Scrive Maria Cristina Ricciardi, nel testo critico in catalogo: «(…) E’ su questa rinnovata visione della realtà, che è dentro il mutamento storico, e che richiama gli artisti “di immagine” ad un nuovo impegno figurativo, certamente non disgiunto dall’analisi profonda e problematica sul significato del fare pittorico, che si snodano gli anni Settanta di Guido Montauti, gli ultimi di una personalità artistica di punta nel panorama culturale abruzzese, un pittore con alle spalle una Biennale di Venezia (1950), una importante e gratificante esperienza parigina (1952-1962), la concretezza di un impegno intellettuale mai tradito, l’attività condivisa con il Gruppo “Il Pastore Bianco”, fondato nel 1964, che anticipa sorprendentemente posizioni di ambito Land e persino una certa antropologia del graffito metropolitano, giocata sul senso di appartenenza e di solitudine dell’individuo moderno. Si tratta di anni intensi e drammatici, che si concludono con la morte dell’artista avvenuta a Teramo nel 1979, segnati da una frenetica operosità e da una straordinaria sintesi poetica, condotti nell’isolamento che il pittore si ritaglia intorno, come un’isola di ricercata meditazione e di polemica autonomia contro le disillusioni sulle mancate svolte storiche, contro la mercificazione e l’ involuzione del sistema dell’arte. Le opere presentate in mostra, circa trenta, vanno dal 1970 al 1978 e documentano lo straordinario percorso artistico sostenuto in quegli anni dal pittore che, con singolari accelerazioni, dimostra di raggiungere risultati difficilmente eguagliabili in un lasso di tempo in fondo non così lungo ».