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Genua abundat pecuniis. Finanza, commerci e lusso a Genova tra XVII e XVIII secolo
Gli affascinanti spazi del salone delle Compere di Palazzo San Giorgio – e in questo caso la sede è essa stessa “oggetto” quanto mai appropriato della mostra – fanno rivivere al visitatore i fasti genovesi del XVII e XVIII secolo attraverso un’accurata scelta di documenti, monete, dipinti, sculture, arredi e tessuti dell’epoca per ripercorrere un percorso tra finanza, commerci e arte
Comunicato stampa
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INTRODUZIONE
Il danaro e la ricchezza, nei secoli, sono stati oggetto del pensiero e di tentativi di definizione da parte di molti personaggi, non necessariamente economisti: qualcuno ha pensato alle necessità di danaro in senso ironico, come George Bernard Shaw (“Il danaro non è nulla; però molto danaro è un’altra cosa”); altri, cercando di sdrammatizzarne l’importanza, ne hanno comunque messo in rilievo la necessità, come Groucho Marx (“Vi sono molte cose nella vita più importanti del danaro. Ma esse costano molto…”), altri ancora, già nei tempi più antichi, come Aristotele, si sono premurati di impartire ai giovani utili insegnamenti morali sull’argomento (“La ricchezza non consiste nell’avere molte disponibilità, ma nell’avere bisogni limitati”), per terminare con l’ammonimento latino “Pecunia, si uti scis, ancilla est; si nescis, domina”.
In una città come Genova, che tradizionalmente ha sempre rifuggito dall’ostentazione ed ha sempre velato le sue ricchezze, sembrerebbe quasi contraddittorio proporre una mostra sul danaro e i suoi impieghi, ma, come scrive il giurista Sigismondo Scaccia nella sua opera De commercio et cambio del 1642, “Genua abundat pecuniis”: il riferimento non è frutto di una osservazione contingente, ma di una attenta analisi della storia dei Genovesi, dei loro investimenti e delle loro attività economiche e finanziarie.
Per questo, spostando l’angolo di osservazione dal rigido costume sociale, quasi proverbiale, all’esame diretto delle fonti storiche, si può rilevare che in pochi altri contesti è possibile rinvenire, come a Genova, una documentazione abbondante e diversificata sul “danaro” e la sua utilizzazione. Le implicazioni di questa tematica spaziano, infatti, dal privato al pubblico, toccando aspetti morali, sociali, politici, giuridici, letterari ed artistici, dando per scontate le primarie funzioni economiche dell’attività finanziaria in senso lato.
Come queste idee si siano trasfuse nei “documenti”, con una accezione vasta del termine, è il filo rosso che lega le varie articolazioni di un itinerario che, cronologicamente, privilegia in questa sede i secoli XVII e XVIII. L’economia genovese attraversa in questo periodo una fase di grande espansione, non più tanto nei tradizionali commerci internazionali quanto nei mercati finanziari di tutta Europa: prima grazie agli stretti legami con la Corona di Spagna; successivamente, con la grande espansione dei “prestiti fruttiferi all’uso di Genova”, concessi a privati e a sovrani, dalla Francia alla Russia, dall’Ungheria alla Svezia ed alla Norvegia. Le vaste ricchezze accumulate vengono non solo utilmente impiegate in investimenti produttivi, ma alimentano anche il vasto mercato artistico e dei beni di lusso, oltre ad aiutare l’espansione urbanistica della città e ad essere parzialmente incanalate nei mille rivoli che alimentano la tradizionale e articolata beneficenza genovese.
In questo stesso periodo l’ampliamento dell’apparato burocratico dello Stato fa crescere i servizi resi dall’istituzione pubblica. La necessità di nuove e maggiori entrate produce una netta evoluzione dell’amministrazione fiscale, che tende ad una organizzazione più centralizzata: alle tradizionali imposte indirette, riscosse a Genova ormai esclusivamente dalla Casa di San Giorgio, fa riscontro un progressivo autonomizzarsi del sistema d’imposizione diretta e una importante evoluzione catastale per una più precisa tassazione della rendita fondiaria.
