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Charlie e Charlot. Chaplin nei libri e nelle riviste di tutto il mondo
Una mostra che racconta il mito di Charlie Chaplin: attraverso i suoi film, i libri che gli sono stati dedicati e le riviste che lo hanno celebrato, ripercorre la vita e la carriera di un artista che ha caratterizzato in maniera unica la cultura del Novecento.
Comunicato stampa
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Dal giorno in cui, qualche mese fa, ho deciso di dedicare la mostra della Movie Week a Chaplin, mi sono trovato spesso a domandarmi quando ho fatto il mio primo incontro con lui o il suo Charlot. Macché, impossibile: come le grandi icone del Novecento, da Picasso ai Beatles, quel momento iniziale non c’è stato, come se questi personaggi avessero sempre vissuto in me, idee innate uguali a quelle che si studiavano a scuola quando si affrontava Platone.
In effetti è così: parlare di Chaplin significa menzionare una delle icone del mondo recente, di quelle che si conoscono e non si discutono. Ovvio che tra i molti materiali che conserviamo qui alla Kasa ci fossero già centinaia di contributi vari: libri e brochure, autobiografie e programmi di sala, locandine e poster… e quindi la mostra è nata spontaneamente guardando quello che c’era nei nostri scaffali, integrandolo un po’ quando era il caso. Naturalmente iniziando dai film.
PRIMA SEZIONE: I FILM
Se non so con precisione quando ho sentito parlare di Chaplin per la prima volta, di sicuro mi ricordo il primo incontro con i suoi film. The Kid, per esempio, Il Monello (1921) - il suo primo lungometraggio che, all’indomani della grande guerra, colpisce l’immaginario collettivo mettendo in scena il dramma dei piccoli orfani – l’ho visto alla mitica Cineteca di via San Marco con l’ottimo Walter Alberti che tirava su una generazione di cinefili a pane e pellicole. In quella sala ho visto anche molti dei cortometraggi, che si proiettavano in continuazione. Più di qualcosa, peraltro, avevo già visto di mio: a vedere La febbre dell’oro (1925), Il circo (1928) o Luci della città (1931) ero stato accompagnato dalla mia mamma, che aveva curato anche questo aspetto della mia educazione. Mettere in mostra i materiali di quei film, le locandine, le fotobuste, i poster, gli spezzoni, per me è anche un omaggio alla memoria e un ringraziamento a chi si occupato di questa parte della mia crescita.
Diversa la memoria dei film successivi. Per Tempi moderni (1936) ne privilegio una recentissima: quando l’ultimo inverno l’ho rivisto al Dal Verme accompagnato da una splendida orchestra dal vivo: ancora oggi, anno 2020 (pre Covid!) sala piena e folle osannanti e tanti bambini che ridevano. E pensare che ancora nel 1973 alla Scala si rifiutarono di proiettarlo in questo modo, finendo sulla copertina di un Panorama d’epoca, che naturalmente abbiamo in mostra. E poi, ancora, Il grande dittatore (1940) che ci fece capire, decenni prima di Benigni, che era possibile ridere perfino sulle sciagure umane, purché fosse un riso intelligente e partecipe. I film postbellici - da Monsieur Verdoux (1947) alla Contessa di Hong Kong (1967) attraverso Luci della ribalta (1952) e Un re a New York (1957) – sono tanto meno riusciti, ma qui documentati anche quelli, perché una mostra che si rispetti non può ignorarli. Anche perché nel frattempo Chaplin, vittima della caccia alle streghe del maccartismo, è costretto ad allontanarsi dagli USA con l’accusa di “filocomunismo”. Anche questo capitolo tormentato della sua vita è ampiamente documentato e dibattuto sui quotidiani internazionali, di cui esponiamo esempi italiani ed esteri.
