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Gigi Piana / Luciano Pivotto
Mostra doppia personale
Comunicato stampa
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Le parole di Gigi e Luciano
Rifletto spesso sul peso delle parole, sul lor essere organismi vivi composti di un corpo e una mente, sulla forza e la pericolosità insite nella loro identità. Non credo che scripta manent e verba volant.
Le parole sono macigni, che puoi disperdere, dimenticare ma mai cancellare. Lasciano tracce, echi, cadono nel vuoto e possono uccidere.
Rifletto su di loro perché mi guardo attorno e provo a capire cosa stia accadendo nella nostra società: un abuso continuo, generalizzato ad ogni livello e situazione, che riguarda l’uso della parola. Me lo ha fatto capire meglio lo scrittore John Berger, durante un incontro al Teatro Carignano di Torino qualche mese fa. Diceva che nel mondo contemporaneo i media e i modelli sociali stanno lentamente privando la gente del linguaggio. La lingua viene trattata in modo improprio, le parole sono defraudate del loro reale significato per essere usate con un altro leggermente diverso, che poi, via via, si allontana sempre più dal valore semantico iniziale. Così si perde la lingua comune, la possibilità di dialogare, capire realmente, confrontarsi, lottare. Di ricordare e tramandare. Diventa una comunicazione falsa, apparente, tra persone che non hanno più una lingua comune e perdono il loro passato, il presente e la possibilità del futuro. Le parole sono abusate e ridotte al silenzio, e così il pensiero, la libertà. La ricchezza di una lingua e di una cultura sono sostituite da un vocabolario primitivo e ridotto, soprattutto indotto, infarcito di luoghi comuni e modi di dire, in cui la brillantezza della parola e della costruzione di pensiero evaporano. Si instaura un regime di mediocrità lobotomizzante, che attraverso la negazione dell’espressione verbale come pratica di elevazione razionale e spirituale, riduce al silenzio le persone.
Gigi Piana e Luciano Pivotto piacerebbero a John Berger, per il lavoro di visualizzazione che fanno sulla condizione delle parole e del linguaggio oggi.
Gigi Piana ruota attorno al concetto di word, che significa “parola” in inglese, cioè la lingua adottata dalla società globalizzata, un pastiche spurio che serve per una comunicazione basica, grezza e veloce tra gente di lingue diverse.
Word è quindi parola comune nella società orizzontale ridotta virtualmente a un villaggio, ma è anche “il verbo”, di cui sono fatte le cose, che per esistere devono essere prima di tutto pronunciate.
Piana fa decantare la lingua, ne isola le parole brutte, morte, abusate, ingannatrici e ce le presenta nere. Le altre, quelle che invece rimangono pure, incarnano ancora significati e possono creare un pensiero vivo, per Gigi sono colorate, e volano verso l’alto come aspirazione esistenziale. Lui ce le pone davanti, in realtà chiedendoci di scegliere, di schierarci dalla parte delle parole nere o di quelle colorate. È una scelta etica prima ancora che linguistica.
Luciano Pivotto lavora prima sull’alfabeto delle immagini, invece, prendendo fotografie dalle riviste, utilizzando quelle che offrono i classici clichè su famiglia, coppia, infanzia. La retorica buonista e pornografica a servizio del consumismo. Quelle tematiche, anch’esse abusate dalla nostra contemporaneità attraverso iconografie retoriche, Pivotto le smaschere trasformandole in ammassi materici di pittura monocroma. Sagome private della vita e delle facce. Sono una forma di non-vita, e Pivotto lo dichiara con sottile pensiero, utilizzando in seconda battuta proprio la parola : scrive intorno alla sagoma delle figure, ne delinea il perimentro con pensieri critici e destabilizzanti, che vanno a infrangere e negare lo stereotipo. Attraverso la lettura crea una pausa tra la percezione automatica dell’icona e il suo reale significato. Sono piccoli spiazzamenti che agiscono come lama chirurgica, ritagliando via dal sistema proprio ciò che quest’ultimo aveva rubato e rimaneggiato.
Mi piacciono le guerriglie concettuali di Gigi e Luciano, le loro armi fatte di parole e pensieri, e vorrei che diventassero un metodo di sabotaggio collettivo.
