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Io sono Bororo
Questo è il primo esempio in Italia, di un’esposizione realizzata in stretta collaborazione con la popolazione indigena, in cui il ruolo degli studiosi non è stato quello di modificare il messaggio della mostra attraverso una visione occidentale della cultura Bororo ma, anzi, quello di affiancarli lasciandoli liberi di raccontare la storia della loro cultura, senza filtri.
Comunicato stampa
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Dal 9 ottobre 2004 al 23 gennaio 2005, al Castello D’Albertis di Genova, sede del Museo delle Culture del Mondo, si tiene la mostra “IO SONO BORORO. UN POPOLO INDIGENO DEL BRASILE TRA RITI E FUTEBOL”, promossa dall’Associazione Missioni Don Bosco - Torino, dall’Associazione Noi per Loro - Torino, dal Centro de Cultura “Padre Rodolfo Lunkenbein” - Meruri (Brasile), dal Comune di Genova e dalla Missao Salesiana de Mato Grosso - Campo Grande (Brasile). L’iniziativa, curata da Maria Camilla De Palma, con la collaborazione di Silvia Forni, Elisabetta Gatto e Andrea Perin, insieme a un comitato scientifico composto da Mario Bordignon, Aivone Carvalho e Padre Gonçalo Camargo Ochoa, illustra la storia e la cultura del popolo brasiliano dei Bororo di Meruri, che vive nella foresta del Mato Grosso. Questo è il primo esempio in Italia, di un’esposizione realizzata in stretta collaborazione con la popolazione indigena, in cui il ruolo degli studiosi non è stato quello di modificare il messaggio della mostra attraverso una visione occidentale della cultura Bororo ma, anzi, quello di affiancarli lasciandoli liberi di raccontare la storia della loro cultura, senza filtri.
Il progetto scientifico, infatti, nasce da un lavoro di equipe tra antropologi, missionari e comunità indigena durato 6 anni, che ha avuto come scopo un percorso di consapevolezza intrapreso attraverso la comunicazione tra gli oggetti storici dei musei e la comunità di provenienza, e che ha portato anche alla creazione di un centro culturale – il Centro de Cultura Bororo “Padre Rodolfo Lunkenbein” sorto nella missione salesiana di Meruri.
In esposizione si troveranno oggetti bororo “antichi” provenienti da collezioni museali - Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco (Asti) e Museu Dom Bosco di Campo Grande (Brasile) - costituite nel primo ‘900, a fianco di oggetti rituali o legati alla vita quotidiana, come ornamenti corporali, bambole, astucci penici, archi, frecce, ceste e strumenti musicali, realizzati appositamente per la mostra e strettamente collegati alla dimensione rituale e religiosa della loro esistenza, ma anche oggetti occidentali in uso nel villaggio.
“Io sono Bororo” è una mostra di idee, non solo di oggetti, che permette di avvicinarsi alla storia di una civiltà e al suo riscatto da quella occidentale, più avanzata tecnologicamente e militarmente più forte, attraverso una mediazione, avvenuta negli ultimi trent’anni, tra i propri valori e quelli nuovi; dal confronto con la realtà dei riti e dei miti degli antenati, nascono gli oggetti e le pratiche della società contemporanea. Tutto questo è narrato in mostra da testimonianze filmate, videoinstallazioni, fotografie, e disegni che raccontano gli oggetti esposti e il loro uso quotidiano.
L’allestimento della mostra, curato da Andrea Perin, è articolato in quattro sale. Nella prima, il visitatore trova disegnato sul pavimento lo schema della struttura sociale, divisa in clan; e guarda e ascolta, grazie a un video, uomini, donne e bambini Bororo spiegare gli aspetti principali della loro cultura, della loro storia recente e della loro vita attuale.
Nella sala successiva, si affronta la cultura e la storia bororo attraverso i manufatti rituali provenienti dalle collezioni storiche dei musei salesiani italiani e brasiliani, accostati a una serie di oggetti di produzione industriale, che hanno sostituito quelli tradizionali – come i sandali di plastica o le pentole di alluminio – creando nuove esigenze e realtà, sia in positivo (computer) sia in negativo (alcool), che da decenni fanno parte della loro cultura materiale e che illustrano la lunga storia di contatto di questa popolazione con oggetti e modelli culturali di stampo occidentale.
La terza sala racconta la storia del progetto di riscatto culturale intrapresa dal Centro di Cultura “Padre Rodolfo Lunkenbein” della missione salesiana di Meruri, proponendo alcune attività di laboratorio mirate alla creazione di oggetti rituali contemporanei. L’attività viene esemplificata dalla realizzazione del pariko, il diadema rituale in penne di pappagallo arara, la massima espressione di arte plumaria, e dai manufatti in fibra vegetale intrecciata, oggetti legati anche all’uso quotidiano e caratterizzati da un minore impatto estetico.