SECONDA SEZIONE: VITA PRIVATA
Nel caso di Chaplin, tuttavia, fermarsi ai soli film sarebbe un errore. Per questo la mostra si chiama Charlie e Charlot: perché l’uomo stesso è un personaggio, nella vita pubblica come in quella privata, praticamente dall’inizio della sua comparsa sugli schermi. Già nel 1921, in occasione del suo viaggio di ritorno nel nostro continente, folle osannanti lo attendono in ogni città europea: un’accoglienza riportata sulle prime pagine di giornali e riviste, che rende la misura della sua immensa popolarità e sancisce il trionfo di una vera star. Un’attenzione quasi morbosa che si concretizza in una sfilza di scritti su di lui che lo accompagnano fino alla morte. Inevitabile che in questo bailamme anche la sua vita privata venga continuamente scandagliata, con risultati tutt’altro che positivi, visto che l’uomo ha molti aspetti nascosti che definire controversi è un simpatico understatement. È questo Chaplin privato che raccontiamo nella seconda sezione della mostra, e ci restituisce il ritratto di una personalità controversa e dalla vita familiare burrascosa: con 88 anni di vita, ben 11 figli e 4 mogli, tutte molto più giovani di lui. Abbiamo affrontato il tema attraverso la parola scritta, di libri, con il minimo di pettegolezzi possibile, ma con ampio dettaglio su chi ha accompagnato l’uomo nella sua avventura: soprattutto l’ultima moglie Oona O’Neill, figlia del drammaturgo premio Nobel Eugene O’Neill, e alcuni dei loro figli, come Geraldine, talentuosa attrice cinematografica, o Victoria, fondatrice dell’onirico Cirque Invisible, trionfo di poesia che ho avuto la fortuna di vedere al Ciak. In questo contesto non mancano testimonianze di conflitti, dai figli che spiattellano il problematico rapporto con un padre ingombrante alle ombre delle relazioni coniugali e non (My life with Chaplin, il libro confessione della terza moglie Lita Grey che, alla sua uscita nel 1965, contribuì ad alimentare i pettegolezzi). Ma, insegna Hollywood, The show must go on, e il mito è lì per farsi immortalare: basti guardare due dive come Claudia Cardinale e Brigitte Bardot che nello stesso 1965 lo omaggiano sfidandosi in una divertente gara di imitazioni in esclusiva per il settimanale Oggi. Così abbiamo seguito la vita privata del vagabondo fino alla morte, la più poetica che ci sia, notte di Natale del 1977, un avvenimento da prima pagina sui giornali del mondo, come al tempo si riservava solamente a capi di stato e uomini illustri. È morto Chaplin, un poeta che ha illuminato il mondo, sintetizza L’Unità, e non è soltanto il commento della indomita militanza comunista di quel giornale.
TERZA SEZIONE: I LIBRI DEGLI ALTRI
In questa vita sotto i riflettori di Chaplin e del suo tramp, tutto diventa iconico, a partire dai baffi e dal suo abbigliamento: in tutto il globo Chaplin è Charlot, con il suo grosso paio di scarpe, la bombetta ed il bastone. Qui inizia la terza parte della mostra, piccola ma succosa: Charlot rimesso in scena da altri. Il personaggio con la bombetta e il bastone diventa così iconico che da subito è protagonista di fumetti disegnati non da Chaplin: il primo che abbiamo in mostra, inglese, è del 1915, e il fenomeno proseguirà in vari paesi del mondo fino a tutti gli anni Settanta (ancora nel 1992 esce per Skira il volume illustrato per ragazzi Une dimanche avec Chaplin). E, come nella vita, anche nella letteratura il vagabondo e il suo creatore non finiscono di ispirare: se già negli anni Venti ci furono libri con Chaplin protagonista (Il mio amico Charlot, del mondadoriano Enrico Piceni), a distanza di 90 e passa anni anche questo aspetto non si è mai arrestato: Chaplin è stato il personaggio principale di qualche buon giallo di Stuart Kaminsky, mentre ancora pochi anni fa da Sellerio è uscito il poetico tributo di Fabio Stassi, L’ultimo ballo di Charlot. E credo che tanti, come me, abbiano molto amato Triste, solitario y final, memorabile tributo a Hollywood dello scrittore argentino Osvaldo Soriano, dove Chaplin agisce da personaggio insieme a molte star di quel periodo.