Il panorama complessivo è quindi quello di una economia dinamica, capace di adeguarsi alla molteplicità degli stimoli e delle occasioni, sempre proiettata, all’interno di proprie sfaccettature, verso il mercato internazionale e l’Europa. La grande capacità dei Genovesi di mobilitare risorse provenienti sia dal settore pubblico che da quello privato, dando prova di fantasia, di inventiva e di originalità è indubbiamente alla base del loro successo e della fama della città come piazza finanziaria più importante della penisola: non a caso il Cardinal De Luca (autore del Theatrum Iustitiae et Veritatis), nel 1669 sottolineava come “Januenses presumuntur… non soliti tenere pecunias otiosas”.
LA MOSTRA
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Liguria organizza, con il supporto tecnico-logistico della San Giorgio Editrice srl, la mostra “Genua abundat pecuniis” che si svolgerà dal 13 ottobre al 13 novembre 2005 presso Palazzo San Giorgio di Genova.
Gli affascinanti spazi del salone delle Compere di Palazzo San Giorgio – e in questo caso la sede è essa stessa “oggetto” quanto mai appropriato della mostra – fanno rivivere al visitatore i fasti genovesi del XVII e XVIII secolo attraverso un’accurata scelta di documenti, monete, dipinti, sculture, arredi e tessuti dell’epoca per ripercorrere un percorso tra finanza, commerci e arte.
Questa mostra è il frutto di una ricerca interdisciplinare volta ad esplorare i rapporti fra la produzione e gli usi della ricchezza a Genova dal Seicento al Settecento. Lo studio, basato soprattutto sulla documentazione archivistica dell'Archivio di Stato, dell'Archivio Storico del Comune di Genova e dell'Archivio Doria depositato presso la Facoltà di Economia e Commercio, ha approfondito la storia dell'attività bancaria, della monetazione, del Banco di San Giorgio, dell'amministrazione fiscale, del debito pubblico e della politica economica dell'antica Repubblica.
L'aristocrazia di governo e di affari che, con un attento equilibrio e un costante controllo reciproco fra clan familiari, alternava i propri membri alla guida dello Stato, impiegò sempre questa ricchezza sia per la salvezza dell'anima, con grandi opere a beneficio degli indigenti come l'Ospedale di Pammatone, l'Albergo dei Poveri ed il seppellimento dei defunti delle Compagnie della Morte e di Misericordia, sia in investimenti di prestigio: gli splendidi palazzi, le collezioni di dipinti e sculture, i tessuti preziosi, i gioielli, i marmi pregiati che decoravano le cappelle di famiglia nelle chiese cittadine.
Questo uso di rappresentanza del lusso era condiviso anche dalle associazioni dei lavoratori, quelle confraternite laicali che riunivano tutti i gruppi sociali subalterni, dai piccoli imprenditori ai camalli, e che negli argenti, nei tessuti ricamati e nelle sculture policrome scintillanti di dorature portate in processione, esibivano la loro devozione e il loro prestigio.
Accanto ai documenti, dunque, in mostra sono esposti dipinti, disegni, stampe, sculture, argenti e tessuti prestati da musei genovesi e da collezioni private: una ricca documentazione figurativa che col fascino del colore, dei materiali preziosi e della qualità artistica traduce visivamente in straordinarie immagini le esigenze di autorappresentazione degli aristocratici oligarchi e le necessità di aiuto mutualistico dei mestieri più umili.
Importanti dipinti di Gioacchino Assereto, Giovan Battista e Giovanni Andrea Carlone, Mulinaretto, sculture di Pierre Puget e Anton Maria Maragliano – per fare solo qualche esempio – raffinati argenti processionali e tessuti ricamati, acquistano così, in questo contesto storico, nuovi significati: uno splendore artistico non certo fine a se stesso, stimolato e voluto – in assenza di una corte regale che avrebbe condizionato pesantemente l'attività degli artefici – da una molteplice e varia committenza che comprendeva tutti gli strati sociali e che dava ampio spazio a tutte le espressioni figurative.
