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Gilberto Urbinati – 47900 Rimini
Mostra fotografica di Gilberto Urbinati, fotografo riminese e guida al Museo della Città, che ripercorre tre anni di scatti urbani segnati da un continuo divenire di poesia, luce e stupore.
Comunicato stampa
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Una ricerca estetica che parte dal ribaltamento di un’immagine archetipica della Rimini tondelliana fagocitata dal turismo: la cartolina. Lo sguardo attento di chi vuole sdoganare la sua identità dall’idea di bikini succinti, calippo e salvagenti. L’occhio trasversale del fotografo e, insieme, di chi letteralmente vive della storia della propria città per trasmetterla, per ridarle vita.
Questi gli input di 47900 Rimini, la mostra fotografica di Gilberto Urbinati, fotografo riminese e guida al Museo della Città, che ripercorre tre anni di scatti urbani segnati da un continuo divenire di poesia, luce e stupore.
“Un impatto emotivo, senza mediazioni cerebrali”: questo è il modo di vedere la fotografia di Urbinati. Una calamitante attrattiva e un’inaspettata epifania di nuove prospettive e di sensi destati: questa è la reazione di fronte alle sue opere.
Scorci urbani ripresi da prospettive inconsuete, figure geometriche che riecheggiano l’astrattismo. A ingannare l’occhio sono sguardi d’avanguardia su dettagli vergini, intoccati, di luoghi e monumenti abusati proprio dalla stessa vista.
Il campo si stringe, l’inquadratura si avvicina e trasforma in particolari inediti, in nuova immagine luoghi palesemente noti. E così una squadratura minimale e vorticosa di linee geometriche si svela all’osservatore attento la rampa di scale del teatro Novelli, calpestata ogni sera da centinaia di persone ma mai osservata da tale prospettiva (foto 1).
È questo dinamismo, questo rinnovato spalancare di palpebre che sigilla il percorso di Urbinati e ne fa un artista: il trapasso da immagini esteticamente ineccepibili, ma ancora aggrappate allo stereotipo “cartolina”, in scorci suggestivi, in particolari che diventano opere autonome, che citano luoghi e monumenti ma senza l’esigenza di manifestarli.
Tutto viene scomposto e riassemblato secondo una nuova prospettiva, a rendere giustizia a quell’alito misterioso che ogni oggetto possiede e che la nostra indifferenza mortifica.
Tutto viene rianimato. L’essenza calpesta, finalmente, l’apparenza.
È per questo che le immagini di Urbinati dialogano con la pittura.
La ricerca sulla luce, che anima i soggetti, e sui colori, pieni e sapientemente combinati, le trasformano in silenziose ed insieme evocative tele.
Come le suore riflesse sui lucidi bronzi del sepolcro felliniano, trèmule e solari, che ricalcano le linee distorte dell’espressionismo (foto 2) o le ombre che si allungano sulla spiaggia degli spettatori alla gara delle biglie, nere e silenti in antitesi col caldo bagliore della sabbia (foto 3). O, ancora, il gioco prospettico di un dettaglio rubato a uno specchio in un affollato venerdì sera in piazza Cavour: il mercatino dell’antiquariato scompare in funzione di un inconsapevole profilo femminile (foto 4).
E infine, quasi a omaggiare Picasso, il blu segna la fase più recente dell’evoluzione di Urbinati. Evoluzione contraddistinta dalla presa di distanza sempre più decisa dalla cartolina, dall’immagine nitida della città ispiratrice: gli scorci urbani, le sintesi architettoniche, le luci, le geometrie potrebbero essere quelle di qualsiasi metropoli.
La fisionomia dell'I-suite visto al buio da dietro gli alberi viene completamente trasformata dalla notte e dal filtro delle sagome di alberi e foglie; il colore blu delle luci scioglie e scompone la figura rendendola quasi surreale (foto 5).
Sulle torri che contornano uno dei nuovi simboli di Rimini, la Nuova Fiera, a unirsi sono ancora il nero della notte e il blu. La massa dell'edificio della Fiera sparisce e rimane solo l'eleganza del gioco delle diagonali ottenute con un grandangolo (foto 6).