Insomma, Charlie e Charlot non è una mostra: è un viaggio intorno ai molteplici volti di un mito. Ci siamo molto divertiti a immaginarla e crearla, speriamo altrettanto i visitatori a vederla. E forse, per una volta, il distanziamento sociale sarà un vantaggio e permetterà una fruizione più concentrata. Venghino, venghino, signore e signori.
In effetti è così: parlare di Chaplin significa menzionare una delle icone del mondo recente, di quelle che si conoscono e non si discutono. Ovvio che tra i molti materiali che conserviamo qui alla Kasa ci fossero già centinaia di contributi vari: libri e brochure, autobiografie e programmi di sala, locandine e poster… e quindi la mostra è nata spontaneamente guardando quello che c’era nei nostri scaffali, integrandolo un po’ quando era il caso. Naturalmente iniziando dai film.
PRIMA SEZIONE: I FILM
Se non so con precisione quando ho sentito parlare di Chaplin per la prima volta, di sicuro mi ricordo il primo incontro con i suoi film. The Kid, per esempio, Il Monello (1921) - il suo primo lungometraggio che, all’indomani della grande guerra, colpisce l’immaginario collettivo mettendo in scena il dramma dei piccoli orfani – l’ho visto alla mitica Cineteca di via San Marco con l’ottimo Walter Alberti che tirava su una generazione di cinefili a pane e pellicole. In quella sala ho visto anche molti dei cortometraggi, che si proiettavano in continuazione. Più di qualcosa, peraltro, avevo già visto di mio: a vedere La febbre dell’oro (1925), Il circo (1928) o Luci della città (1931) ero stato accompagnato dalla mia mamma, che aveva curato anche questo aspetto della mia educazione. Mettere in mostra i materiali di quei film, le locandine, le fotobuste, i poster, gli spezzoni, per me è anche un omaggio alla memoria e un ringraziamento a chi si occupato di questa parte della mia crescita.
Diversa la memoria dei film successivi. Per Tempi moderni (1936) ne privilegio una recentissima: quando l’ultimo inverno l’ho rivisto al Dal Verme accompagnato da una splendida orchestra dal vivo: ancora oggi, anno 2020 (pre Covid!) sala piena e folle osannanti e tanti bambini che ridevano. E pensare che ancora nel 1973 alla Scala si rifiutarono di proiettarlo in questo modo, finendo sulla copertina di un Panorama d’epoca, che naturalmente abbiamo in mostra. E poi, ancora, Il grande dittatore (1940) che ci fece capire, decenni prima di Benigni, che era possibile ridere perfino sulle sciagure umane, purché fosse un riso intelligente e partecipe. I film postbellici - da Monsieur Verdoux (1947) alla Contessa di Hong Kong (1967) attraverso Luci della ribalta (1952) e Un re a New York (1957) – sono tanto meno riusciti, ma qui documentati anche quelli, perché una mostra che si rispetti non può ignorarli. Anche perché nel frattempo Chaplin, vittima della caccia alle streghe del maccartismo, è costretto ad allontanarsi dagli USA con l’accusa di “filocomunismo”. Anche questo capitolo tormentato della sua vita è ampiamente documentato e dibattuto sui quotidiani internazionali, di cui esponiamo esempi italiani ed esteri.
