Per gli Ebrei i “nabi” erano profeti che, attraverso l’immagine, fendevano la vita superando le limitazioni del tempo: la loro forza creativa, poetica o musicale, rivelava agli altri uomini i misteri del Creato e quindi, ispirata da forze superiori, portava la realtà spirituale a contatto con la bellezza terrena: il linguaggio del disegno, delle macchie e della sua sbavatura, della FOLGORAZIONE POETICO – VISIVA, del riempimento dello spazio e della campitura, della luce che rivive la lezione rinascimentale e non solo, scorrendo da sempre nelle vene di Claudio Magrassi, sale con violenza e sicurezza sino alla superficie della tela, portando in dono visioni sciamaniche che parallelamente sono antiche danze rituali della mente e moderne fascinazioni del gusto.


La via della pittura, partendo dalla sofferenza personale, segna così l’unione arcana del materiale all’immateriale, rifiutando e accogliendo i colori, abbandonando il tratto per poi equilibrare la finezza dell’espressione con il carattere chiuso della composizione, rimettendo la propria natura nelle mani di qualcosa di più grande (la vita, la morte, il sogno, la divinità, l’eros) che sono i veri e gli unici committenti della sua opera.


Passo passo, la formula magica dell’energia della creazione richiede all’autore la messa in discussione o forse l’abbandono della figura umana per costringere al bene i malevoli dei del destino (che abitano il nostro inconscio): rimarranno gli oggetti che nell’assenza parleranno delle feste di chi stava in riva al mare a guardare il cielo stellato o di chi dopo aver acceso il fuoco della sacralità amorosa aveva lasciato tutto per salire da solo sulla montagna.


Anche Gesù faceva i miracoli per salvare le anime di chi gli si rivolgeva ma al contrario, doveva curare i corpi “ingessati” dall’inevitabile decadenza perché le persone fin dall’antichità erano vittime della mancanza di fantasia o come noi, ultrà del corpo sempre giovane e infinitamente fisico.
Luca Sartini