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Gino Balena – In viaggio
Il pittore cesenate, grande amante dell’Africa, torna, dopo varie incursioni, coi suoi ricordi e le sue opere
Comunicato stampa
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Tradizioni popolari magrebine per una grande festa.
Venerdì 7 novembre 2008 c/o FABBRICA di Angelo Grassi alle ore 20,30 il regista Cesare Ronconi mette in scena le opere di Gino Balena, pittore cesenate amante dell'Africa, che torna, dopo varie incursioni, coi suoi ricordi e le sue opere
Dopo un silenzio artistico protrattosi per 35 anni, Gino Balena riprende a dipingere con pitture dedicate al mondo inquietante e tragico dell’Africa magrebina e del centro Africa. Quel ricco e magico talento che aveva dato la fama al giovane Balena torna ora vivace e rinnovato nell’uomo maturo. Gino Balena s’è posto l’obiettivo del capolavoro e c’è riuscito con un’ardita e monumentale opera che si distende lungo 52 metri lineari, alta 2,20 per una superficie di 104 metri quadrati. Da un lato della tela, per 26 metri abbiamo in forma reinventata motivi geometrici presenti nell’architettura delle case del Burkina Faso, dipinti in collaborazione con tre bambini e una bambina di quel paese. Dall’altra parte, in sequenza, per i restanti 26 metri, la sua pittura ci mostra con inaudita partecipazione e sapienza tragica tutto il dolore e la sofferenza che pulsa dal cuore dell’Africa. Sono impauriti bambini guerriglieri, cui è stato dato un mitra per andare a morire, il dolore di una madre nei cui occhi ogni illusione è spenta, pure lei morta interiormente da lungo tempo, giochi di ragazzi che simulano la stessa crudeltà che alita intorno, bambini denutriti il cui sguardo ci condanna, bimbi piangenti in fuga, donne che partoriscono neonati già consegnati alla morte della fame e della guerra, animali e uomini in alchemico ed erotico contatto simbiotico, accomunati entrambi dal medesimo istinto di sopravvivenza, la protesi di un bimbo che ha perduto una gamba infilata in un paio di scarpe così di moda presso i nostri figli, una sedia a rotelle, un sudario dove è avvolto un cadavere, il corpo morto dell’Africa devastata dalle sue endemiche disgrazie.
Balena usa una ben strana materia pittorica, anch’essa distante dalle tecniche della pittura tradizionale: il raro uso dell’olio si mischia con i colori acrilici della pittura edilizia, il carbone con la seppia. I colori della tenebra producono un forte impatto visivo per la mobile tragicità del chiaroscuro sul quale intervengono colate di rosso spento e giallo smorto. L’essenza di questa moderna pittura rupestre è il dramma. Tuttavia, Gino Balena non s’è accontentato di donarci un capolavoro che richiama alla mente una Cappella Sistina africana. La sua lunga tela è avvolta in un cilindro dal diametro di 8 metri e in mezzo al cilindro Balena chiede che vi sia un solo spettatore, mentre il cilindro srotola le sue atroci storie di violenza quotidiana.
L’opera d’arte aspira alla rivelazione attraverso il rapporto solitario col suo unico spettatore, il quale, mentre guarda, diventa egli stesso parte integrante dell’azione, da quella è preso d’assalto e insieme assediato. E’ una pellicola di morte, un planetario senza stelle nel quale lo spettatore è tangibilmente penetrato dagli orrori e dalle maledizioni di un’Africa che non conosciamo, fuori dai viaggi consigliati dalle guide turistiche e dalle agenzie. La fusione fra opera e spettatore, il cilindro ruotante, la mente scenografica che governa l’azione conferisce all’opera di Balena un altro elemento: quello dello sperimentalismo scenico, della performance, del teatro della crudeltà, come avrebbe detto Artaud.
Gino Balena, che ha soggiornato parecchio tempo e più volte in Africa, s’è fatto quindi il paladino e il testimone di un mondo dove l’arcaicità malinconica della sopravvivenza e la civiltà aggressiva delle guerre etniche producono nei loro inermi abitanti stati d’animo accecati dalla cupa solarità della luce meridiana o dalla notturna atmosfera di un’esistenza nei cui sogni abitano ricorrenti incubi. Ben lontano da ogni forma di patetismo bozzettistica caro alla pittura orientalista di fine Ottocento, Balena documenta un mondo a noi vicino quando sbarca col suo sovente carico di morte sulle nostre spiagge, eppure a noi così distante per tradizione e cultura. Così, quasi volendo portarci al centro del dramma africano, Balena ferma per temi e immagini un’umanità a volte assorta, a volte atterrita, sempre dolente. Gli abitanti del deserto, i villaggi dalle polverose periferie, i bambini incastonati in una campagna arida e brutale, compongono per scene il romanzo dell’Africa, la sua scenografia cupamente drammatica, il suo sublime rovesciato; sia quando una gran tela raffiguri a forma di scacchiera lo stesso soggetto con colorazioni diverse. Nel volto duplicato del bambino africano traluce aspro l’inferno in cui è nato.
