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Gitte Schäfer – Il segreto delle rane ramate
L’arte di Gitte non conosce gerarchie, tutto è azzerato e riorganizzato, mescolato per offrire nuovi viaggi possibili. Lo spazio, in questa personale, diventa infatti ambito di associazioni possibili che rivela immagini imprevedibili, piuttosto che riferirsi ad una visione concreta.
Comunicato stampa
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Venerdì 10 dicembre alle ore 19.00, presso la Galleria S.A.L.E.S., si inaugura la terza personale romana di Gitte Schäfer, nata a Stuttgart nel 1972 ma trasferita a Berlino dove attualmente vive e lavora.
L’artista, che per le sue opere usa la tecnica della “campionatura”, è stata molto spesso paragonata ad un DJ che “mixa” vari brani musicali conferendo loro un’armonia e un senso compiuto. Nonostante questo possa sembrare riduttivo, nessun’altra associazione descrive appieno il modo di lavorare di Gitte Schäfer. Tali “campioni” sono poi assemblati assieme ad altri objets-trouvée e questo suo stile, definibile come old-fashioned, trasmette confortanti sensazioni di familiarità. Inoltre, invece di re-inventare –o scoprire– le gioie della ri-appropriazione, Schäfer non pone storie preconfezionate a legare e incastrare immagini e oggetti nel modo più conveniente. Per metterla in altri termini: non è necessario che ci siano delle storie da raccontare per comprendere di cosa parlano le sue opere. Questo sembrerebbe non riguardare molto la sfera dell’estetica e dei manufatti, che invece hanno un ruolo piuttosto cruciale nelle opere di Gitte Schäfer: soggetti, tecniche, pezzi di mobili rimangono riconoscibili, o appaiono leggermente manipolati, in modo da emanare ancora il fascino del passato, di cose una volta esistite che ora tornano ad assumere una nuova veste.
Ad esempio, per questa mostra lo spazio funziona come un ambito di associazioni possibili che rivela immagini imprevedibili piuttosto che riferirsi ad una visione concreta.
La stessa artista scrive: sole, barca, oro, cappello, legna, granchio, indiano, ruota, rosa (il colore), smalto, tartaruga, fiamme, sasso/pietra, azzurro, patata, rame, luna, giapponese, velluto, verde, dardi/freccie, fortuna, granturco, nero, ottone, scimmia, papavero, giallo, cedro, cavallo, lino, vermiglio, cozze, africano, lillà, luccichio, cerchio, onde, albero, campana, rettangolo, luce, bandiera, arancio (il colore), carapace, marmo, guerriero, plastica, celeste, lenticchia, ferro di cavallo, gesso, corda/spago, uccello, diaspro, lancia, zero, drago, cannella, servo/valletto, piuma, pinguino, ananas, tendiscarpe/formascarpe, fagioli, triangolo, opaco/appassito… Queste parole che traducono il suo pensiero, non hanno fra loro alcun legame sintattico, non sono formulate in frasi o periodi, non hanno una logica consequenziale, ma sono liberamente associate in una lista. Il testo, anche se non è stato pensato seguendo un sistema grammaticale, possiede una forte capacità espressiva che assegna alle parole un’intensa efficacia di carattere visivo e un rapido riferimento alla varietà dei media adottati e delle tecniche e stili usati dall’artista.
L’arte di Gitte non conosce gerarchie, tutto è azzerato e riorganizzato, mescolato per offrire nuovi viaggi possibili il cui punto di partenza è già rintracciabile nel titolo stesso. A volte sono razionali e descrittivi. Più spesso hanno nomi di un’altra era a volte nomi fuori moda. Altri hanno nomi più esotici. Questi titoli arbitrari contribuiscono a dare una sensazione di remoto e di malinconia che spesso si trova nelle opere dell’artista.
Ma è una nostalgia futura per un viaggio non ancora fatto, un posto non ancora visitato. È il desiderio per qualcosa che sta per essere perduto …
L’artista, che per le sue opere usa la tecnica della “campionatura”, è stata molto spesso paragonata ad un DJ che “mixa” vari brani musicali conferendo loro un’armonia e un senso compiuto. Nonostante questo possa sembrare riduttivo, nessun’altra associazione descrive appieno il modo di lavorare di Gitte Schäfer. Tali “campioni” sono poi assemblati assieme ad altri objets-trouvée e questo suo stile, definibile come old-fashioned, trasmette confortanti sensazioni di familiarità. Inoltre, invece di re-inventare –o scoprire– le gioie della ri-appropriazione, Schäfer non pone storie preconfezionate a legare e incastrare immagini e oggetti nel modo più conveniente. Per metterla in altri termini: non è necessario che ci siano delle storie da raccontare per comprendere di cosa parlano le sue opere. Questo sembrerebbe non riguardare molto la sfera dell’estetica e dei manufatti, che invece hanno un ruolo piuttosto cruciale nelle opere di Gitte Schäfer: soggetti, tecniche, pezzi di mobili rimangono riconoscibili, o appaiono leggermente manipolati, in modo da emanare ancora il fascino del passato, di cose una volta esistite che ora tornano ad assumere una nuova veste.
Ad esempio, per questa mostra lo spazio funziona come un ambito di associazioni possibili che rivela immagini imprevedibili piuttosto che riferirsi ad una visione concreta.
La stessa artista scrive: sole, barca, oro, cappello, legna, granchio, indiano, ruota, rosa (il colore), smalto, tartaruga, fiamme, sasso/pietra, azzurro, patata, rame, luna, giapponese, velluto, verde, dardi/freccie, fortuna, granturco, nero, ottone, scimmia, papavero, giallo, cedro, cavallo, lino, vermiglio, cozze, africano, lillà, luccichio, cerchio, onde, albero, campana, rettangolo, luce, bandiera, arancio (il colore), carapace, marmo, guerriero, plastica, celeste, lenticchia, ferro di cavallo, gesso, corda/spago, uccello, diaspro, lancia, zero, drago, cannella, servo/valletto, piuma, pinguino, ananas, tendiscarpe/formascarpe, fagioli, triangolo, opaco/appassito… Queste parole che traducono il suo pensiero, non hanno fra loro alcun legame sintattico, non sono formulate in frasi o periodi, non hanno una logica consequenziale, ma sono liberamente associate in una lista. Il testo, anche se non è stato pensato seguendo un sistema grammaticale, possiede una forte capacità espressiva che assegna alle parole un’intensa efficacia di carattere visivo e un rapido riferimento alla varietà dei media adottati e delle tecniche e stili usati dall’artista.
L’arte di Gitte non conosce gerarchie, tutto è azzerato e riorganizzato, mescolato per offrire nuovi viaggi possibili il cui punto di partenza è già rintracciabile nel titolo stesso. A volte sono razionali e descrittivi. Più spesso hanno nomi di un’altra era a volte nomi fuori moda. Altri hanno nomi più esotici. Questi titoli arbitrari contribuiscono a dare una sensazione di remoto e di malinconia che spesso si trova nelle opere dell’artista.
Ma è una nostalgia futura per un viaggio non ancora fatto, un posto non ancora visitato. È il desiderio per qualcosa che sta per essere perduto …
10
dicembre 2010
Gitte Schäfer – Il segreto delle rane ramate
Dal 10 dicembre 2010 al 29 gennaio 2011
arte contemporanea
Location
STUDIO SALES DI NORBERTO RUGGERI
Roma, Piazza Dante, 2, (Roma)
Roma, Piazza Dante, 2, (Roma)
Orario di apertura
da martedi a sabato ore 15.30-19.30
Vernissage
10 Dicembre 2010, ore 19
Autore