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Giuseppe Ferretti – Forsennare il materico
A poco più di un anno dalla scomparsa, il Museo Lechi omaggia la figura di Giuseppe Ferretti con una mostra retrospettiva che ne ripercorre i quarant’anni di ininterrotta attività artistica.
Comunicato stampa
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Nato nel 1941 a Montichiari, Ferretti si forma all’arte negli anni Settanta, misurandosi tanto con la pittura che con la scultura. Il suo autodidattismo, accompagnato in seguito da un intenso dialogo con l’amico Guido Tedoldi, è nutrito da un indefesso studio delle grandi figure della storia dell’arte, da Masaccio fino alla propria contemporaneità. Alla fine del decennio, dopo una prima fase formativa, Ferretti rompe gli indugi e inizia ad esporre le proprie creazioni, imponendosi rapidamente in numerosi premi e concorsi nazionali.
Gli esordi sono marcati da un linguaggio che mescola Realismo, Post-Impressionismo ed Espressionismo in grado di tradurre la propria realtà attraverso una sensibilità immediatamente comprensibile. Nel 1988 Ferretti incontra Richard Pagán, artista portoricano che lo introduce all’Informale: negli anni successivi questo linguaggio scatena la sua visione tormentata della materia. Se la figura tende progressivamente a scomparire nelle sue opere pittoriche, quello che emerge appare essere il corpo a corpo con il mezzo artistico. L’Espressionismo Astratto offre a Ferretti gli strumenti per un’interrogazione ineffabile con il segreto nascosto nell’epitelio superficiale: un materico che non si lascia cogliere o definire. La tela o la tavola divengono così contemporaneamente campo di battaglia e sindone di un’invisibilità sempre sul punto di rivelarsi. Le hautes pâtes di Fautrier, le bruciature di Burri, gli stracci di Tàpies, le aperture di Fontana si incontrano sulle sue opere alimentando l’interrogazione sulla condizione umana, sulla finitudine e sull’ecologia. L’artista ingaggia in questo modo una lotta a mani nude con il materico producendo opere sofferte in grado di custodire, malgrado tutto, una speranza.
La graduale diminuzione dell’entusiasmo espositivo che interviene all’inizio del nuovo millennio si giustifica con volontà di dedicarsi al grande ciclo degli Untitled, sinfonia misteriosa e coerente, che occupa interamente la seconda parte della mostra. In dodici anni Ferretti esplora un universo dominato dal bianco e popolato da forme biologiche, scritture asemiche, brecce enigmatiche, convocando occasionalmente giardini edenici non convenzionali: frammenti di un intestardirsi inquieto.
L’opera ultima tenta una ricapitolazione del suo polimorfo percorso, congiurando la fine con un autocitazionismo commovente, interrotto solamente dalla scomparsa dell’artista, avvenuta nell’agosto del 2022.
Profondamente legato alla sua terra e conscio dell’importanza del collettivo, Ferretti fu all’origine di numerosi incontri e sodalizi culturali, il più importante dei quali fu senza dubbio “Il Cenacolo degli Artisti” che per diversi anni coltivò il legame tra ricerca e convivialità nel cuore del borgo antico di Montichiari, a due passi dal Museo che oggi lo celebra.
Gli esordi sono marcati da un linguaggio che mescola Realismo, Post-Impressionismo ed Espressionismo in grado di tradurre la propria realtà attraverso una sensibilità immediatamente comprensibile. Nel 1988 Ferretti incontra Richard Pagán, artista portoricano che lo introduce all’Informale: negli anni successivi questo linguaggio scatena la sua visione tormentata della materia. Se la figura tende progressivamente a scomparire nelle sue opere pittoriche, quello che emerge appare essere il corpo a corpo con il mezzo artistico. L’Espressionismo Astratto offre a Ferretti gli strumenti per un’interrogazione ineffabile con il segreto nascosto nell’epitelio superficiale: un materico che non si lascia cogliere o definire. La tela o la tavola divengono così contemporaneamente campo di battaglia e sindone di un’invisibilità sempre sul punto di rivelarsi. Le hautes pâtes di Fautrier, le bruciature di Burri, gli stracci di Tàpies, le aperture di Fontana si incontrano sulle sue opere alimentando l’interrogazione sulla condizione umana, sulla finitudine e sull’ecologia. L’artista ingaggia in questo modo una lotta a mani nude con il materico producendo opere sofferte in grado di custodire, malgrado tutto, una speranza.
La graduale diminuzione dell’entusiasmo espositivo che interviene all’inizio del nuovo millennio si giustifica con volontà di dedicarsi al grande ciclo degli Untitled, sinfonia misteriosa e coerente, che occupa interamente la seconda parte della mostra. In dodici anni Ferretti esplora un universo dominato dal bianco e popolato da forme biologiche, scritture asemiche, brecce enigmatiche, convocando occasionalmente giardini edenici non convenzionali: frammenti di un intestardirsi inquieto.
L’opera ultima tenta una ricapitolazione del suo polimorfo percorso, congiurando la fine con un autocitazionismo commovente, interrotto solamente dalla scomparsa dell’artista, avvenuta nell’agosto del 2022.
Profondamente legato alla sua terra e conscio dell’importanza del collettivo, Ferretti fu all’origine di numerosi incontri e sodalizi culturali, il più importante dei quali fu senza dubbio “Il Cenacolo degli Artisti” che per diversi anni coltivò il legame tra ricerca e convivialità nel cuore del borgo antico di Montichiari, a due passi dal Museo che oggi lo celebra.
10
febbraio 2024
Giuseppe Ferretti – Forsennare il materico
Dal 10 febbraio al 07 aprile 2024
arte contemporanea
Location
MUSEO LECHI
Montichiari, Corso Martiri Della Libertà, 33, (Brescia)
Montichiari, Corso Martiri Della Libertà, 33, (Brescia)
Orario di apertura
mercoledì-sabato 10-13 e 14.30-18
domenica 15-19
(chiuso domenica 31 marzo)
Vernissage
10 Febbraio 2024, 11.00
Sito web
Autore
Curatore