Il danaro e la ricchezza, nei secoli, sono stati oggetto del pensiero e di tentativi di definizione da parte di molti personaggi, non necessariamente economisti: qualcuno ha pensato alle necessità di danaro in senso ironico, come George Bernard Shaw (“Il danaro non è nulla; però molto danaro è un’altra cosa”); altri, cercando di sdrammatizzarne l’importanza, ne hanno comunque messo in rilievo la necessità, come Groucho Marx (“Vi sono molte cose nella vita più importanti del danaro. Ma esse costano molto…”), altri ancora, già nei tempi più antichi, come Aristotele, si sono premurati di impartire ai giovani utili insegnamenti morali sull’argomento (“La ricchezza non consiste nell’avere molte disponibilità, ma nell’avere bisogni limitati”), per terminare con l’ammonimento latino “Pecunia, si uti scis, ancilla est; si nescis, domina”.
In una città come Genova, che tradizionalmente ha sempre rifuggito dall’ostentazione ed ha sempre velato le sue ricchezze, sembrerebbe quasi contraddittorio proporre una mostra sul danaro e i suoi impieghi, ma, come scrive il giurista Sigismondo Scaccia nella sua opera De commercio et cambio del 1642, “Genua abundat pecuniis”: il riferimento non è frutto di una osservazione contingente, ma di una attenta analisi della storia dei Genovesi, dei loro investimenti e delle loro attività economiche e finanziarie.
Per questo, spostando l’angolo di osservazione dal rigido costume sociale, quasi proverbiale, all’esame diretto delle fonti storiche, si può rilevare che in pochi altri contesti è possibile rinvenire, come a Genova, una documentazione abbondante e diversificata sul “danaro” e la sua utilizzazione. Le implicazioni di questa tematica spaziano, infatti, dal privato al pubblico, toccando aspetti morali, sociali, politici, giuridici, letterari ed artistici, dando per scontate le primarie funzioni economiche dell’attività finanziaria in senso lato.
Come queste idee si siano trasfuse nei “documenti”, con una accezione vasta del termine, è il filo rosso che lega le varie articolazioni di un itinerario che, cronologicamente, privilegia in questa sede i secoli XVII e XVIII. L’economia genovese attraversa in questo periodo una fase di grande espansione, non più tanto nei tradizionali commerci internazionali quanto nei mercati finanziari di tutta Europa: prima grazie agli stretti legami con la Corona di Spagna; successivamente, con la grande espansione dei “prestiti fruttiferi all’uso di Genova”, concessi a privati e a sovrani, dalla Francia alla Russia, dall’Ungheria alla Svezia ed alla Norvegia. Le vaste ricchezze accumulate vengono non solo utilmente impiegate in investimenti produttivi, ma alimentano anche il vasto mercato artistico e dei beni di lusso, oltre ad aiutare l’espansione urbanistica della città e ad essere parzialmente incanalate nei mille rivoli che alimentano la tradizionale e articolata beneficenza genovese.
In questo stesso periodo l’ampliamento dell’apparato burocratico dello Stato fa crescere i servizi resi dall’istituzione pubblica. La necessità di nuove e maggiori entrate produce una netta evoluzione dell’amministrazione fiscale, che tende ad una organizzazione più centralizzata: alle tradizionali imposte indirette, riscosse a Genova ormai esclusivamente dalla Casa di San Giorgio, fa riscontro un progressivo autonomizzarsi del sistema d’imposizione diretta e una importante evoluzione catastale per una più precisa tassazione della rendita fondiaria.
Il panorama complessivo è quindi quello di una economia dinamica, capace di adeguarsi alla molteplicità degli stimoli e delle occasioni, sempre proiettata, all’interno di proprie sfaccettature, verso il mercato internazionale e l’Europa. La grande capacità dei Genovesi di mobilitare risorse provenienti sia dal settore pubblico che da quello privato, dando prova di fantasia, di inventiva e di originalità è indubbiamente alla base del loro successo e della fama della città come piazza finanziaria più importante della penisola: non a caso il Cardinal De Luca (autore del Theatrum Iustitiae et Veritatis), nel 1669 sottolineava come “Januenses presumuntur… non soliti tenere pecunias otiosas”.
