella definizione di un dettaglio (le pieghe di una camicia candida, la sfumatura di una ciocca di capelli) Liliana Cecchin si rivela abilissima anche nel fuori fuoco, scelto per dare a una figura – ridotta a poco più di una macchia – il dinamismo del movimento.
La giornata è finita. La folla si disperde e diventa persona, umanità. Max Gasparini fa di questa umanità la materia di un lavoro intimista, costruito a grandi pennellate che, se al primo sguardo possono dare l’impressione di un’ispirazione immediata e di un procedere istintivo, si rivelano, ad uno studio più attento, meditate e pensate una ad una. Declinate in pochi colori, spesso nelle sfumature di un solo colore, le sue donne sono apparizioni. Seducenti come sirene quando guardano lo spettatore, assumono una connotazione inquietante quando invece abbassano lo sguardo o chiudono gli occhi. Quando il loro pallore diafano, cereo, che va disfacendosi in colate di materia, raggela il loro sonno in atmosfere da morgue. Se il supporto che sceglie è il cartone, Gasparini regala gradevolissimi effetti di trasparenza lasciando parte della base al naturale. Altrettanto piacevole, sebbene diversissimo, è l’effetto quando invece l’artista decide di cambiare registro e di passare a una resa del soggetto quasi fotografica. Lì il fondo è una lastra bianca, un nulla da cui il viso emerge come se affiorasse da un liquido denso e lattiginoso. Ma poi ecco che ci accorgiamo dell’illusione. Quello non è un viso: è solo un involucro. Una maschera che si indossa o si toglie a piacimento come in un grottesco giorno di Carnevale.
06
maggio 2010
Cecchin | Ciancaglini | Gasparini – La città dal volto invisibile
Dal 06 maggio al 19 giugno 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA PREVITALI
Milano, Via Elia Lombardini, 14, (Milano)
Milano, Via Elia Lombardini, 14, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 16-19,30
Vernissage
6 Maggio 2010, ore 18,30
Autore
Curatore