Maristella Campanelli stempera la storia: il leone della città svanisce tra ombre di colore portando con sé il sapore della pietra. La città di Antonio Spagnoletta esplode in ingranaggi e pezzi meccanici in coinvolgimento totale di movimento continuo. Con intento polemico Annamaria Ippolito esprime la perdita e la ricerca di punti di riferimento nel quotidiano. Il lento ritmo del video sottolinea il vivere di corsa inseguendo la vita. La difficoltà di integrarsi all’interno della città è simboleggiata da Mariangela Volpe in processi accumulati di pixel: l’uomo si identifica con quanto lui stesso ha creato. La ferita della città, un pezzo della sua storia che ha preso fuoco, si placa in un tempo effimero nel gelo della lastra di ghiaccio di Lea Caputo. Maria Lavacca reinterpreta senza alcun ordine emozionale lo spazio preconfezionato e banale dei consumi quotidiani di una grande città. Loreta Ungaro la scopre in muri senz’anima, in forme inedite di spazio urbano riconoscibili nelle loro strutture fisiche ma angoscianti come un labirinto senza uscita. Angela Lomele sottolinea la sconfitta e la rassegnazione: la città non soddisfa tutte le esigenze dell’uomo e lo porta ad una insignificanza senza colore. E la sconfitta è anche nell’opera di Fabio Santacroce: le morti della porta accanto, la violenza perversa e tragica nascosta in anonimi condomini sono il segno della scomposizione, dell’assenza di rapporti. Suggestiva la città di Roberto Mazzarago: plasmata nei ricordi, in emozioni tangibili, espressioni di un vissuto che vola alto nell’aria lasciando il posto ad un improbabile animale.

Ricerche casuali, diseguali a volte condivise: cercare la città significa cercare nella città per trovare le condizioni, i percorsi per diventare sempre e comunque registi, per creare nuove azioni mentali, riaggregando stimoli e sensazioni, ricordi e percezioni, chiese e case, palazzi e teatri, santi e demoni per rendere quanto più possibile ognuno viaggiatore non solitario.


Giustina Coda