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Incontri e Confronti
“Incontri e Confronti” sezione speciale della rassegna di arti visive, intitolata “Sguardi Multipli”, in corso a Rossano dal 20 giugno 2oo8, costituisce un frammento significativo dell’arte contemporanea. Un contenitore tra i più qualificati che raccoglie i contributi di ventisei artisti, testimoni privilegiati e diretti del presente, con all’attivo un curriculum artistico ed espositivo decisamente rilevante
Comunicato stampa
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“Incontri e Confronti” sezione speciale della rassegna di arti visive, intitolata “Sguardi Multipli”, in corso a Rossano dal 20 giugno 2oo8, costituisce un frammento significativo dell'arte contemporanea. Un contenitore tra i più qualificati che raccoglie i contributi di ventisei artisti, testimoni privilegiati e diretti del presente, con all'attivo un curriculum artistico ed espositivo decisamente rilevante. Ciascuno presenta una produzione singolare, ma in piena sintonia con le più avanzate tendenze estetiche internazionali. La mostra è stata ideata e realizzata per un percorso convergente che abbraccia due sedi distinte e separate, la Sala Esposizioni del Museo Amarelli e la Sala Grigia di Palazzo S.Bernardino, sdoppiando l'esposizione, senza interromperne la continuità. La collettiva, realizzata con la collaborazione della Galleria 911 di La Spezia e della Loft Gallery di Corigliano (CS), è affidata alla cura di Settimio Ferrari, direttore artistico della Rassegna, Francesca Londino, coordinatrice della Rassegna e curatrice della mostra, Carolina Lio, curatrice della mostra
MUSEO AMARELLI
Daniela Cavallo fotografa personaggi femminili immersi, sospesi, galleggianti in una natura fiabesca, segnata da verde e boschi. In questi ambienti così lontani rispetto all’esistenza moderna, le figure si muovono non come elementi fortemente individuati, ma come entità umane che dolcemente li animano.
Nelle opere di Tea Giobbio il corpo femminile e lo spazio circostante si appartengono e si fondono, cesellando nuove forme compositive. Un divano posto al centro della stanza, un ampio tappeto e il corpo nudo dell’artista, che lascia immaginare un movimento appena terminato, vengono utilizzati per una mise en page misurata ma dinamica.
Tre opere verticali, in sequenza, in cui le forme del corpo sembrano trasformarsi lentamente in un elemento architettonico dal design fluido e leggero, in un raffinato oggetto d'arredo visto nell'intensità del desiderio e del piacere puramente estetico
Sempre sulla figura femminile lavora Alessandra Pennini che focalizza l’attenzione su un nuovo ruolo di donna che si svincola dagli stereotipi tradizionali, per glacializzarsi in comportamenti forti, determinati, pratici, quasi virili. La fragilità e le emozioni femminee, manifeste e represse, lasciano sullo sfondo i segni di un romanticismo che deve essere forzatamente accantonato, per farsi accettare nella società come donna.
La convivenza tra forza e fragilità viene espressa, con maggiore intensità, nel lavoro di Dellaclà. I suoi autoritratti, a volte ironici, a volte dolorosi, sempre incisivi e senza mezzi termini, parlano della sofferenza, ma anche del suo superamento. Immagini di un pensiero selvaggio ma tenero, passionale, carnale e al contempo mistico, poeticamente rappresentate dall'atto di strapparsi via dei chiodi appuntiti dal cuore, o da un fascio di luce che le illumina il volto, legato più al senso di una direzione di salvezza che ad una esigenza plastica.
Una ricerca pacata ed evocativa, seppur ancora in fase di abbozzo, sul superamento del dolore e su una possibile strada di fuga dalla sofferenza è quella di Matteo Tenardi, impegnato a far affacciare, a volte addirittura a far scavalcare, i suoi personaggi fuori dalla tela.
Le sue figure, scontornate dalla realtà, vivono in uno spazio compresso, sempre a metà tra il bordo ed uno sfondo nero, scuro, indefinito, potenzialmente infinito nello spazio e nella sostanza, dove possiamo immaginare un mondo di paure, disagi, ma anche solo di quotidianità e stereotipi a cui sfuggire.
