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Elettra Ranno – Diario onirico in metamorfosi
Mostra di fotografia
Comunicato stampa
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… E in aroma d’alloro,
In aroma d’alloro acre languente,
Tra le statue immortali nel tramonto
Ella m’appar, presente.
Dino Campana, Canti Orfici, “Giardino Autunnale”
“Ricordo un pomeriggio di qualche tempo fa durante il quale, passeggiando senza meta, fui catturato dal tempo che, improvvisamente, aveva sospeso il suo corso.
Ricordo i miei passi battere il selciato senza udirne il rumore, né di essi, né di tutto quello che mi circondava. Seguivo la mia ombra, strisciante lungo i muri consunti, mentre sfruttava la poca luce rimasta di una giornata che stava volgendo al termine. O forse, a un nuovo inizio… Queste furono le prime impressioni non appena vidi il lavoro di Elettra: diapositive con scatti analogici singoli nelle quali in una frazione di secondo veniva catturata in modo indelebile l’emozione di un viaggio attraverso l’esistenza.
Indefiniti pensieri ricorrevano alla mente, come se anni e anni cercassero di fondersi nell’istante di un ricordo: il ricordo di colui che ero stato. Ebbi l’impressione che le persone incontrate sul cammino si muovessero intorno a me, ma ben presto capii che ero io l’unico in movimento, mentre tutti gli altri, immobili, in silenzio, mi stavano osservando. Incurante di tutto questo, proseguii il cammino, percorrendo strade sempre più buie, fino a giungere in una piccola piazza nella quale, inaspettatamente, fui turbato da una porta, che improvvisamente si spalancò.
Il cuore sussultò ed io con esso, ma fui attratto dallo spiraglio di luce. Mi avvicinai, cautamente, ed entrai. Un acre profumo di incenso impregnava la penombra che regnava in quel luogo, sconosciuto e apparentemente abbandonato. L’arredamento e le suppellettili sembravano quasi ingessate dalla polvere del tempo, mentre un silenzio quasi spettrale invadeva lo spazio.
Nel frattempo il sole scomparve definitivamente e, implacabile, venne la notte. Ebbi l’impressione che si stessero aprendo le stanze della memoria, quelle contenenti gli specchi, che l’avevano catturata e trattenuto il passato, quelli che avrebbero riportato in vita l’infinito dell’esistenza.
Un lieve, impercettibile movimento, almeno quella fu l’impressione, catturò la mia attenzione. Mi voltai di scatto, ma vidi soltanto la polvere danzare nel cono fievole di luce, che filtrava da una porta interna leggermente socchiusa, la quale, ero certo, poco prima era completante chiusa. Mi spinsi in quella direzione, entrai nel cono di luce e mi trovai di fronte una vecchia scala di legno, che risalii velocemente. Appena salita la prima rampa, intravidi, al piano superiore, un lembo di stoffa chiara svanire dietro l’angolo del muro.
L’ansia mi strinse la gola, ma non riuscii a fermarmi se non quando giunsi al limite della stanza, nella quale terminava il lungo corridoio del primo piano. Un brivido tracciò il mio corpo in differenti direzioni per fermarsi nel cuore; alzai un braccio e aprii la bocca senza riuscire ad emettere alcun suono.
Sul fondo della stanza, davanti ad un’altra porta, questa volta a vetri e dalla quale proveniva una smagliante luce arancione, ebbi l’impressione di percepire una figura femminile.
Restai nell’ambito dell’incertezza, in quanto, mentre fui certo di vederne chiaramente il corpo, lo stesso non avrei potuto affermare del viso; anzi, di esso vidi soltanto l’ombra che stava scomparendo al di là del vetro. Inizialmente pensai a due persone identiche, a due gemelle forse, ma ben presto notai che anche il corpo stava per scomparire attraversando la stessa porta. Il respiro divenne pesante, mentre la paura lasciò il posto a stupore, meraviglia e desiderio.
Tutto appariva irreale, spettrale, quasi metafisico, ma io percepii, invece, la realtà di una straordinaria presenza fisica, che stava giocando con la mia anima. E di lì a poco infatti, riapparve rientrando da una finestra socchiusa, che tale rimase. Inizialmente vidi una mano e poco dopo il corpo, ancora attraversato dal filo di luce proveniente dai lampioni della strada. Non feci in tempo a fissare nella mente queste immagini che lei, in tutta la sua fisicità, mi passò innanzi, sfiorandomi. La guardai in viso per un attimo, fulminato dal suo sguardo, mentre lei, muovendo la testa come a sciogliere i capelli, mi sorrise e scomparve attraverso un’altra porta.
Vittima di un’ipnosi della coscienza, iniziai a percepire i suoi movimenti ascoltando lo spostamento dell’aria immobile che mi circondava. Decisi di seguirla come si segue un sogno, preda volutamente inerme di un possesso interiore. L’impressione fu quella che, attraverso questi suoi giochi, ella tendesse a portare la verità verso di me, ma forse verso tutti noi, spezzando le false certezze e trasformandole, nello stesso tempo, in frammenti di realtà, che potevano così apparire sotto una luce completamente nuova.