LA MOSTRA
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Liguria organizza, con il supporto tecnico-logistico della San Giorgio Editrice srl, la mostra “Genua abundat pecuniis” che si svolgerà dal 13 ottobre al 13 novembre 2005 presso Palazzo San Giorgio di Genova.
Gli affascinanti spazi del salone delle Compere di Palazzo San Giorgio – e in questo caso la sede è essa stessa “oggetto” quanto mai appropriato della mostra – fanno rivivere al visitatore i fasti genovesi del XVII e XVIII secolo attraverso un’accurata scelta di documenti, monete, dipinti, sculture, arredi e tessuti dell’epoca per ripercorrere un percorso tra finanza, commerci e arte.
Questa mostra è il frutto di una ricerca interdisciplinare volta ad esplorare i rapporti fra la produzione e gli usi della ricchezza a Genova dal Seicento al Settecento. Lo studio, basato soprattutto sulla documentazione archivistica dell'Archivio di Stato, dell'Archivio Storico del Comune di Genova e dell'Archivio Doria depositato presso la Facoltà di Economia e Commercio, ha approfondito la storia dell'attività bancaria, della monetazione, del Banco di San Giorgio, dell'amministrazione fiscale, del debito pubblico e della politica economica dell'antica Repubblica.
L'aristocrazia di governo e di affari che, con un attento equilibrio e un costante controllo reciproco fra clan familiari, alternava i propri membri alla guida dello Stato, impiegò sempre questa ricchezza sia per la salvezza dell'anima, con grandi opere a beneficio degli indigenti come l'Ospedale di Pammatone, l'Albergo dei Poveri ed il seppellimento dei defunti delle Compagnie della Morte e di Misericordia, sia in investimenti di prestigio: gli splendidi palazzi, le collezioni di dipinti e sculture, i tessuti preziosi, i gioielli, i marmi pregiati che decoravano le cappelle di famiglia nelle chiese cittadine.
Questo uso di rappresentanza del lusso era condiviso anche dalle associazioni dei lavoratori, quelle confraternite laicali che riunivano tutti i gruppi sociali subalterni, dai piccoli imprenditori ai camalli, e che negli argenti, nei tessuti ricamati e nelle sculture policrome scintillanti di dorature portate in processione, esibivano la loro devozione e il loro prestigio.
Accanto ai documenti, dunque, in mostra sono esposti dipinti, disegni, stampe, sculture, argenti e tessuti prestati da musei genovesi e da collezioni private: una ricca documentazione figurativa che col fascino del colore, dei materiali preziosi e della qualità artistica traduce visivamente in straordinarie immagini le esigenze di autorappresentazione degli aristocratici oligarchi e le necessità di aiuto mutualistico dei mestieri più umili.
Importanti dipinti di Gioacchino Assereto, Giovan Battista e Giovanni Andrea Carlone, Mulinaretto, sculture di Pierre Puget e Anton Maria Maragliano – per fare solo qualche esempio – raffinati argenti processionali e tessuti ricamati, acquistano così, in questo contesto storico, nuovi significati: uno splendore artistico non certo fine a se stesso, stimolato e voluto – in assenza di una corte regale che avrebbe condizionato pesantemente l'attività degli artefici – da una molteplice e varia committenza che comprendeva tutti gli strati sociali e che dava ampio spazio a tutte le espressioni figurative.
13
ottobre 2005
Genua abundat pecuniis. Finanza, commerci e lusso a Genova tra XVII e XVIII secolo
Dal 13 ottobre al 13 novembre 2005
arte antica
Location
PALAZZO SAN GIORGIO
Genova, Via Della Mercanzia, 2, (Genova)
Genova, Via Della Mercanzia, 2, (Genova)
Orario di apertura
dal 14 al 16 ottobre: 10-20; dal 17 ottobre al 13 novembre: 9.30-18.30
Editore
SAN GIORGIO