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Francesca Bertolini – …sotto il prossimo
Mostra fotografica
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Con gesti semplici,
veloci
le mani
come farfalle
delicate
prendono il volo.”
Le fotografie di cui si compone la mostra costituiscono una serie che racconta una storia, una storia che non dura più di pochi, pochissimi istanti, una storia nella storia.
Il luogo: un vecchio negozio di barbiere di un piccolo paese di provincia.
Il protagonista: "il Parma", un anziano barbiere.
Un tempo senza tempo.
Ogni singola barba è una storia a sé, una delle innumerevoli che si svolgono ogni giorno nel negozio del barbiere e che Francesca Bertolini ha voluto fissare con la fotografia tanto da conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata, nella sua banalità, nella sua immediatezza.
Gesti semplici, meccanici, scontati, che, nonostante la loro ripetitività, non sono mai uguali e si susseguono con una estrema velocità.
La rapidità delle mani rugose del vecchio barbiere contrasta con l’immobilità del suo cliente: la fotografia rappresenta la volontà di fissare questo contrasto in un gioco di mosso che caratterizza tutta la sequenza. E allora le vecchie mani sembrano prendere il volo quasi fossero leggere farfalle che si limitano a sfiorare il viso del cliente con una estrema delicatezza.
Le mani del barbiere in questa sequenza lo rappresentano, rappresentano la sua essenza: è lui il vero, l’unico soggetto di questa indagine fotografica.
Pochi istanti… e sotto il prossimo.
Per Francesca Bertolini fotografare significa raccontare una storia.
Reportage dunque non come mera documentazione del reale, ma come strumento per fermare la realtà sfuggevole e a volte apparentemente insignificante del quotidiano, nel tentativo di conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata. La fotografia diventa uno strumento di indagine di vita con una particolare attenzione al dettaglio.
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“Con gesti semplici,
veloci
le mani
come farfalle
delicate
prendono il volo.”
La sequenza di immagini che ho scelto fa parte di un progetto più vasto che ha per soggetto il vecchio, lo “storico” barbiere del mio paese, l’amore e la passione per la professione di una vita.
Le fotografie che presento costituiscono una serie che racconta una storia, una storia che non dura più di pochi, pochissimi istanti, una storia nella storia. Infatti ogni singola barba diventa una storia a sé, una delle innumerevoli che si svolgono ogni giorno nel negozio del barbiere e che io ho voluto fissare con la fotografia tanto da conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata, nella sua banalità, nella sua immediatezza.
Gesti semplici, meccanici, scontati, che, nonostante la loro ripetitività, non sono mai uguali e si susseguono con una estrema velocità.
La rapidità delle mani rugose del vecchio barbiere contrasta con l’immobilità del suo cliente: la fotografia rappresenta la volontà di fissare questo contrasto in un gioco di mosso che caratterizza tutta la sequenza. E allora le vecchie mani sembrano prendere il volo quasi fossero leggere farfalle che si limitano a sfiorare il viso del cliente con una estrema delicatezza.
Le mani del barbiere in questa sequenza lo rappresentano, rappresentano la sua essenza: è lui il vero, l’unico soggetto della mia indagine fotografica.
Pochi istanti… e sotto il prossimo.
Francesca Bertolini
DEL GESTO, DEL LUOGO E DEGLI OGGETTI
Si possono “raccontare” le fotografie?
Forse no:
E’ possibile descriverle, senza tradirle, con un codice di comunicazione che procede per strade altre?
Forse no.
Ma esistono intersecazioni e influenze tra il raccontare per immagini e la storia scritta o verbalmente tramandata?
Forse si.
Consciamente o inconsciamente, penso che il lavoro di Francesca Bertolini sia un discorso della memoria scritto per immagini, con evocazioni che ci riportano al “racconto” e a un certo cinema che “…conferiva importanza e rendeva degna di essere raccontata, sia nella sua banale dimensione sia nella sua immediatezza” una qualunque visita dal barbiere.
