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Claudio Lia – La pace possibile
In un Mondo globalizzato dove si susseguono continui conflitti, questa mostra vuole far riflettere sulla possibilità di dialogo tra i popoli e sull’attuazione di una PACE POSSIBILE, non come idea astratta e utopica ma realtà stabile e perpetua.
Comunicato stampa
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In un Mondo globalizzato dove si susseguono continui conflitti, questa mostra vuole far riflettere sulla possibilità di dialogo tra i popoli e sull’attuazione di una PACE POSSIBILE, non come idea astratta e utopica ma realtà stabile e perpetua. Per costruire la pace occorre ripartire dai bombardamenti, dalle macerie, dal dolore dilaniante, dalla paura, dall’impotenza, dalla perdita della dignità, emozioni impresse negli occhi dei feriti e nei volti dei parenti delle vittime; da lì deve nascere lo sdegno e l’impegno di ognuno per la realizzazione di un programma di pace.
Per la costituzione di un’etica della pace è necessaria l’azione congiunta non solo dei potenti della terra ma soprattutto di ogni individuo, in modo che le ostilità dell’ambiente possano sciogliersi, permettendo la diffusione del confronto e del dialogo.
Non sono ancora bastate all’uomo la Shoa, la bomba atomica di Hiroshima, le guerre in Bosnia, in Afghanistan, in Iraq, e tutte quelle che le hanno precedute e che seguiranno, per imparare a non ripetere gli stessi errori? Quale sarà ancora il prezzo da pagare in termini di vite umane prima che si risvegli una Coscienza Globale e l’umanità insorga unita per un cambiamento radicale?
Il cuore nero della guerra, opera concepita dall’artista Claudio LIA in un’altra occasione di guerra, torna tristemente attuale, come metafora della rappresentazione di ogni conflitto, in occasione del recente scontro tra la Georgia e l’Ossezia del Sud.
Il dipinto in un primo momento attira l’attenzione su di sé, non solo per le sue grandi dimensioni (150 x 400 cm) ma anche per i colori, caldi e accesi, il rosso, l’ocra, l’azzurro, il grigio e il nero diffuso, e per i volti indistinti e le pose accennate ai limiti del “non finito” dei personaggi, che stimolano l’osservatore ad avvicinarsi sempre più nel tentativo di discernere e comprendere il significato del soggetto. Un personaggio che tiene in braccio un altro esanime, divide in due la scena. Da alcuni elementi, come la muscolatura del dorso della figura in piedi o la capigliatura e l’anatomia più esile di quella distesa, intuiamo che si tratta di un uomo e di una donna, ma volendo tralasciare la loro identità, essi sono rappresentati in una delle pose più classiche dell’arte, quella della Pietà, secondo lo schema adottato dalla pittura fiamminga, più che da quella italiana. Lo spazio a sinistra è dominato dal colore rosso intenso, allegoria del sangue sparso sulla terra, in cui sono immersi, come nell’ Inferno dantesco, figure dai volti indeterminati, mute maschere inermi, annichilite dall’orrore. Sono vivi, morti o sopravvissuti? Tutto si mescola tra cielo e terra. Sopra di loro, nell’aria solcata da uccelli, sembra esserci un’apertura e un riferimento alla ripresa della vita dopo la guerra, finché essi non si trasformano nelle sagome minacciose di aerei da caccia, riconducendoci al dramma della morte, raffigurata al centro del dipinto. I personaggi, che circondano i due principali, mostrano di vivere ed interiorizzare il dramma della perdita in maniera diversa tramite le loro posizioni, atteggiamenti o attributi. Dai primi due a sinistra, che si ergono voltando le spalle al gruppo delle “anime” ammassate, delineate solo dai due colori primari, il nero e il rosso, come un mantello a coprire le ferite evidenti sul viso, si passa ai due al centro, rivolti verso il conflitto, con le espressioni appena accennate, e infine a quelli sulla destra, che sembrano già spettatori distanti e assenti, dove le loro pose e abbigliamento suggeriscono un ritorno alla civiltà, come del resto lascia intuire l’ultimo uomo sulla destra che sembra dirigersi ad una possibile città fatta di macerie accennata in lontananza. In tal modo l’artista passa in rassegna non solo i diversi atteggiamenti degli attori della guerra ma soprattutto i vari stati d’animo umani, come la paura delle vittime, il coraggio dei soccorritori, l’indifferenza di chi pensa di essere estraneo perché lontano. Tutti i personaggi sono uniti da un sottile filo, sotto un cielo cangiante dai toni sfumati dall’azzurro al grigio, che ad un tratto si tinge di bianco sopra la rappresentazione della Pietà ad indicare una sospensione spazio-temporale. L’artista ne il cuore nero della guerra usa una tecnica pittorica a macchie di colore, con dei bagliori di luce che si ergono dall’oscurità del nero dominante, a voler indicare che oltre i lampi folgoranti dei bombardamenti occorre ritrovare un barlume di ragione e seguire i labili segnali riflessi della Coscienza che conducono ad un sentiero di pace.