SECONDA SEZIONE: VITA PRIVATA
Nel caso di Chaplin, tuttavia, fermarsi ai soli film sarebbe un errore. Per questo la mostra si chiama Charlie e Charlot: perché l’uomo stesso è un personaggio, nella vita pubblica come in quella privata, praticamente dall’inizio della sua comparsa sugli schermi. Già nel 1921, in occasione del suo viaggio di ritorno nel nostro continente, folle osannanti lo attendono in ogni città europea: un’accoglienza riportata sulle prime pagine di giornali e riviste, che rende la misura della sua immensa popolarità e sancisce il trionfo di una vera star. Un’attenzione quasi morbosa che si concretizza in una sfilza di scritti su di lui che lo accompagnano fino alla morte. Inevitabile che in questo bailamme anche la sua vita privata venga continuamente scandagliata, con risultati tutt’altro che positivi, visto che l’uomo ha molti aspetti nascosti che definire controversi è un simpatico understatement. È questo Chaplin privato che raccontiamo nella seconda sezione della mostra, e ci restituisce il ritratto di una personalità controversa e dalla vita familiare burrascosa: con 88 anni di vita, ben 11 figli e 4 mogli, tutte molto più giovani di lui. Abbiamo affrontato il tema attraverso la parola scritta, di libri, con il minimo di pettegolezzi possibile, ma con ampio dettaglio su chi ha accompagnato l’uomo nella sua avventura: soprattutto l’ultima moglie Oona O’Neill, figlia del drammaturgo premio Nobel Eugene O’Neill, e alcuni dei loro figli, come Geraldine, talentuosa attrice cinematografica, o Victoria, fondatrice dell’onirico Cirque Invisible, trionfo di poesia che ho avuto la fortuna di vedere al Ciak. In questo contesto non mancano testimonianze di conflitti, dai figli che spiattellano il problematico rapporto con un padre ingombrante alle ombre delle relazioni coniugali e non (My life with Chaplin, il libro confessione della terza moglie Lita Grey che, alla sua uscita nel 1965, contribuì ad alimentare i pettegolezzi). Ma, insegna Hollywood, The show must go on, e il mito è lì per farsi immortalare: basti guardare due dive come Claudia Cardinale e Brigitte Bardot che nello stesso 1965 lo omaggiano sfidandosi in una divertente gara di imitazioni in esclusiva per il settimanale Oggi. Così abbiamo seguito la vita privata del vagabondo fino alla morte, la più poetica che ci sia, notte di Natale del 1977, un avvenimento da prima pagina sui giornali del mondo, come al tempo si riservava solamente a capi di stato e uomini illustri. È morto Chaplin, un poeta che ha illuminato il mondo, sintetizza L’Unità, e non è soltanto il commento della indomita militanza comunista di quel giornale.
TERZA SEZIONE: I LIBRI DEGLI ALTRI
In questa vita sotto i riflettori di Chaplin e del suo tramp, tutto diventa iconico, a partire dai baffi e dal suo abbigliamento: in tutto il globo Chaplin è Charlot, con il suo grosso paio di scarpe, la bombetta ed il bastone. Qui inizia la terza parte della mostra, piccola ma succosa: Charlot rimesso in scena da altri. Il personaggio con la bombetta e il bastone diventa così iconico che da subito è protagonista di fumetti disegnati non da Chaplin: il primo che abbiamo in mostra, inglese, è del 1915, e il fenomeno proseguirà in vari paesi del mondo fino a tutti gli anni Settanta (ancora nel 1992 esce per Skira il volume illustrato per ragazzi Une dimanche avec Chaplin). E, come nella vita, anche nella letteratura il vagabondo e il suo creatore non finiscono di ispirare: se già negli anni Venti ci furono libri con Chaplin protagonista (Il mio amico Charlot, del mondadoriano Enrico Piceni), a distanza di 90 e passa anni anche questo aspetto non si è mai arrestato: Chaplin è stato il personaggio principale di qualche buon giallo di Stuart Kaminsky, mentre ancora pochi anni fa da Sellerio è uscito il poetico tributo di Fabio Stassi, L’ultimo ballo di Charlot. E credo che tanti, come me, abbiano molto amato Triste, solitario y final, memorabile tributo a Hollywood dello scrittore argentino Osvaldo Soriano, dove Chaplin agisce da personaggio insieme a molte star di quel periodo.
Insomma, Charlie e Charlot non è una mostra: è un viaggio intorno ai molteplici volti di un mito. Ci siamo molto divertiti a immaginarla e crearla, speriamo altrettanto i visitatori a vederla. E forse, per una volta, il distanziamento sociale sarà un vantaggio e permetterà una fruizione più concentrata. Venghino, venghino, signore e signori.
17
settembre 2020
Charlie e Charlot. Chaplin nei libri e nelle riviste di tutto il mondo
Dal 17 settembre al 07 ottobre 2020
documentaria
Location
KASA DEI LIBRI
Milano, Largo Aldo De Benedetti, 4, (Milano)
Milano, Largo Aldo De Benedetti, 4, (Milano)
Orario di apertura
Su prenotazione dal lunedì al venerdì + sabato 19 e domenica 20 ore 15:00 - 19:00
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