Per capire cosa si intende qui con il termine "quotidianità" basta osservare i dipinti di Cristina Blanch, dove personaggi piatti, volutamente trascurati nei particolari e nelle espressioni, sono intenti in faccende domestiche o di lavoro. Ad affiancare questa ricerca si trova tutta una serie di dipinti di oggetti di consumismo, in particolare scarpe femminili, con cui si può tracciare un parallelismo ed una riflessione sulla superficialità del nostro ritmo sociale. Le tematiche di disagio che ne emergono vengono rappresentate dalla pittura, fortemente intima, di Erica Campanella, dove primi piani stretti su volti di donne o su particolari del corpo e della postura, mostrano tensioni ed impacci, rappresentati attraverso rannicchiamenti fetali e piccoli tic nervosi, come quello di mangiarsi le unghie.
Molto simile, ma con colori rosati e molto più tenui, è la sensazione di tenerezza e delicatezza violata che ci viene comunicata dai ritratti femminili di Anna Madia
La sua è la rappresentazioni di una femminilità adolescenziale, ancora agli esordi, che conosce la delusione di essere considerata come un mero oggetto sessuale o l’isolamento nel proprio romanticismo. Ancora altro disagio emerge dalle situazioni in bianco e nero di Gavino Ganau, artista che lavora con effetti di ombreggiatura inquietanti e soggetti immersi in una solitudine dai contorni scuri, ciechi, senza via d'uscita. Nella stessa atmosfera irrequieta e maledetta galleggiano i ritratti di Andrea Grosso Ciponte, dove si alternano volti delusi, duri, violenti, libidinosi, disperati, senza un contesto preciso e con i tratti del viso segmentati, imprecisi, a volte sbavati. Un'umanità borderline, con alle spalle un vicolo cieco.
E' Mario Loprete che interrompe questa galleria di disagi prettamente psicologici e senza una precisa contestualizzazione per concentrarsi su un caso specifico, quello della popolazione di colore delle periferie americane, che in una certa minoranza comincia ad espandersi anche nelle nostre zone. Roberta Savelli si concentra invece su una infanzia muta, ferma, silenziosa e osservatrice, attraverso l’uso di colori “acquerellosi” che sembrano voler stemperare quella pastellosità scherzosa che contraddistingue la dimensione dei bambini. Uno sguardo verso un mondo fatto di espressioni già disilluse e sorrisi incerti, come quello che ci disvela anche Marco Tamburro, con le sue immagini intricate, avvolte in un turbinio di segni che si incrociano, rincorrono, non si danno tregua, girano in tondo, si buttano in macchie di colore color sangue, per sfregiare, con fretta, impietosamente, sottofondi figurativi che vanno da visioni di città a gruppi di persone immerse in scenari differenti.