L’ultima sala propone uno dei riti centrali della vita sociale bororo: il rituale funebre, che costituisce una componente essenziale della definizione del senso di comunità di questa popolazione. Protagonista della scena sarà il funerale stesso, proiettato a grande dimensione su una parete della stanza, al fine di trasportare il visitatore all’interno del rito, farlo sentire partecipe, attraverso i gesti, i canti, i balli, e gli oggetti che vengono utilizzati nella funzione.
Il progetto scientifico, infatti, nasce da un lavoro di equipe tra antropologi, missionari e comunità indigena durato 6 anni, che ha avuto come scopo un percorso di consapevolezza intrapreso attraverso la comunicazione tra gli oggetti storici dei musei e la comunità di provenienza, e che ha portato anche alla creazione di un centro culturale – il Centro de Cultura Bororo “Padre Rodolfo Lunkenbein” sorto nella missione salesiana di Meruri.
In esposizione si troveranno oggetti bororo “antichi” provenienti da collezioni museali - Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco (Asti) e Museu Dom Bosco di Campo Grande (Brasile) - costituite nel primo ‘900, a fianco di oggetti rituali o legati alla vita quotidiana, come ornamenti corporali, bambole, astucci penici, archi, frecce, ceste e strumenti musicali, realizzati appositamente per la mostra e strettamente collegati alla dimensione rituale e religiosa della loro esistenza, ma anche oggetti occidentali in uso nel villaggio.
“Io sono Bororo” è una mostra di idee, non solo di oggetti, che permette di avvicinarsi alla storia di una civiltà e al suo riscatto da quella occidentale, più avanzata tecnologicamente e militarmente più forte, attraverso una mediazione, avvenuta negli ultimi trent’anni, tra i propri valori e quelli nuovi; dal confronto con la realtà dei riti e dei miti degli antenati, nascono gli oggetti e le pratiche della società contemporanea. Tutto questo è narrato in mostra da testimonianze filmate, videoinstallazioni, fotografie, e disegni che raccontano gli oggetti esposti e il loro uso quotidiano.
L’allestimento della mostra, curato da Andrea Perin, è articolato in quattro sale. Nella prima, il visitatore trova disegnato sul pavimento lo schema della struttura sociale, divisa in clan; e guarda e ascolta, grazie a un video, uomini, donne e bambini Bororo spiegare gli aspetti principali della loro cultura, della loro storia recente e della loro vita attuale.
Nella sala successiva, si affronta la cultura e la storia bororo attraverso i manufatti rituali provenienti dalle collezioni storiche dei musei salesiani italiani e brasiliani, accostati a una serie di oggetti di produzione industriale, che hanno sostituito quelli tradizionali – come i sandali di plastica o le pentole di alluminio – creando nuove esigenze e realtà, sia in positivo (computer) sia in negativo (alcool), che da decenni fanno parte della loro cultura materiale e che illustrano la lunga storia di contatto di questa popolazione con oggetti e modelli culturali di stampo occidentale.
La terza sala racconta la storia del progetto di riscatto culturale intrapresa dal Centro di Cultura “Padre Rodolfo Lunkenbein” della missione salesiana di Meruri, proponendo alcune attività di laboratorio mirate alla creazione di oggetti rituali contemporanei. L’attività viene esemplificata dalla realizzazione del pariko, il diadema rituale in penne di pappagallo arara, la massima espressione di arte plumaria, e dai manufatti in fibra vegetale intrecciata, oggetti legati anche all’uso quotidiano e caratterizzati da un minore impatto estetico.
L’ultima sala propone uno dei riti centrali della vita sociale bororo: il rituale funebre, che costituisce una componente essenziale della definizione del senso di comunità di questa popolazione. Protagonista della scena sarà il funerale stesso, proiettato a grande dimensione su una parete della stanza, al fine di trasportare il visitatore all’interno del rito, farlo sentire partecipe, attraverso i gesti, i canti, i balli, e gli oggetti che vengono utilizzati nella funzione.
09
ottobre 2004
Io sono Bororo
Dal 09 ottobre 2004 al 27 febbraio 2005
Location
CASTELLO D’ALBERTIS – MUSEO DELLE CULTURE DEL MONDO
Genova, Corso Dogali, 18, (Genova)
Genova, Corso Dogali, 18, (Genova)
Biglietti
Adulti: € 6; Bambini 4-12 anni: € 5 (fino ai 3 anni, gratuito)
Gruppi (1 gratuità ogni 25 paganti): € 5
Scuole (min. 15 ragazzi, 2 accompagnatori gratuiti): € 3,50
Orario di apertura
da martedì a domenica, 10-17. Chiuso Natale e Capodanno
Curatore