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Italo Turri – Prospettive sommerse
Oltre settanta dipinti per ricordare, a quindici anni dalla scomparsa, la figura di Italo Turri, autore tra i più originali del panorama artistico della terra di Ciociaria.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Oltre settanta dipinti per ricordare, a quindici anni
dalla scomparsa, la figura di Italo Turri, autore tra i
più originali del panorama artistico della terra di Ciociaria.
Ordinata da Anna Turri e presentata in catalogo dal
Prof.Claudio Strinati e Prof. Rocco Zani, la mostra, che accoglie
oltremodo preziosi inediti, permette una lettura davvero
compiuta e rigorosa dell’intero percorso artistico di Turri pittore.
ITALO TURRI E IL FARE PITTURA
di Rocco Zani
In uno scritto di Luigi Tallarico del 1999, gelosamente custodito e dato alle stampe solo lo scorso ottobre, lo storico di Crotone ebbe a definire il pittore Vittorio Miele una sorta di “artista-sismografo” le cui “vicende vengono continuamente agitate nella forma-colore e finanche drammaticamente presagite come anticipazioni dell’immediato futuro”.
Si rimarcava, in quel modo, una condizione di “preavviso” tipica di taluni artisti che più di altri hanno con l’incombente un rapporto vivo eppure mimetico, quasi ne avvertissero – per sensibilità o carattere, per esercizio o per frenesia - finanche il soffio, l’alito che ne alimenta il divenire.
Mi piacerebbe che la stessa dimensione di turbato conflitto accompagnasse la sostanza epica di un artista, Italo Turri, capace negli anni di spinte e incursioni che di fatto sollecitano un’immagine progettualmente tellurica. Non già come accadimento fatale e rocambolesco della sua condizione umana quanto invece della sua intima specificità di narratore. Il “disagio”, manifestato a lungo come personale avversione alle condotte predominanti – potremmo perfino definirlo come “autonoma distinzione” – ha fatto di Italo Turri un personaggio quasi mitizzato proprio per quella “maledizione da urlo” che è stata compagna di viaggio e di soste precarie nelle stazioni del divenire. Tutto ciò ha stornato a lungo lo sguardo – o l’attenzione – da uno scenario meno autentico o veritiero che è quello primitivo e strutturale del “fare pittura” ovvero di rivendicare a pieno diritto un’autenticità artistica capace – essa si -, oltre ogni comportamento, di dare risposta all’oscurità.
Ecco allora che la valenza geologica di Turri pittore è in quella cultura di strada che più di altre ha interferito nella concreta definizione del racconto. Perché più forte è il segnale dell’umanità dolente, senza schermo o pietà; orfana delle essenziali comprensioni, priva di ogni generoso riparo.
Ed è lui a tracciare meticoloso – come un indicatore appassionato - il fiato che spinge dal sottosuolo, lo sconfinamento degli esclusi, i paesaggi dell’assenza, le voci periferiche che non conoscono certezze.
Non è rassicurante la pittura di Italo Turri – in arte Monzon – se ad essa vogliamo attribuire una peculiare dimensione immaginifica ovvero se vogliamo farne, esclusivamente, isola del ripensamento e della tenerezza. Non è rassicurante, certo, perché non è pittura scenica o di integrazione bensì arsa nella evanescenza di uno sguardo rincorso e restituito agli occhi degli altri per semplici misture di segni, per colori stinti; quasi che il grigio e il nero dialogassero con parole misurate, essenziali, mai affabulatorie.
La città, l’agora, la strada raccontano la storia dei messi da parte, una storia fatta di ombre allungate, di scherno, di brezze fastidiose, di tolleranza rara.
Quelli di Turri sono – come scrisse Giuseppe Bonaviri a proposito di questa terra – cieli scuotenti, enormi, sconfinati o degradati in fumi grumosi, privi dei rossori al vespro, spigolosi e acuti come le geometrie che dettano e risarciscono le sequenze del corpo.
In questo paesaggio di prospettive sommerse il girotondo delle anime perse ha l’odore di cenere, quella che il vento d’autunno trascina per siepi e cortili, confonde gli sguardi e scippa le parole.
Italo Turri ne registra i ritmi e ne annota i battiti, quelli appena percettibili del silenzio e dell’angoscia.
Febbraio 2010 Rocco Zani
LA FIGURA DI ITALO TURRI
Di Claudio Strinati
La figura di Italo Turri è enigmatica e poderosa. Il suo linguaggio perfettamente coerente e unitario dalla prima all’ultima opera è aspro, ridotto all’osso, apparentemente trascurato e spicciativo, fatto di pennellate stese con la brutale indifferenza di chi vernicia una staccionata, di chi sbozza una prova di colore, di chi graffia e scortica una superficie già dipinta per sovrapporci qualcosa. Ne scaturiscono immagini ruvide e spettrali, che sembrano promanare da un mondo grossolano, abbrutito, mortificato da una vita grama e solitaria dove le forme a mala pena riescono a assumere l’aspetto di una vaga verosimiglianza strapazzata da segni che trasformano tutto in ectoplasmi e fantasmi grottescamente deformati.