PALAZZO SAN BERNARDINO
Angelo Barile ritrae il lato nero di una infanzia disillusa e dissacratoria, attraverso immagini di bambine cattive che indossano le scarpe di Freddy Krueger, crocifiggono Topolino e infilzano Minnie con spilloni. Si trasformano a notte fonda in vamp-ire, succhiatrici del lato consolatorio dell'infanzia e, grazie al gioco di parole permesso dal trattino, giocano a essere vamp condotte dall'ira nei loro giochi macabri, neri, ma accattivanti anche grazie a sfondi decorati con brillantini e colori fumettistici. Mentre al mondo dei fumetti e dei manga giapponesi si rivolge Marco Cerutti. Nei suoi dipinti il realismo della rappresentazione delle metropoli del Sol Levante viene stravolto dalla presenza di prorompenti, seduttive e provocatorie protagoniste femminili, considerate delle vere e proprie icone erotiche "global" dal popolo nipponico e dagli amanti dei manga e dei fumetti, che interrompono l’ ambientazione urbana con il loro erotismo evidente. Dal caos emergono egualmente i ritratti ravvicinati e inquietanti di Nicola Delvigo che, attraverso una tecnica pittorica rotante, crea una sorta di effetto vortice attorno alla figura umana, trasformandola nel centro di un tornado dai colori intensi. Le espressioni ironiche e irriverenti dei suoi personaggi sdrammatizzano quel senso del precipitare e dell'affollamento sonoro e temporale, di stimoli e sensazioni, che ci viene comunicato dalla febbrile agitazione delle avvolgenti onde circolari. Sempre sospeso sul filo di un’ironica riflessione sulla società contemporanea è il lavoro di Damiano Fasso. Nelle sue opere sagome di buffi e morbidi pupazzi di peluche, dall'aspetto tenero e innocuo, convivono con piccole frasi, scritte prevalentemente in giapponese, che parlano di morte, distruzione e violenza in modo subliminale, giocando tra apparenza e sostanza. Quello che fa anche Vittorio Valente attraverso le sue creazioni avvolte o ricoperte da piccoli ciuffi a punti, realizzati con uno strumento fortemente tattile come il silicone. L'apparenza morbida nasconde però un messaggio di paura e terrore. Quelli che sembrano festosi e colorati fiori marini sono, in effetti, forme che richiamano gli aspetti più impopolari della scienza, come i virus e i batteri. Per continuare sul mondo della medicina e della scienza passiamo al lavoro di Arianna Piazza, che, concentrando la sua attenzione su argomenti come "l’immunizzazione", "gli ibridi" ed i farmaci artificiali, ha sviluppato un universo di forme fantastiche e colorate, rappresentato in modo astratto, che sembra preannunciare l’arrivo di un'epoca semi-chimica, in cui la realtà è frutto di processi costruiti. Nell’astrazione si muove anche Vincenzo Marsiglia che gioca sull'optical art, tracciando traiettorie regolari, simmetriche, e lasciando ai colori il compito di creare effetti visivi di rilievo o incavatura. In questo modo si crea l'illusione di un effetto tattile e di una quarta dimensione. Un surrealismo, confinante con l’universo Pop connota i divertenti autoritratti di Cosimo Piediscalzi, caratterizzati da colorati effetti a righe arcobaleno. Un sobrio mix artistico che mescola citazioni tratte da opere celebri del passato, particolari che metabolizzano il linguaggio pubblicitario e tributi al sarcasmo vignettistico in una commistione di generi e linguaggi riuniti in piccoli formati, quasi opere tascabili.
Mentre un pop di grandi dimensioni è quello che serve a Siva per farci immergere nei suoi "Giardini cosmici", dove immersi tra atmosfere dai colori acidi, in un'aria privata di gravità fluttuante come acqua, convivono pesci, piante terresti, simboli del consumismo, elementi umanoidi ed astratti. Restano uniti in una commistione irreale, eppure credibile, in un mondo con regole proprie, inedite ma stabili. Altra surrealtà, ottenuta con l'uso del colore, è quella che Michele Bono realizza nelle sue sculture in resina. Le opere rappresentano teste umane, arabescate e colorate, che sbalzano fuori da una base piatta, come la lama di una ghigliottina che trancia via il capo da un corpo di cui non ci resta nessun indizio. Resta la sagoma di una testa, simbolo di intellettualità, ricoperta dal colore, che la avvolge e vi si attacca come un liquido viscoso. A sbalzare in fuori sono anche i personaggi delle tele esteroflesse di Maurizio Cariati. Nascoste dietro le sue tele in iuta, sagome costruite dallo stesso artista, spingono e deformano le fattezze dei suoi personaggi, creando delle anomalie forzate, facendo venire in superficie e manifestando, tramite questo trucco quasi installativo, stranezze, idiosincrasie, lati quasi mostruosi altrimenti imperscrutabili dalla sola analisi figurativa.