Per Francesca il tempo si è fermato ad una visione “dell’andare dal barbiere” sicuramente di incipit neorealistico, non per sterile citazione ma per impulso poetico.
Cosi era anche negli anni in cui anche chi scrive era bambino e cosi pare possa essere oggi in paesi dove il tempo si è fermato. L’arrivo in bicicletta , la luce bianca , abbagliante dei muri ci dicono del caldo e dell’afa estiva, che qui da noi, come ben lo ricorda Guareschi, può arrivare ad impensate temperature.
L’ombra invitante di un interno quieto ci racconta dell’attesa del proprio turno, delle frasi, sempre quelle, nutrite di sport, politica e, in assenza di bambini, di avventure amorose, divenute oggi leggende, in cui tutto era accaduto, anche l’impossibile. Aperto a tutti purché di sesso maschile, senza discriminazioni di età, vietato alla popolazione “femminile”, quasi esclusivo come certi luoghi “sacri e maschili” in Inghilterra.
Il barbiere, lui, è sempre quello dall’origine, colui che ha manipolato i capelli di generazioni e Francesca ne sottolinea, con misurata sapienza fotografica, tutta la gestualità, dalla dolce lentezza dell’insaponata (quasi un massaggio) al rapido, sicuro gesto ampio o quasi chirurgico del pelo e contropelo.
Penso che anche Kundera, nel suo bellissimo racconto lungo “Elogio della lentezza” avrebbe amato sostare qui, ascoltarne i rumori che accompagnano il lavoro, spiare i visi, e restare rapito dal “volo delle mani” di questo sapiente signore che prima fa scomparire i volti sotto una bianca e spessa maschera per poi restituirceli fragranti e riposati.
Complice silenzioso del barbiere è lo specchio, presente nella sua funzione, nobile, di restituirci l’immagine che docilmente gli proponiamo e in quella più immediata di dare profondità allo spazio, angusto anche se confortevole, della bottega.
Qui l’unica metamorfosi è quella del cliente dopo la “manipolazione” controllata, con celata cura e apparente noncuranza dello sguardo, dal cliente alla fine della seduta, nell’atto di alzarsi da quell’incomparabile pensatoio che può essere “la poltrona da barbiere”. Ai tempi miei (molto lontani) questa aveva anche la funzione di sancire in che grado di considerazione eravamo tenuti noi piccoli: ancora bambini o già ragazzi? Infatti se con severa gentilezza si veniva sollevati dal barbiere e deposti su di una specie di ”cavallino” in precario equilibro su di un “seggiolone” la condizione era chiaramente assegnata. L’essere invitati a sedersi direttamente sulla “poltrona” era quasi un ingresso nella vita degli adulti.
Per alcune bellissime fotografie, in cui Francesca racchiude gli “oggetti” di servizio, bisogna parlare di “innata capacità compositiva“ e in senso lato di “natura morta”. Per carattere e per cultura la nostra fotografa non ha certo messo mano sul ripiano, cercando di spostare o modificare un assetto che “l’hazard“, tanto amato da Breton, ha realizzato.
Ma vorrei aggiungere una impressione, assolutamente personale, che va in direzione dei “rayogrammi” di Man Ray e non solo. Infatti è talmente magica la luce su questi oggetti, tra i più semplici come in tanti rayogrammi, da nobilitarli, facendone una cosa diversa. Naturalmente il procedimento seguito dai vari fotografi era tutto in camera oscura e gli oggetti percepiti nella proiezione della loro forma, ma ribadisco che queste immagini della fotografa mi conducono, emozionalmente, in quella direzione, sicuramente per quella luce che rende straniante ognuno di essi.
Vorrei aggiungere, come esempio, che quelle forbici, quei pennelli da barbiere ne diventano quasi l’archetipo. Così gonfi di schiuma si offrono come surreali fiori bianchi o gustosi dolci alla panna. E’ presente in catalogo ed in mostra una serie di sei immagini che la fotografa ha voluto giustamente isolare dalle altre. Formano nella loro sequenza, una poesia visiva, che Francesca ha accompagnato con un poetico commento, rigoroso ed essenziale, a dimostrazione dell’intersecarsi continuo dei vari generi di comunicazione sia nel creatore delle immagini sia nel loro fruitore.