L’artista più che osservare aggredisce le proprie stesse immagini. Sembra disprezzarle, massacrarle di odio e di rabbia. La stesura arida e selvaggia, senza preparazione e senza rifinitura, travolge tutto ciò che viene rappresentato, animali e persone, città e campagna, alta società e poveracci, gente che va e che viene senza ragione e senza spazi, appesa al nulla e ricacciata dentro lo spazio da cui vorrebbe forse emergere.
E’ un luogo incivile e inospitale quello che il pittore scaraventa addosso ai suoi osservatori. Eppure quanto amore sviscerato e ardente per l’arte intesa come uscita clamorosa e irritata dal mondo che non ci piace!
Turri è un giudice forse ingiusto con se stesso e con gli altri, ma nello stesso tempo è una specie di involontario terapeuta che estrae implacabilmente lo sbalordimento e la preoccupazione che ognuno di noi prova quando si trova di fronte a ciò che non riesce a tollerare e che provoca ripulsa o fastidio.
Turri ha ricostruito un mondo parallelo a quello della normalità e del quotidiano, un mondo che è in definitiva altrettanto normale e quotidiano ma è attraversato da una allucinazione complessiva che rende tutto uguale e tutto rimescola in una specie di immobile fermata di un treno che non può attraversare il tempo, non parte e non arriva.
E’ impressionante, insomma, l’insieme delle opere che restituiscono una personalità densa e fremente. Turri è un vero inventore di immagini. Può certamente essere avvicinato a tanti altri pittori che nel Novecento si sono mossi in una prospettiva simile ma resta unico e incomparabile. Certo si potrebbe dire che è una specie di Rouault redivivo quando non appare come un Eliano Fantuzzi sconquassato e alieno da qualunque forma di edonismo alla buona. Ma al di là di suggestioni del genere è evidente come l’invenzione della forma in questo pittore non ha precedenti, non conosce influssi.
E’ in effetti un artista vero e strano che sembra non voler né piacere né comunicare. Eppure il suo messaggio arriva in modo sorprendente. Un poeta scorbutico e perennemente fuori dalle righe che non intende insegnare né educare eppure ha la forza incredibile del vero testimone che vigila sulle nostre percezioni e apre porte inattese anche se sovente inquietanti.
Marzo 2010 Claudio Strinati
dalla scomparsa, la figura di Italo Turri, autore tra i
più originali del panorama artistico della terra di Ciociaria.
Ordinata da Anna Turri e presentata in catalogo dal
Prof.Claudio Strinati e Prof. Rocco Zani, la mostra, che accoglie
oltremodo preziosi inediti, permette una lettura davvero
compiuta e rigorosa dell’intero percorso artistico di Turri pittore.
ITALO TURRI E IL FARE PITTURA
di Rocco Zani
In uno scritto di Luigi Tallarico del 1999, gelosamente custodito e dato alle stampe solo lo scorso ottobre, lo storico di Crotone ebbe a definire il pittore Vittorio Miele una sorta di “artista-sismografo” le cui “vicende vengono continuamente agitate nella forma-colore e finanche drammaticamente presagite come anticipazioni dell’immediato futuro”.
Si rimarcava, in quel modo, una condizione di “preavviso” tipica di taluni artisti che più di altri hanno con l’incombente un rapporto vivo eppure mimetico, quasi ne avvertissero – per sensibilità o carattere, per esercizio o per frenesia - finanche il soffio, l’alito che ne alimenta il divenire.
Mi piacerebbe che la stessa dimensione di turbato conflitto accompagnasse la sostanza epica di un artista, Italo Turri, capace negli anni di spinte e incursioni che di fatto sollecitano un’immagine progettualmente tellurica. Non già come accadimento fatale e rocambolesco della sua condizione umana quanto invece della sua intima specificità di narratore. Il “disagio”, manifestato a lungo come personale avversione alle condotte predominanti – potremmo perfino definirlo come “autonoma distinzione” – ha fatto di Italo Turri un personaggio quasi mitizzato proprio per quella “maledizione da urlo” che è stata compagna di viaggio e di soste precarie nelle stazioni del divenire. Tutto ciò ha stornato a lungo lo sguardo – o l’attenzione – da uno scenario meno autentico o veritiero che è quello primitivo e strutturale del “fare pittura” ovvero di rivendicare a pieno diritto un’autenticità artistica capace – essa si -, oltre ogni comportamento, di dare risposta all’oscurità.
Ecco allora che la valenza geologica di Turri pittore è in quella cultura di strada che più di altre ha interferito nella concreta definizione del racconto. Perché più forte è il segnale dell’umanità dolente, senza schermo o pietà; orfana delle essenziali comprensioni, priva di ogni generoso riparo.