Ad alterare completamente le fattezze umane arriva anche l'opera di Gianni Cella. L’artista crea degli umanoidi la cui testa assume, di volta in volta, la forma di un cactus, di un palloncino, di una stella, giocando ironicamente su un immaginario metaforico alla Fedro, dove la personificazione di piante e oggetti crea "la pianta più intelligente del mondo", un "pallone gonfiato" e via dicendo. Anche Andrea Riga lavora sulla deformazione, ma in questo caso si tratta di malformazioni e sfregi. La sua è una pittura quasi "cattiva", che lavora sulle cicatrici, sui segni fisici della sofferenza, evidentissimi, invadenti, ingigantiti, che assumono la forma di frutta troppo matura sull'orlo dell'essere marcia.
Carolina Lio e Francesca Londino
MUSEO AMARELLI
Daniela Cavallo fotografa personaggi femminili immersi, sospesi, galleggianti in una natura fiabesca, segnata da verde e boschi. In questi ambienti così lontani rispetto all’esistenza moderna, le figure si muovono non come elementi fortemente individuati, ma come entità umane che dolcemente li animano.
Nelle opere di Tea Giobbio il corpo femminile e lo spazio circostante si appartengono e si fondono, cesellando nuove forme compositive. Un divano posto al centro della stanza, un ampio tappeto e il corpo nudo dell’artista, che lascia immaginare un movimento appena terminato, vengono utilizzati per una mise en page misurata ma dinamica.
Tre opere verticali, in sequenza, in cui le forme del corpo sembrano trasformarsi lentamente in un elemento architettonico dal design fluido e leggero, in un raffinato oggetto d'arredo visto nell'intensità del desiderio e del piacere puramente estetico
Sempre sulla figura femminile lavora Alessandra Pennini che focalizza l’attenzione su un nuovo ruolo di donna che si svincola dagli stereotipi tradizionali, per glacializzarsi in comportamenti forti, determinati, pratici, quasi virili. La fragilità e le emozioni femminee, manifeste e represse, lasciano sullo sfondo i segni di un romanticismo che deve essere forzatamente accantonato, per farsi accettare nella società come donna.
La convivenza tra forza e fragilità viene espressa, con maggiore intensità, nel lavoro di Dellaclà. I suoi autoritratti, a volte ironici, a volte dolorosi, sempre incisivi e senza mezzi termini, parlano della sofferenza, ma anche del suo superamento. Immagini di un pensiero selvaggio ma tenero, passionale, carnale e al contempo mistico, poeticamente rappresentate dall'atto di strapparsi via dei chiodi appuntiti dal cuore, o da un fascio di luce che le illumina il volto, legato più al senso di una direzione di salvezza che ad una esigenza plastica.
Una ricerca pacata ed evocativa, seppur ancora in fase di abbozzo, sul superamento del dolore e su una possibile strada di fuga dalla sofferenza è quella di Matteo Tenardi, impegnato a far affacciare, a volte addirittura a far scavalcare, i suoi personaggi fuori dalla tela.
Le sue figure, scontornate dalla realtà, vivono in uno spazio compresso, sempre a metà tra il bordo ed uno sfondo nero, scuro, indefinito, potenzialmente infinito nello spazio e nella sostanza, dove possiamo immaginare un mondo di paure, disagi, ma anche solo di quotidianità e stereotipi a cui sfuggire.
Per capire cosa si intende qui con il termine "quotidianità" basta osservare i dipinti di Cristina Blanch, dove personaggi piatti, volutamente trascurati nei particolari e nelle espressioni, sono intenti in faccende domestiche o di lavoro. Ad affiancare questa ricerca si trova tutta una serie di dipinti di oggetti di consumismo, in particolare scarpe femminili, con cui si può tracciare un parallelismo ed una riflessione sulla superficialità del nostro ritmo sociale. Le tematiche di disagio che ne emergono vengono rappresentate dalla pittura, fortemente intima, di Erica Campanella, dove primi piani stretti su volti di donne o su particolari del corpo e della postura, mostrano tensioni ed impacci, rappresentati attraverso rannicchiamenti fetali e piccoli tic nervosi, come quello di mangiarsi le unghie.