Ella, interrogando se stessa, poneva anche a noi gli stessi quesiti esistenziali, al fine di risollevare la nostra attenzione e di dare forma alla coscienza.
Usando la sua abilità nell’apparire e nello scomparire, esercitava in noi una nuova forma di purificazione, quasi per un ordine interiore proveniente dall’anima… una metamorfosi costante, una danza orfica, nella quale rappresentava noi stessi nell’agire quotidiano… una magica interpretazione dell’infinita ricerca dell’esistenza basata su azioni visibili, ma molto spesso, su quelle invisibili.
Un richiamo interiore, magistralmente intonato che affascinava e trascinava nel profondo.
Iniziò così a parlarmi attraverso le mille voci del silenzio, seguendo un ordine di ricerca interiore che la faceva passare da una dimensione all’altra, come per raggiungere un’estasi illuminante.
Mi sentii parte di lei, pronto ad intraprendere un cammino di purificazione alla ricerca di me stesso. Tremante le tesi la mano, sicuro di non riuscire a toccarla. Sentii il suo calore, ne fui inebriato e, con lei, attraversai la porta della mia anima.” (Fabrizio Boggiano)
“La fotografia, di frequente, è utilizzata come “strumento” per osservarsi, scandagliarsi nell’intimo, per “leggere” tra gli spazi astratti del proprio animo… E la fotografia, nella sua naturale dimensione, intesa come sintesi di un momento trascorso e non più visibile, lo è come memoria, ma anche come segmento di vissuto su cui investire, come veicolo efficace per effettuare riflessioni, disegnare itinerari emotivi, dare prospettiva a punti di vista, allo stesso modo di come la parola lo è per la poesia, il colore per la pittura, le note per la musica.
Elettra Ranno scrive il suo diario con la fotografia. Per lei la luce è parola, colore, nota. Una sintassi ben elaborata fatta di visualizzazioni cariche di simboli e metafore, ora più marcati, decisi, pronunciati, ora più sfumati, vaghi, morbidi… Un patrimonio di “momenti” da conservare, prezioso come i ricordi. Pregevoli frammenti di annotazioni. Un diario intimo, un piccolo taccuino di sensazioni, percezioni, impressioni connesse a stati d’animo. Tessuti con gusto estetico con una trama narrativa elegante e ricercata.
“Sono immagini indefinite” dice lei stessa “appartenenti al territorio dell’onirico e della fantasia che rimandano ai pensieri più reconditi facendo leva sull’inconscio, l’irrazionale ed il contenuto dell’anima. Visualizzo dei sentimenti, delle sensazioni che emergono dal grembo della mia intimità utilizzando il momento della ripresa come momento di riflessione, riproducendo liberamente, così come sento, tutti quei fantasmi che danzano con me: la gioia, l'amore, la tenerezza, la paura, l’illusione, la melanconia”… “Diario Onirico in Metamorfosi” è un lavoro profondo e spirituale, che raccoglie e coordina, secondo linee progettuali studiate in ogni dettaglio, nel quadro di una equilibrata coerenza strutturale e con uno stile che evidenzia personalità, la capacità di leggere nei meandri di segmenti all’apparenza invisibili e oggettivare visioni personali… (nei quali)… Elettra Ranno disegna iconicamente sofisticati perimetri emotivi, delinea percorsi intimi di rara bellezza emozionale… (per)… “coinvolgere emotivamente e culturalmente l’osservatore in modo che quest’ultimo avverta la mia entità, attraverso la propria esperienza e sensibilità”. (Fausto Raschiatore)
Elettra Ranno è nata ad Acireale (CT)
Vive e lavora tra Roma e Atene
2006 “Viaggio onirico in metamorfosi” a cura di Fabrizio Boggiano e Fausto
Raschiatore, Joyce & Co. Artecontemporanea – Genova (Personale)
2005 “Fotoleggendo” – Roma – 1° premio Portfolio 2005
“Equinozio di primavera”, Galleria “Il Leone” – Roma (Collettiva)
“L’incisione fotografata”, Centro per l’incisione e la Grafica d’Arte –
Formello (Roma) (Collettiva)
2003 “Look Out”, Festival Internazionale del cinema, arti visive e multimediale –
Atene (Grecia)
“Festival delle Arti” – Bologna
“Personale”, Galleria “Mr. Duchamp” – Roma
2002 “Personale”, Associazione Culturale Passepartout – L’Aquila
“Personale”, Associazione Culturale Baraonde – Roma
10
febbraio 2006
Elettra Ranno – Diario onirico in metamorfosi
Dal 10 febbraio al 02 aprile 2006
fotografia
Location
GALLERIA JOYCE & CO.
Genova, Via Giovanni Tomaso Invrea, 25r, (Genova)
Genova, Via Giovanni Tomaso Invrea, 25r, (Genova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 9,30-12,30 e 15,30-19
Vernissage
10 Febbraio 2006, ore 18-21.30
Autore
Curatore