Questi gli input di 47900 Rimini, la mostra fotografica di Gilberto Urbinati, fotografo riminese e guida al Museo della Città, che ripercorre tre anni di scatti urbani segnati da un continuo divenire di poesia, luce e stupore.
“Un impatto emotivo, senza mediazioni cerebrali”: questo è il modo di vedere la fotografia di Urbinati. Una calamitante attrattiva e un’inaspettata epifania di nuove prospettive e di sensi destati: questa è la reazione di fronte alle sue opere.
Scorci urbani ripresi da prospettive inconsuete, figure geometriche che riecheggiano l’astrattismo. A ingannare l’occhio sono sguardi d’avanguardia su dettagli vergini, intoccati, di luoghi e monumenti abusati proprio dalla stessa vista.
Il campo si stringe, l’inquadratura si avvicina e trasforma in particolari inediti, in nuova immagine luoghi palesemente noti. E così una squadratura minimale e vorticosa di linee geometriche si svela all’osservatore attento la rampa di scale del teatro Novelli, calpestata ogni sera da centinaia di persone ma mai osservata da tale prospettiva (foto 1).
È questo dinamismo, questo rinnovato spalancare di palpebre che sigilla il percorso di Urbinati e ne fa un artista: il trapasso da immagini esteticamente ineccepibili, ma ancora aggrappate allo stereotipo “cartolina”, in scorci suggestivi, in particolari che diventano opere autonome, che citano luoghi e monumenti ma senza l’esigenza di manifestarli.
Tutto viene scomposto e riassemblato secondo una nuova prospettiva, a rendere giustizia a quell’alito misterioso che ogni oggetto possiede e che la nostra indifferenza mortifica.
Tutto viene rianimato. L’essenza calpesta, finalmente, l’apparenza.
È per questo che le immagini di Urbinati dialogano con la pittura.
La ricerca sulla luce, che anima i soggetti, e sui colori, pieni e sapientemente combinati, le trasformano in silenziose ed insieme evocative tele.
Come le suore riflesse sui lucidi bronzi del sepolcro felliniano, trèmule e solari, che ricalcano le linee distorte dell’espressionismo (foto 2) o le ombre che si allungano sulla spiaggia degli spettatori alla gara delle biglie, nere e silenti in antitesi col caldo bagliore della sabbia (foto 3). O, ancora, il gioco prospettico di un dettaglio rubato a uno specchio in un affollato venerdì sera in piazza Cavour: il mercatino dell’antiquariato scompare in funzione di un inconsapevole profilo femminile (foto 4).
E infine, quasi a omaggiare Picasso, il blu segna la fase più recente dell’evoluzione di Urbinati. Evoluzione contraddistinta dalla presa di distanza sempre più decisa dalla cartolina, dall’immagine nitida della città ispiratrice: gli scorci urbani, le sintesi architettoniche, le luci, le geometrie potrebbero essere quelle di qualsiasi metropoli.
La fisionomia dell'I-suite visto al buio da dietro gli alberi viene completamente trasformata dalla notte e dal filtro delle sagome di alberi e foglie; il colore blu delle luci scioglie e scompone la figura rendendola quasi surreale (foto 5).
Sulle torri che contornano uno dei nuovi simboli di Rimini, la Nuova Fiera, a unirsi sono ancora il nero della notte e il blu. La massa dell'edificio della Fiera sparisce e rimane solo l'eleganza del gioco delle diagonali ottenute con un grandangolo (foto 6).
08
febbraio 2011
Gilberto Urbinati – 47900 Rimini
Dall'otto al 28 febbraio 2011
fotografia
Location
PROVINCIA DI RIMINI
Rimini, Via Dario Campana, 64, (Rimini)
Rimini, Via Dario Campana, 64, (Rimini)
Orario di apertura
Lunedi - giovedi 9/18 Venerdi 9/15
Sabato e domenica chiuso
Sito web
www.gilbertourbinati.com/provincia
Autore
Curatore