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Filippo Chia – Light Shadow
Fotografie in bianco e nero
Comunicato stampa
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Filippo Chia. Light Shadows
La luce produce automaticamente colori e ombre. Le ombre sono forme anch’esse. Nel bianconero l’opposizione tra luce e ombra è più radicale, si scioglie in un numero indefinito di gradazioni di grigio.
Nell’epoca del digitale, Filippo Chia recupera un’espressione storica della fotografia, il bianconero, per dichiarare apertamente, e da principio, la propria affinità culturale con un’arte tradizionalmente europea, ma che ha avuto negli Stati Uniti la sua massima espressione: la fotografia d’immagine. Da New York, Filippo Chia s’immerge nel lavoro di artisti quali Cartier Bresson, Robert Frank, Helmut Newton, Bruce Davidson e produce opere che hanno la consistenza e la grana di quelle immagini, ma presentano un panorama rinnovato.
E’ un tipo di fotografia, la sua, che ricerca un punctum (come dice Roland Barthes), ovvero un punto d’attenzione, da cui il nostro pensare in termini narrativi trae la sostanza per articolare delle piccole ipotesi di narrazione. Come dice Diane Arbus: It always seemed to me that photography tends to deal with facts whereas film tends to deal with fiction. The best example I know is when you go to the movies and you see two people in bed, you’re willing to put aside the fact that you perfectly well know that there was a director and a cameraman and assorted lighting people all in that same room and the tow people in bed weren’t really alone. But when you look at a photograph you can never put that aside.
La fotografia di Filippo Chia ha un profondo radicamento con la realtà quotidiana. Come nella tradizione dei fotografi d’immagine e dei fotografi documentali (i grandi giornalisti dell’immagine come Robert Capa), Chia produce una documentazione che non sfuma nell’attimo riprodotto, ma che cerca nell’attimo il suo potenziamento. Un’immagine che si intensifica nella soluzione formale.
Dopo essersi laureato alla University Tisch School of the Arts, il giovane Chia ha realizzato una serie di cicli di fotografia documentale che testimoniano, oltre alla propria storia personale, la storia di New York e degli altri luoghi visitati negli ultimi otto anni. “Alamar the City of Hip-Hop” è un documentario in film che ha vinto un premio prestigioso, che nel 2001 Filippo Chia ha realizzato sulla nascente cultura della Cuban rap music. Nel 2002 Filippo ha iniziato il suo grande progetto dal titolo “L’America”, un progetto che fornisce una visione aggiornata della lunga storia americana degli italiani d’america che vivono a New York.
Gran parte delle scene che appartengono a questo suo nuovo ciclo di foto si confrontano con paesaggi italiani (tra cui Ronciglione, il piccolo paese del viterbese dove si trova la casa materna), che nella grana del bianconero si integrano perfettamente nel tessuto visivo di altri paesaggi internazionali, urbani o naturali, ognuno comunque colto nella sua più profonda espressività. Nel bianconero si ritrova il senso modulare del colore che si costruisce per contrasto. Bianco e nero sono due opposti della sfera cromatica che contengono tutti i colori. Le ombre scure si contrappongono alle ombre chiare in una dialettica che costruisce l’immagine e la lascia assurgere naturalmente dal fondo. Nel bianconero anche ciò che consideriamo diviene colore diviene ombra, un’ombra più leggera. A light shadow: ciò che rende le cose eterne.
Filippo Chia indica tra i suoi padri dei grandi artisti americani. E’ indubbia però l’influenza avuta dal padre naturale, Sandro Chia, cui la sua fotografia ha un debito per quanto concerne la disinvoltura delle scene, mai mitizzate, come nel caso della fotografia americana, ma viste invece attraverso un occhio disincantato. Ed inoltre, un tratto che avvicina le due generazioni è nella monumentalità delle figure, quella sorta di classicismo (con)temporaneo che fonde in se figura e paesaggio, vita e morte.
Angelo Capasso
La luce produce automaticamente colori e ombre. Le ombre sono forme anch’esse. Nel bianconero l’opposizione tra luce e ombra è più radicale, si scioglie in un numero indefinito di gradazioni di grigio.