Lui, il barbiere, ha trovato, nella ripetizione dei gesti e forse il quel misterioso oggetto contenente un liquido pungente e profumato (riservato ai “grandi”) l’elisir di lunga vita, dell’eterna giovinezza. Cambia e modifica di tanto in tanto le sue sembianze lentamente, ma sicuramente è sempre lui. Grazie a Francesca per averlo catturato in immagini che lo renderanno immortale, come protagonista di questa storia proposta per immagini!
Quanti sono i clienti? Non si saprà mai perché Francesca , ancora una volta per studi e per cultura, non ha dimenticato la potenza moltiplicatrice, intrigante e distruttrice del reale che Borges ci indica in rapporto allo specchio. E la nostra è sicuramente lettrice attenta, capace di nutrire la sua creatività ad altre sorgenti quale appunto la comunicazione scritta.
Pare che da quello specchio scivolino in sala, silenziosi e attenti, molti abitanti del mondo degli specchi… per il piacere della compagnia, per cambiar aria, per ascoltare e riportare…
Rientrano nel loro freddo mondo la sera, dopo l’ultimo cliente, quando il barbiere non dice più: ”Avanti un altro”.
Francesca Bertolini ci consegna alla visione ed al piacere una serie di immagini frutto di un progetto che ci fa capire quanto lei non sia una fotografa per caso, ma in divenire, vista la sua giovane età, che sa cogliere, con attenzione e poetica ironia, il lato irreale o meglio surreale dei gesti, degli oggetti e del luogo. E’ avviata verso una maturità fotografica piena di certezze e, spero, di altrettanti ripensamenti.
Reggio Emilia, primi giorni d’autunno 2003
Vasco Ascolini
veloci
le mani
come farfalle
delicate
prendono il volo.”
Le fotografie di cui si compone la mostra costituiscono una serie che racconta una storia, una storia che non dura più di pochi, pochissimi istanti, una storia nella storia.
Il luogo: un vecchio negozio di barbiere di un piccolo paese di provincia.
Il protagonista: "il Parma", un anziano barbiere.
Un tempo senza tempo.
Ogni singola barba è una storia a sé, una delle innumerevoli che si svolgono ogni giorno nel negozio del barbiere e che Francesca Bertolini ha voluto fissare con la fotografia tanto da conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata, nella sua banalità, nella sua immediatezza.
Gesti semplici, meccanici, scontati, che, nonostante la loro ripetitività, non sono mai uguali e si susseguono con una estrema velocità.
La rapidità delle mani rugose del vecchio barbiere contrasta con l’immobilità del suo cliente: la fotografia rappresenta la volontà di fissare questo contrasto in un gioco di mosso che caratterizza tutta la sequenza. E allora le vecchie mani sembrano prendere il volo quasi fossero leggere farfalle che si limitano a sfiorare il viso del cliente con una estrema delicatezza.
Le mani del barbiere in questa sequenza lo rappresentano, rappresentano la sua essenza: è lui il vero, l’unico soggetto di questa indagine fotografica.
Pochi istanti… e sotto il prossimo.
Per Francesca Bertolini fotografare significa raccontare una storia.
Reportage dunque non come mera documentazione del reale, ma come strumento per fermare la realtà sfuggevole e a volte apparentemente insignificante del quotidiano, nel tentativo di conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata. La fotografia diventa uno strumento di indagine di vita con una particolare attenzione al dettaglio.
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“Con gesti semplici,
veloci
le mani
come farfalle
delicate
prendono il volo.”
La sequenza di immagini che ho scelto fa parte di un progetto più vasto che ha per soggetto il vecchio, lo “storico” barbiere del mio paese, l’amore e la passione per la professione di una vita.
