Negli ultimi anni Elisabetta Vignato sembra destinata a continue, repentine svolte. Cambiamenti che non intendono sancire una drastica rottura con il passato, ma che viceversa perseguono una costante crescita filologica. Senza mai doversi smentire né rinnegare per cavalcare facili – quanto falsi ed effimeri – consensi, l’artista ci offre una varietà di soluzioni in cui si evince sempre e comunque quel quid che rende il suo stile pienamente riconoscibile. La pittura conserva dunque tutta la sua pregnanza: la materia si sedimenta e si frammenta, la trasparenza delle velature si alterna a dense campiture, le colature si avvicendano con effetti di sfumato, mentre zone di luce contrastano con ombre intense e impenetrabili. Fatta eccezione per una serie di piccole tecniche miste che si riallacciano alla precedente ricerca, Vignato smette di indagare il carattere, il comportamento e il vestiario di giovani obbligati a crescere troppo velocemente. L’adolescenza (che è sempre stata al centro della sua poetica) si riversa nel mondo fenomenico, non tanto per colmare il vuoto dei fondi monocromi, né per contestualizzare le figure, bensì per focalizzare l’attenzione sugli oggetti, sugli interni domestici o sui paesaggi che fino ad oggi erano stati rimossi dallo spettro visivo; un “intorno” che non vedevamo e che ora domina la scena, diventando il soggetto vero e proprio dell’opera. Un soggetto che non è mai solo ciò che vediamo, ma che insiste ad essere un sentimento, un’atmosfera, perché ogni immagine dipinta da Elisabetta Vignato non attinge mai a ciò che l’artista ha modo di vedere ma a ciò che è stato visto, ossia alla memoria se non addirittura alla fantasticheria.