D’altra parte Claudio Lia è abituato ad andare a fondo dell’animo umano, avendo imparato nel corso dei suoi studi in psicologia ad indagare i diversi aspetti dell’Essere e dopo averlo destrutturato e ridotto al livello di maschera nei suoi dipinti a restituirgli sentimenti e dignità propri di un individuo.
Nelle altre opere esposte in mostra, In città, Ritorno da voi, Tocca a noi, e Altra Società i personaggi, nonostante siano raffigurati gli uni accanto agli altri, ci comunicano un senso di straniamento e di incomunicabilità per la loro espressione di volti dai lineamenti appena accennati o confusi, nelle pose articolate e anatomicamente improbabili. Le barriere e l’isolamento possono essere abbattute tramite l’Arte, come la pittura e la musica, in alcune opere compaiono infatti gli strumenti musicali, come In città, dove sono rappresentati personaggi sulla metropolitana su uno sfondo che mostra echi geometrici di Mondrian, o in Ritorno da voi con dei musicisti, a voler indicare che l’unicità e la diversità possono essere ripristinate nella massa dei corpi uniti nella macchia di colore così come è possibile ristabilire una comunicazione su un piano più alto di quello bestiale a cui conduce la guerra, contribuendo all’evoluzione di una Coscienza Globale per la risoluzione di tutti i conflitti e l’attuazione di una PACE POSSIBILE.
Simona Capodimonti, storica dell’arte.
Per la costituzione di un’etica della pace è necessaria l’azione congiunta non solo dei potenti della terra ma soprattutto di ogni individuo, in modo che le ostilità dell’ambiente possano sciogliersi, permettendo la diffusione del confronto e del dialogo.
Non sono ancora bastate all’uomo la Shoa, la bomba atomica di Hiroshima, le guerre in Bosnia, in Afghanistan, in Iraq, e tutte quelle che le hanno precedute e che seguiranno, per imparare a non ripetere gli stessi errori? Quale sarà ancora il prezzo da pagare in termini di vite umane prima che si risvegli una Coscienza Globale e l’umanità insorga unita per un cambiamento radicale?
Il cuore nero della guerra, opera concepita dall’artista Claudio LIA in un’altra occasione di guerra, torna tristemente attuale, come metafora della rappresentazione di ogni conflitto, in occasione del recente scontro tra la Georgia e l’Ossezia del Sud.