Le fotografie che presento costituiscono una serie che racconta una storia, una storia che non dura più di pochi, pochissimi istanti, una storia nella storia. Infatti ogni singola barba diventa una storia a sé, una delle innumerevoli che si svolgono ogni giorno nel negozio del barbiere e che io ho voluto fissare con la fotografia tanto da conferirle importanza e renderla degna di essere raccontata, nella sua banalità, nella sua immediatezza.
Gesti semplici, meccanici, scontati, che, nonostante la loro ripetitività, non sono mai uguali e si susseguono con una estrema velocità.
La rapidità delle mani rugose del vecchio barbiere contrasta con l’immobilità del suo cliente: la fotografia rappresenta la volontà di fissare questo contrasto in un gioco di mosso che caratterizza tutta la sequenza. E allora le vecchie mani sembrano prendere il volo quasi fossero leggere farfalle che si limitano a sfiorare il viso del cliente con una estrema delicatezza.
Le mani del barbiere in questa sequenza lo rappresentano, rappresentano la sua essenza: è lui il vero, l’unico soggetto della mia indagine fotografica.
Pochi istanti… e sotto il prossimo.
Francesca Bertolini
DEL GESTO, DEL LUOGO E DEGLI OGGETTI
Si possono “raccontare” le fotografie?
Forse no:
E’ possibile descriverle, senza tradirle, con un codice di comunicazione che procede per strade altre?
Forse no.
Ma esistono intersecazioni e influenze tra il raccontare per immagini e la storia scritta o verbalmente tramandata?
Forse si.
Consciamente o inconsciamente, penso che il lavoro di Francesca Bertolini sia un discorso della memoria scritto per immagini, con evocazioni che ci riportano al “racconto” e a un certo cinema che “…conferiva importanza e rendeva degna di essere raccontata, sia nella sua banale dimensione sia nella sua immediatezza” una qualunque visita dal barbiere.
Per Francesca il tempo si è fermato ad una visione “dell’andare dal barbiere” sicuramente di incipit neorealistico, non per sterile citazione ma per impulso poetico.
Cosi era anche negli anni in cui anche chi scrive era bambino e cosi pare possa essere oggi in paesi dove il tempo si è fermato. L’arrivo in bicicletta , la luce bianca , abbagliante dei muri ci dicono del caldo e dell’afa estiva, che qui da noi, come ben lo ricorda Guareschi, può arrivare ad impensate temperature.
L’ombra invitante di un interno quieto ci racconta dell’attesa del proprio turno, delle frasi, sempre quelle, nutrite di sport, politica e, in assenza di bambini, di avventure amorose, divenute oggi leggende, in cui tutto era accaduto, anche l’impossibile. Aperto a tutti purché di sesso maschile, senza discriminazioni di età, vietato alla popolazione “femminile”, quasi esclusivo come certi luoghi “sacri e maschili” in Inghilterra.
Il barbiere, lui, è sempre quello dall’origine, colui che ha manipolato i capelli di generazioni e Francesca ne sottolinea, con misurata sapienza fotografica, tutta la gestualità, dalla dolce lentezza dell’insaponata (quasi un massaggio) al rapido, sicuro gesto ampio o quasi chirurgico del pelo e contropelo.
Penso che anche Kundera, nel suo bellissimo racconto lungo “Elogio della lentezza” avrebbe amato sostare qui, ascoltarne i rumori che accompagnano il lavoro, spiare i visi, e restare rapito dal “volo delle mani” di questo sapiente signore che prima fa scomparire i volti sotto una bianca e spessa maschera per poi restituirceli fragranti e riposati.
Complice silenzioso del barbiere è lo specchio, presente nella sua funzione, nobile, di restituirci l’immagine che docilmente gli proponiamo e in quella più immediata di dare profondità allo spazio, angusto anche se confortevole, della bottega.
Qui l’unica metamorfosi è quella del cliente dopo la “manipolazione” controllata, con celata cura e apparente noncuranza dello sguardo, dal cliente alla fine della seduta, nell’atto di alzarsi da quell’incomparabile pensatoio che può essere “la poltrona da barbiere”. Ai tempi miei (molto lontani) questa aveva anche la funzione di sancire in che grado di considerazione eravamo tenuti noi piccoli: ancora bambini o già ragazzi? Infatti se con severa gentilezza si veniva sollevati dal barbiere e deposti su di una specie di ”cavallino” in precario equilibro su di un “seggiolone” la condizione era chiaramente assegnata. L’essere invitati a sedersi direttamente sulla “poltrona” era quasi un ingresso nella vita degli adulti.