Piero Pieri, vincitore del premio nazionale 2008 Renato Serra per la saggistica
Venerdì 7 novembre 2008 c/o FABBRICA di Angelo Grassi alle ore 20,30 il regista Cesare Ronconi mette in scena le opere di Gino Balena, pittore cesenate amante dell'Africa, che torna, dopo varie incursioni, coi suoi ricordi e le sue opere
Dopo un silenzio artistico protrattosi per 35 anni, Gino Balena riprende a dipingere con pitture dedicate al mondo inquietante e tragico dell’Africa magrebina e del centro Africa. Quel ricco e magico talento che aveva dato la fama al giovane Balena torna ora vivace e rinnovato nell’uomo maturo. Gino Balena s’è posto l’obiettivo del capolavoro e c’è riuscito con un’ardita e monumentale opera che si distende lungo 52 metri lineari, alta 2,20 per una superficie di 104 metri quadrati. Da un lato della tela, per 26 metri abbiamo in forma reinventata motivi geometrici presenti nell’architettura delle case del Burkina Faso, dipinti in collaborazione con tre bambini e una bambina di quel paese. Dall’altra parte, in sequenza, per i restanti 26 metri, la sua pittura ci mostra con inaudita partecipazione e sapienza tragica tutto il dolore e la sofferenza che pulsa dal cuore dell’Africa. Sono impauriti bambini guerriglieri, cui è stato dato un mitra per andare a morire, il dolore di una madre nei cui occhi ogni illusione è spenta, pure lei morta interiormente da lungo tempo, giochi di ragazzi che simulano la stessa crudeltà che alita intorno, bambini denutriti il cui sguardo ci condanna, bimbi piangenti in fuga, donne che partoriscono neonati già consegnati alla morte della fame e della guerra, animali e uomini in alchemico ed erotico contatto simbiotico, accomunati entrambi dal medesimo istinto di sopravvivenza, la protesi di un bimbo che ha perduto una gamba infilata in un paio di scarpe così di moda presso i nostri figli, una sedia a rotelle, un sudario dove è avvolto un cadavere, il corpo morto dell’Africa devastata dalle sue endemiche disgrazie.
Balena usa una ben strana materia pittorica, anch’essa distante dalle tecniche della pittura tradizionale: il raro uso dell’olio si mischia con i colori acrilici della pittura edilizia, il carbone con la seppia. I colori della tenebra producono un forte impatto visivo per la mobile tragicità del chiaroscuro sul quale intervengono colate di rosso spento e giallo smorto. L’essenza di questa moderna pittura rupestre è il dramma. Tuttavia, Gino Balena non s’è accontentato di donarci un capolavoro che richiama alla mente una Cappella Sistina africana. La sua lunga tela è avvolta in un cilindro dal diametro di 8 metri e in mezzo al cilindro Balena chiede che vi sia un solo spettatore, mentre il cilindro srotola le sue atroci storie di violenza quotidiana.
L’opera d’arte aspira alla rivelazione attraverso il rapporto solitario col suo unico spettatore, il quale, mentre guarda, diventa egli stesso parte integrante dell’azione, da quella è preso d’assalto e insieme assediato. E’ una pellicola di morte, un planetario senza stelle nel quale lo spettatore è tangibilmente penetrato dagli orrori e dalle maledizioni di un’Africa che non conosciamo, fuori dai viaggi consigliati dalle guide turistiche e dalle agenzie. La fusione fra opera e spettatore, il cilindro ruotante, la mente scenografica che governa l’azione conferisce all’opera di Balena un altro elemento: quello dello sperimentalismo scenico, della performance, del teatro della crudeltà, come avrebbe detto Artaud.
Gino Balena, che ha soggiornato parecchio tempo e più volte in Africa, s’è fatto quindi il paladino e il testimone di un mondo dove l’arcaicità malinconica della sopravvivenza e la civiltà aggressiva delle guerre etniche producono nei loro inermi abitanti stati d’animo accecati dalla cupa solarità della luce meridiana o dalla notturna atmosfera di un’esistenza nei cui sogni abitano ricorrenti incubi. Ben lontano da ogni forma di patetismo bozzettistica caro alla pittura orientalista di fine Ottocento, Balena documenta un mondo a noi vicino quando sbarca col suo sovente carico di morte sulle nostre spiagge, eppure a noi così distante per tradizione e cultura. Così, quasi volendo portarci al centro del dramma africano, Balena ferma per temi e immagini un’umanità a volte assorta, a volte atterrita, sempre dolente. Gli abitanti del deserto, i villaggi dalle polverose periferie, i bambini incastonati in una campagna arida e brutale, compongono per scene il romanzo dell’Africa, la sua scenografia cupamente drammatica, il suo sublime rovesciato; sia quando una gran tela raffiguri a forma di scacchiera lo stesso soggetto con colorazioni diverse. Nel volto duplicato del bambino africano traluce aspro l’inferno in cui è nato.
Piero Pieri, vincitore del premio nazionale 2008 Renato Serra per la saggistica
07
novembre 2008
Gino Balena – In viaggio
Dal 07 al 23 novembre 2008
arte contemporanea
Location
FABBRICA
Gambettola, Viale Giosuè Carducci, 119, (Forlì-cesena)
Gambettola, Viale Giosuè Carducci, 119, (Forlì-cesena)
Orario di apertura
venerdì 16-19, sabato e domenica 15-19
Vernissage
7 Novembre 2008, ore 20.30 con messa in scena delle opere a cura del regista Cesare Ronconi
Autore