Orsù, parliamo bene e mettete giù le mani dalle nostre parole, da noi.
olga gambari
+++
gigi piana
Nato a Biella nel 1967. Si esprime con immagini, video, installazioni, performances. Aperto alle contaminazioni di persone e generi, fonda con Laura Testa i “Genimpuri”con cui dal '99 condivide le esperienze artistiche. Dal 2000 lavora stabilmente con il gruppo teatrale torinese Stalker Teatro con cui esegue eventi in Italia ed all'estero.
“Punti focali della sua esperienza sono l'interazione con il pubblico, l'arte come veicolo delle emozioni e come poetico mezzo di comunicazione, senza dimenticare l'impegno sociale” (Olga Gambari).
Ha esposto in Italia e all'estero, curato da Antonio Arevalo, Guido Bartorelli, Jean Blanchaert, Philippe Daverio, Olga Gambari, Teresa Iannotta, Marina Moiana, Rosanna Musumeci, Stefania Schiavon.
luciano pivotto
Nasce a Trivero (BI) nel 1951.Vive e lavora a Biella. Dal 1980 ha esposto i propri lavori in diverse mostre personali e collettive sia in Italia che all'estero.
Nelle sue opere racconta le storie dedicate al quotidiano, con particolare attenzione ai media. “Lavora sovrapponendo al “medium” un “messaggio” non suo, sostituendo un codice di comunicazione con un altro, sovvertendo il consueto rapporto tra significante e significato. Il “medium” è spesso un codice linguistico figurato, che ha come singoli idiomi le bandiere navali, o i gesti con cui comunicano i sordomuti. Talvolta il “mezzo di trasmissione” del messaggio è la semplice, consueta scrittura: o, meglio, dei frammenti di scrittura. Le immagini della pubblicità più patinate subiscono un’anomala e letterale trascrizione sotto forma di aforismi, di frammenti poetici, di massime filosofiche, di semplici notizie tratte dalla cronaca. Lo scopo è quello di creare una sorta di “vanitas” più postcontemporanea che postmoderna, attraverso cui spogliare l’immagine dalla sua sontuosità e sabotarne la dinamica comunicativa” (Roberto Borghi).
+++
Rifletto spesso sul peso delle parole, sul lor essere organismi vivi composti di un corpo e una mente, sulla forza e la pericolosità insite nella loro identità. Non credo che scripta manent e verba volant.
Le parole sono macigni, che puoi disperdere, dimenticare ma mai cancellare. Lasciano tracce, echi, cadono nel vuoto e possono uccidere.
Rifletto su di loro perché mi guardo attorno e provo a capire cosa stia accadendo nella nostra società: un abuso continuo, generalizzato ad ogni livello e situazione, che riguarda l’uso della parola. Me lo ha fatto capire meglio lo scrittore John Berger, durante un incontro al Teatro Carignano di Torino qualche mese fa. Diceva che nel mondo contemporaneo i media e i modelli sociali stanno lentamente privando la gente del linguaggio. La lingua viene trattata in modo improprio, le parole sono defraudate del loro reale significato per essere usate con un altro leggermente diverso, che poi, via via, si allontana sempre più dal valore semantico iniziale. Così si perde la lingua comune, la possibilità di dialogare, capire realmente, confrontarsi, lottare. Di ricordare e tramandare. Diventa una comunicazione falsa, apparente, tra persone che non hanno più una lingua comune e perdono il loro passato, il presente e la possibilità del futuro. Le parole sono abusate e ridotte al silenzio, e così il pensiero, la libertà. La ricchezza di una lingua e di una cultura sono sostituite da un vocabolario primitivo e ridotto, soprattutto indotto, infarcito di luoghi comuni e modi di dire, in cui la brillantezza della parola e della costruzione di pensiero evaporano. Si instaura un regime di mediocrità lobotomizzante, che attraverso la negazione dell’espressione verbale come pratica di elevazione razionale e spirituale, riduce al silenzio le persone.
Gigi Piana e Luciano Pivotto piacerebbero a John Berger, per il lavoro di visualizzazione che fanno sulla condizione delle parole e del linguaggio oggi.
Gigi Piana ruota attorno al concetto di word, che significa “parola” in inglese, cioè la lingua adottata dalla società globalizzata, un pastiche spurio che serve per una comunicazione basica, grezza e veloce tra gente di lingue diverse.
Word è quindi parola comune nella società orizzontale ridotta virtualmente a un villaggio, ma è anche “il verbo”, di cui sono fatte le cose, che per esistere devono essere prima di tutto pronunciate.