Il dipinto in un primo momento attira l’attenzione su di sé, non solo per le sue grandi dimensioni (150 x 400 cm) ma anche per i colori, caldi e accesi, il rosso, l’ocra, l’azzurro, il grigio e il nero diffuso, e per i volti indistinti e le pose accennate ai limiti del “non finito” dei personaggi, che stimolano l’osservatore ad avvicinarsi sempre più nel tentativo di discernere e comprendere il significato del soggetto. Un personaggio che tiene in braccio un altro esanime, divide in due la scena. Da alcuni elementi, come la muscolatura del dorso della figura in piedi o la capigliatura e l’anatomia più esile di quella distesa, intuiamo che si tratta di un uomo e di una donna, ma volendo tralasciare la loro identità, essi sono rappresentati in una delle pose più classiche dell’arte, quella della Pietà, secondo lo schema adottato dalla pittura fiamminga, più che da quella italiana. Lo spazio a sinistra è dominato dal colore rosso intenso, allegoria del sangue sparso sulla terra, in cui sono immersi, come nell’ Inferno dantesco, figure dai volti indeterminati, mute maschere inermi, annichilite dall’orrore. Sono vivi, morti o sopravvissuti? Tutto si mescola tra cielo e terra. Sopra di loro, nell’aria solcata da uccelli, sembra esserci un’apertura e un riferimento alla ripresa della vita dopo la guerra, finché essi non si trasformano nelle sagome minacciose di aerei da caccia, riconducendoci al dramma della morte, raffigurata al centro del dipinto. I personaggi, che circondano i due principali, mostrano di vivere ed interiorizzare il dramma della perdita in maniera diversa tramite le loro posizioni, atteggiamenti o attributi. Dai primi due a sinistra, che si ergono voltando le spalle al gruppo delle “anime” ammassate, delineate solo dai due colori primari, il nero e il rosso, come un mantello a coprire le ferite evidenti sul viso, si passa ai due al centro, rivolti verso il conflitto, con le espressioni appena accennate, e infine a quelli sulla destra, che sembrano già spettatori distanti e assenti, dove le loro pose e abbigliamento suggeriscono un ritorno alla civiltà, come del resto lascia intuire l’ultimo uomo sulla destra che sembra dirigersi ad una possibile città fatta di macerie accennata in lontananza. In tal modo l’artista passa in rassegna non solo i diversi atteggiamenti degli attori della guerra ma soprattutto i vari stati d’animo umani, come la paura delle vittime, il coraggio dei soccorritori, l’indifferenza di chi pensa di essere estraneo perché lontano. Tutti i personaggi sono uniti da un sottile filo, sotto un cielo cangiante dai toni sfumati dall’azzurro al grigio, che ad un tratto si tinge di bianco sopra la rappresentazione della Pietà ad indicare una sospensione spazio-temporale. L’artista ne il cuore nero della guerra usa una tecnica pittorica a macchie di colore, con dei bagliori di luce che si ergono dall’oscurità del nero dominante, a voler indicare che oltre i lampi folgoranti dei bombardamenti occorre ritrovare un barlume di ragione e seguire i labili segnali riflessi della Coscienza che conducono ad un sentiero di pace.
D’altra parte Claudio Lia è abituato ad andare a fondo dell’animo umano, avendo imparato nel corso dei suoi studi in psicologia ad indagare i diversi aspetti dell’Essere e dopo averlo destrutturato e ridotto al livello di maschera nei suoi dipinti a restituirgli sentimenti e dignità propri di un individuo.
Nelle altre opere esposte in mostra, In città, Ritorno da voi, Tocca a noi, e Altra Società i personaggi, nonostante siano raffigurati gli uni accanto agli altri, ci comunicano un senso di straniamento e di incomunicabilità per la loro espressione di volti dai lineamenti appena accennati o confusi, nelle pose articolate e anatomicamente improbabili. Le barriere e l’isolamento possono essere abbattute tramite l’Arte, come la pittura e la musica, in alcune opere compaiono infatti gli strumenti musicali, come In città, dove sono rappresentati personaggi sulla metropolitana su uno sfondo che mostra echi geometrici di Mondrian, o in Ritorno da voi con dei musicisti, a voler indicare che l’unicità e la diversità possono essere ripristinate nella massa dei corpi uniti nella macchia di colore così come è possibile ristabilire una comunicazione su un piano più alto di quello bestiale a cui conduce la guerra, contribuendo all’evoluzione di una Coscienza Globale per la risoluzione di tutti i conflitti e l’attuazione di una PACE POSSIBILE.
Simona Capodimonti, storica dell’arte.
30
agosto 2008
Claudio Lia – La pace possibile
Dal 30 agosto al 12 settembre 2008
arte contemporanea
Location
MURA MEDICEE
Grosseto, -, (Grosseto)
Grosseto, -, (Grosseto)
Vernissage
30 Agosto 2008, ore 21
Autore
Curatore