Molto simile, ma con colori rosati e molto più tenui, è la sensazione di tenerezza e delicatezza violata che ci viene comunicata dai ritratti femminili di Anna Madia
La sua è la rappresentazioni di una femminilità adolescenziale, ancora agli esordi, che conosce la delusione di essere considerata come un mero oggetto sessuale o l’isolamento nel proprio romanticismo. Ancora altro disagio emerge dalle situazioni in bianco e nero di Gavino Ganau, artista che lavora con effetti di ombreggiatura inquietanti e soggetti immersi in una solitudine dai contorni scuri, ciechi, senza via d'uscita. Nella stessa atmosfera irrequieta e maledetta galleggiano i ritratti di Andrea Grosso Ciponte, dove si alternano volti delusi, duri, violenti, libidinosi, disperati, senza un contesto preciso e con i tratti del viso segmentati, imprecisi, a volte sbavati. Un'umanità borderline, con alle spalle un vicolo cieco.
E' Mario Loprete che interrompe questa galleria di disagi prettamente psicologici e senza una precisa contestualizzazione per concentrarsi su un caso specifico, quello della popolazione di colore delle periferie americane, che in una certa minoranza comincia ad espandersi anche nelle nostre zone. Roberta Savelli si concentra invece su una infanzia muta, ferma, silenziosa e osservatrice, attraverso l’uso di colori “acquerellosi” che sembrano voler stemperare quella pastellosità scherzosa che contraddistingue la dimensione dei bambini. Uno sguardo verso un mondo fatto di espressioni già disilluse e sorrisi incerti, come quello che ci disvela anche Marco Tamburro, con le sue immagini intricate, avvolte in un turbinio di segni che si incrociano, rincorrono, non si danno tregua, girano in tondo, si buttano in macchie di colore color sangue, per sfregiare, con fretta, impietosamente, sottofondi figurativi che vanno da visioni di città a gruppi di persone immerse in scenari differenti.
PALAZZO SAN BERNARDINO
Angelo Barile ritrae il lato nero di una infanzia disillusa e dissacratoria, attraverso immagini di bambine cattive che indossano le scarpe di Freddy Krueger, crocifiggono Topolino e infilzano Minnie con spilloni. Si trasformano a notte fonda in vamp-ire, succhiatrici del lato consolatorio dell'infanzia e, grazie al gioco di parole permesso dal trattino, giocano a essere vamp condotte dall'ira nei loro giochi macabri, neri, ma accattivanti anche grazie a sfondi decorati con brillantini e colori fumettistici. Mentre al mondo dei fumetti e dei manga giapponesi si rivolge Marco Cerutti. Nei suoi dipinti il realismo della rappresentazione delle metropoli del Sol Levante viene stravolto dalla presenza di prorompenti, seduttive e provocatorie protagoniste femminili, considerate delle vere e proprie icone erotiche "global" dal popolo nipponico e dagli amanti dei manga e dei fumetti, che interrompono l’ ambientazione urbana con il loro erotismo evidente. Dal caos emergono egualmente i ritratti ravvicinati e inquietanti di Nicola Delvigo che, attraverso una tecnica pittorica rotante, crea una sorta di effetto vortice attorno alla figura umana, trasformandola nel centro di un tornado dai colori intensi. Le espressioni ironiche e irriverenti dei suoi personaggi sdrammatizzano quel senso del precipitare e dell'affollamento sonoro e temporale, di stimoli e sensazioni, che ci viene comunicato dalla febbrile agitazione delle avvolgenti onde circolari. Sempre sospeso sul filo di un’ironica riflessione sulla società contemporanea è il lavoro di Damiano Fasso. Nelle sue opere sagome di buffi e morbidi pupazzi di peluche, dall'aspetto tenero e innocuo, convivono con piccole frasi, scritte prevalentemente in giapponese, che parlano di morte, distruzione e violenza in modo subliminale, giocando tra apparenza e sostanza. Quello che fa anche Vittorio Valente attraverso le sue creazioni