Nell’epoca del digitale, Filippo Chia recupera un’espressione storica della fotografia, il bianconero, per dichiarare apertamente, e da principio, la propria affinità culturale con un’arte tradizionalmente europea, ma che ha avuto negli Stati Uniti la sua massima espressione: la fotografia d’immagine. Da New York, Filippo Chia s’immerge nel lavoro di artisti quali Cartier Bresson, Robert Frank, Helmut Newton, Bruce Davidson e produce opere che hanno la consistenza e la grana di quelle immagini, ma presentano un panorama rinnovato.
E’ un tipo di fotografia, la sua, che ricerca un punctum (come dice Roland Barthes), ovvero un punto d’attenzione, da cui il nostro pensare in termini narrativi trae la sostanza per articolare delle piccole ipotesi di narrazione. Come dice Diane Arbus: It always seemed to me that photography tends to deal with facts whereas film tends to deal with fiction. The best example I know is when you go to the movies and you see two people in bed, you’re willing to put aside the fact that you perfectly well know that there was a director and a cameraman and assorted lighting people all in that same room and the tow people in bed weren’t really alone. But when you look at a photograph you can never put that aside.
La fotografia di Filippo Chia ha un profondo radicamento con la realtà quotidiana. Come nella tradizione dei fotografi d’immagine e dei fotografi documentali (i grandi giornalisti dell’immagine come Robert Capa), Chia produce una documentazione che non sfuma nell’attimo riprodotto, ma che cerca nell’attimo il suo potenziamento. Un’immagine che si intensifica nella soluzione formale.
Dopo essersi laureato alla University Tisch School of the Arts, il giovane Chia ha realizzato una serie di cicli di fotografia documentale che testimoniano, oltre alla propria storia personale, la storia di New York e degli altri luoghi visitati negli ultimi otto anni. “Alamar the City of Hip-Hop” è un documentario in film che ha vinto un premio prestigioso, che nel 2001 Filippo Chia ha realizzato sulla nascente cultura della Cuban rap music. Nel 2002 Filippo ha iniziato il suo grande progetto dal titolo “L’America”, un progetto che fornisce una visione aggiornata della lunga storia americana degli italiani d’america che vivono a New York.
Gran parte delle scene che appartengono a questo suo nuovo ciclo di foto si confrontano con paesaggi italiani (tra cui Ronciglione, il piccolo paese del viterbese dove si trova la casa materna), che nella grana del bianconero si integrano perfettamente nel tessuto visivo di altri paesaggi internazionali, urbani o naturali, ognuno comunque colto nella sua più profonda espressività. Nel bianconero si ritrova il senso modulare del colore che si costruisce per contrasto. Bianco e nero sono due opposti della sfera cromatica che contengono tutti i colori. Le ombre scure si contrappongono alle ombre chiare in una dialettica che costruisce l’immagine e la lascia assurgere naturalmente dal fondo. Nel bianconero anche ciò che consideriamo diviene colore diviene ombra, un’ombra più leggera. A light shadow: ciò che rende le cose eterne.
Filippo Chia indica tra i suoi padri dei grandi artisti americani. E’ indubbia però l’influenza avuta dal padre naturale, Sandro Chia, cui la sua fotografia ha un debito per quanto concerne la disinvoltura delle scene, mai mitizzate, come nel caso della fotografia americana, ma viste invece attraverso un occhio disincantato. Ed inoltre, un tratto che avvicina le due generazioni è nella monumentalità delle figure, quella sorta di classicismo (con)temporaneo che fonde in se figura e paesaggio, vita e morte.
Angelo Capasso
16
luglio 2005
Filippo Chia – Light Shadow
Dal 16 luglio al 13 agosto 2005
giovane arte
Location
BLU CORNER RICCI FERRAMENTA ARTE CONTEMPORANEA
Carrara, Piazza Alberica, (Massa-carrara)
Carrara, Piazza Alberica, (Massa-carrara)
Orario di apertura
da martedì a domenica 15–20
Autore