Piana fa decantare la lingua, ne isola le parole brutte, morte, abusate, ingannatrici e ce le presenta nere. Le altre, quelle che invece rimangono pure, incarnano ancora significati e possono creare un pensiero vivo, per Gigi sono colorate, e volano verso l’alto come aspirazione esistenziale. Lui ce le pone davanti, in realtà chiedendoci di scegliere, di schierarci dalla parte delle parole nere o di quelle colorate. È una scelta etica prima ancora che linguistica.
Luciano Pivotto lavora prima sull’alfabeto delle immagini, invece, prendendo fotografie dalle riviste, utilizzando quelle che offrono i classici clichè su famiglia, coppia, infanzia. La retorica buonista e pornografica a servizio del consumismo. Quelle tematiche, anch’esse abusate dalla nostra contemporaneità attraverso iconografie retoriche, Pivotto le smaschere trasformandole in ammassi materici di pittura monocroma. Sagome private della vita e delle facce. Sono una forma di non-vita, e Pivotto lo dichiara con sottile pensiero, utilizzando in seconda battuta proprio la parola : scrive intorno alla sagoma delle figure, ne delinea il perimentro con pensieri critici e destabilizzanti, che vanno a infrangere e negare lo stereotipo. Attraverso la lettura crea una pausa tra la percezione automatica dell’icona e il suo reale significato. Sono piccoli spiazzamenti che agiscono come lama chirurgica, ritagliando via dal sistema proprio ciò che quest’ultimo aveva rubato e rimaneggiato.
Mi piacciono le guerriglie concettuali di Gigi e Luciano, le loro armi fatte di parole e pensieri, e vorrei che diventassero un metodo di sabotaggio collettivo.
Orsù, parliamo bene e mettete giù le mani dalle nostre parole, da noi.
olga gambari
+++
gigi piana
Nato a Biella nel 1967. Si esprime con immagini, video, installazioni, performances. Aperto alle contaminazioni di persone e generi, fonda con Laura Testa i “Genimpuri”con cui dal '99 condivide le esperienze artistiche. Dal 2000 lavora stabilmente con il gruppo teatrale torinese Stalker Teatro con cui esegue eventi in Italia ed all'estero.
“Punti focali della sua esperienza sono l'interazione con il pubblico, l'arte come veicolo delle emozioni e come poetico mezzo di comunicazione, senza dimenticare l'impegno sociale” (Olga Gambari).
Ha esposto in Italia e all'estero, curato da Antonio Arevalo, Guido Bartorelli, Jean Blanchaert, Philippe Daverio, Olga Gambari, Teresa Iannotta, Marina Moiana, Rosanna Musumeci, Stefania Schiavon.
luciano pivotto
Nasce a Trivero (BI) nel 1951.Vive e lavora a Biella. Dal 1980 ha esposto i propri lavori in diverse mostre personali e collettive sia in Italia che all'estero.
Nelle sue opere racconta le storie dedicate al quotidiano, con particolare attenzione ai media. “Lavora sovrapponendo al “medium” un “messaggio” non suo, sostituendo un codice di comunicazione con un altro, sovvertendo il consueto rapporto tra significante e significato. Il “medium” è spesso un codice linguistico figurato, che ha come singoli idiomi le bandiere navali, o i gesti con cui comunicano i sordomuti. Talvolta il “mezzo di trasmissione” del messaggio è la semplice, consueta scrittura: o, meglio, dei frammenti di scrittura. Le immagini della pubblicità più patinate subiscono un’anomala e letterale trascrizione sotto forma di aforismi, di frammenti poetici, di massime filosofiche, di semplici notizie tratte dalla cronaca. Lo scopo è quello di creare una sorta di “vanitas” più postcontemporanea che postmoderna, attraverso cui spogliare l’immagine dalla sua sontuosità e sabotarne la dinamica comunicativa” (Roberto Borghi).
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26
febbraio 2010
Gigi Piana / Luciano Pivotto
Dal 26 febbraio al 26 marzo 2010
arte contemporanea
Location
OFFICINE CAOS
Torino, Piazza Eugenio Montale, 18a, (Torino)
Torino, Piazza Eugenio Montale, 18a, (Torino)
Vernissage
26 Febbraio 2010, ore 19
Autore
Curatore