Per alcune bellissime fotografie, in cui Francesca racchiude gli “oggetti” di servizio, bisogna parlare di “innata capacità compositiva“ e in senso lato di “natura morta”. Per carattere e per cultura la nostra fotografa non ha certo messo mano sul ripiano, cercando di spostare o modificare un assetto che “l’hazard“, tanto amato da Breton, ha realizzato.
Ma vorrei aggiungere una impressione, assolutamente personale, che va in direzione dei “rayogrammi” di Man Ray e non solo. Infatti è talmente magica la luce su questi oggetti, tra i più semplici come in tanti rayogrammi, da nobilitarli, facendone una cosa diversa. Naturalmente il procedimento seguito dai vari fotografi era tutto in camera oscura e gli oggetti percepiti nella proiezione della loro forma, ma ribadisco che queste immagini della fotografa mi conducono, emozionalmente, in quella direzione, sicuramente per quella luce che rende straniante ognuno di essi.
Vorrei aggiungere, come esempio, che quelle forbici, quei pennelli da barbiere ne diventano quasi l’archetipo. Così gonfi di schiuma si offrono come surreali fiori bianchi o gustosi dolci alla panna. E’ presente in catalogo ed in mostra una serie di sei immagini che la fotografa ha voluto giustamente isolare dalle altre. Formano nella loro sequenza, una poesia visiva, che Francesca ha accompagnato con un poetico commento, rigoroso ed essenziale, a dimostrazione dell’intersecarsi continuo dei vari generi di comunicazione sia nel creatore delle immagini sia nel loro fruitore.
Lui, il barbiere, ha trovato, nella ripetizione dei gesti e forse il quel misterioso oggetto contenente un liquido pungente e profumato (riservato ai “grandi”) l’elisir di lunga vita, dell’eterna giovinezza. Cambia e modifica di tanto in tanto le sue sembianze lentamente, ma sicuramente è sempre lui. Grazie a Francesca per averlo catturato in immagini che lo renderanno immortale, come protagonista di questa storia proposta per immagini!
Quanti sono i clienti? Non si saprà mai perché Francesca , ancora una volta per studi e per cultura, non ha dimenticato la potenza moltiplicatrice, intrigante e distruttrice del reale che Borges ci indica in rapporto allo specchio. E la nostra è sicuramente lettrice attenta, capace di nutrire la sua creatività ad altre sorgenti quale appunto la comunicazione scritta.
Pare che da quello specchio scivolino in sala, silenziosi e attenti, molti abitanti del mondo degli specchi… per il piacere della compagnia, per cambiar aria, per ascoltare e riportare…
Rientrano nel loro freddo mondo la sera, dopo l’ultimo cliente, quando il barbiere non dice più: ”Avanti un altro”.
Francesca Bertolini ci consegna alla visione ed al piacere una serie di immagini frutto di un progetto che ci fa capire quanto lei non sia una fotografa per caso, ma in divenire, vista la sua giovane età, che sa cogliere, con attenzione e poetica ironia, il lato irreale o meglio surreale dei gesti, degli oggetti e del luogo. E’ avviata verso una maturità fotografica piena di certezze e, spero, di altrettanti ripensamenti.
Reggio Emilia, primi giorni d’autunno 2003
Vasco Ascolini
28
novembre 2009
Francesca Bertolini – …sotto il prossimo
Dal 28 novembre al 13 dicembre 2009
fotografia
Location
SALA DELLA PARTECIPANZA
Pieve Di Cento, Via Giuseppe Garibaldi, 25, (Bologna)
Pieve Di Cento, Via Giuseppe Garibaldi, 25, (Bologna)
Sito web
www.francescabertolini.it
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