avvolte o ricoperte da piccoli ciuffi a punti, realizzati con uno strumento fortemente tattile come il silicone. L'apparenza morbida nasconde però un messaggio di paura e terrore. Quelli che sembrano festosi e colorati fiori marini sono, in effetti, forme che richiamano gli aspetti più impopolari della scienza, come i virus e i batteri. Per continuare sul mondo della medicina e della scienza passiamo al lavoro di Arianna Piazza, che, concentrando la sua attenzione su argomenti come "l’immunizzazione", "gli ibridi" ed i farmaci artificiali, ha sviluppato un universo di forme fantastiche e colorate, rappresentato in modo astratto, che sembra preannunciare l’arrivo di un'epoca semi-chimica, in cui la realtà è frutto di processi costruiti. Nell’astrazione si muove anche Vincenzo Marsiglia che gioca sull'optical art, tracciando traiettorie regolari, simmetriche, e lasciando ai colori il compito di creare effetti visivi di rilievo o incavatura. In questo modo si crea l'illusione di un effetto tattile e di una quarta dimensione. Un surrealismo, confinante con l’universo Pop connota i divertenti autoritratti di Cosimo Piediscalzi, caratterizzati da colorati effetti a righe arcobaleno. Un sobrio mix artistico che mescola citazioni tratte da opere celebri del passato, particolari che metabolizzano il linguaggio pubblicitario e tributi al sarcasmo vignettistico in una commistione di generi e linguaggi riuniti in piccoli formati, quasi opere tascabili.
Mentre un pop di grandi dimensioni è quello che serve a Siva per farci immergere nei suoi "Giardini cosmici", dove immersi tra atmosfere dai colori acidi, in un'aria privata di gravità fluttuante come acqua, convivono pesci, piante terresti, simboli del consumismo, elementi umanoidi ed astratti. Restano uniti in una commistione irreale, eppure credibile, in un mondo con regole proprie, inedite ma stabili. Altra surrealtà, ottenuta con l'uso del colore, è quella che Michele Bono realizza nelle sue sculture in resina. Le opere rappresentano teste umane, arabescate e colorate, che sbalzano fuori da una base piatta, come la lama di una ghigliottina che trancia via il capo da un corpo di cui non ci resta nessun indizio. Resta la sagoma di una testa, simbolo di intellettualità, ricoperta dal colore, che la avvolge e vi si attacca come un liquido viscoso. A sbalzare in fuori sono anche i personaggi delle tele esteroflesse di Maurizio Cariati. Nascoste dietro le sue tele in iuta, sagome costruite dallo stesso artista, spingono e deformano le fattezze dei suoi personaggi, creando delle anomalie forzate, facendo venire in superficie e manifestando, tramite questo trucco quasi installativo, stranezze, idiosincrasie, lati quasi mostruosi altrimenti imperscrutabili dalla sola analisi figurativa.
Ad alterare completamente le fattezze umane arriva anche l'opera di Gianni Cella. L’artista crea degli umanoidi la cui testa assume, di volta in volta, la forma di un cactus, di un palloncino, di una stella, giocando ironicamente su un immaginario metaforico alla Fedro, dove la personificazione di piante e oggetti crea "la pianta più intelligente del mondo", un "pallone gonfiato" e via dicendo. Anche Andrea Riga lavora sulla deformazione, ma in questo caso si tratta di malformazioni e sfregi. La sua è una pittura quasi "cattiva", che lavora sulle cicatrici, sui segni fisici della sofferenza, evidentissimi, invadenti, ingigantiti, che assumono la forma di frutta troppo matura sull'orlo dell'essere marcia.
Carolina Lio e Francesca Londino
20
giugno 2008
Incontri e Confronti
Dal 20 giugno al 20 luglio 2008
arte contemporanea
Location
PALAZZO SAN BERNARDINO – MUSEO AMARELLI
Rossano Calabro, Via Plebiscito, (Cosenza)
Rossano Calabro, Via Plebiscito, (Cosenza)
Orario di apertura
9,30-23,00
Vernissage
20 Giugno 2008, ore 18,30
Autore
Curatore