Ed è lui a tracciare meticoloso – come un indicatore appassionato - il fiato che spinge dal sottosuolo, lo sconfinamento degli esclusi, i paesaggi dell’assenza, le voci periferiche che non conoscono certezze.
Non è rassicurante la pittura di Italo Turri – in arte Monzon – se ad essa vogliamo attribuire una peculiare dimensione immaginifica ovvero se vogliamo farne, esclusivamente, isola del ripensamento e della tenerezza. Non è rassicurante, certo, perché non è pittura scenica o di integrazione bensì arsa nella evanescenza di uno sguardo rincorso e restituito agli occhi degli altri per semplici misture di segni, per colori stinti; quasi che il grigio e il nero dialogassero con parole misurate, essenziali, mai affabulatorie.
La città, l’agora, la strada raccontano la storia dei messi da parte, una storia fatta di ombre allungate, di scherno, di brezze fastidiose, di tolleranza rara.
Quelli di Turri sono – come scrisse Giuseppe Bonaviri a proposito di questa terra – cieli scuotenti, enormi, sconfinati o degradati in fumi grumosi, privi dei rossori al vespro, spigolosi e acuti come le geometrie che dettano e risarciscono le sequenze del corpo.
In questo paesaggio di prospettive sommerse il girotondo delle anime perse ha l’odore di cenere, quella che il vento d’autunno trascina per siepi e cortili, confonde gli sguardi e scippa le parole.
Italo Turri ne registra i ritmi e ne annota i battiti, quelli appena percettibili del silenzio e dell’angoscia.
Febbraio 2010 Rocco Zani
LA FIGURA DI ITALO TURRI
Di Claudio Strinati
La figura di Italo Turri è enigmatica e poderosa. Il suo linguaggio perfettamente coerente e unitario dalla prima all’ultima opera è aspro, ridotto all’osso, apparentemente trascurato e spicciativo, fatto di pennellate stese con la brutale indifferenza di chi vernicia una staccionata, di chi sbozza una prova di colore, di chi graffia e scortica una superficie già dipinta per sovrapporci qualcosa. Ne scaturiscono immagini ruvide e spettrali, che sembrano promanare da un mondo grossolano, abbrutito, mortificato da una vita grama e solitaria dove le forme a mala pena riescono a assumere l’aspetto di una vaga verosimiglianza strapazzata da segni che trasformano tutto in ectoplasmi e fantasmi grottescamente deformati.
L’artista più che osservare aggredisce le proprie stesse immagini. Sembra disprezzarle, massacrarle di odio e di rabbia. La stesura arida e selvaggia, senza preparazione e senza rifinitura, travolge tutto ciò che viene rappresentato, animali e persone, città e campagna, alta società e poveracci, gente che va e che viene senza ragione e senza spazi, appesa al nulla e ricacciata dentro lo spazio da cui vorrebbe forse emergere.
E’ un luogo incivile e inospitale quello che il pittore scaraventa addosso ai suoi osservatori. Eppure quanto amore sviscerato e ardente per l’arte intesa come uscita clamorosa e irritata dal mondo che non ci piace!
Turri è un giudice forse ingiusto con se stesso e con gli altri, ma nello stesso tempo è una specie di involontario terapeuta che estrae implacabilmente lo sbalordimento e la preoccupazione che ognuno di noi prova quando si trova di fronte a ciò che non riesce a tollerare e che provoca ripulsa o fastidio.
Turri ha ricostruito un mondo parallelo a quello della normalità e del quotidiano, un mondo che è in definitiva altrettanto normale e quotidiano ma è attraversato da una allucinazione complessiva che rende tutto uguale e tutto rimescola in una specie di immobile fermata di un treno che non può attraversare il tempo, non parte e non arriva.
E’ impressionante, insomma, l’insieme delle opere che restituiscono una personalità densa e fremente. Turri è un vero inventore di immagini. Può certamente essere avvicinato a tanti altri pittori che nel Novecento si sono mossi in una prospettiva simile ma resta unico e incomparabile. Certo si potrebbe dire che è una specie di Rouault redivivo quando non appare come un Eliano Fantuzzi sconquassato e alieno da qualunque forma di edonismo alla buona. Ma al di là di suggestioni del genere è evidente come l’invenzione della forma in questo pittore non ha precedenti, non conosce influssi.
E’ in effetti un artista vero e strano che sembra non voler né piacere né comunicare. Eppure il suo messaggio arriva in modo sorprendente. Un poeta scorbutico e perennemente fuori dalle righe che non intende insegnare né educare eppure ha la forza incredibile del vero testimone che vigila sulle nostre percezioni e apre porte inattese anche se sovente inquietanti.
Marzo 2010 Claudio Strinati
30
aprile 2010
Italo Turri – Prospettive sommerse
Dal 30 aprile al 16 maggio 2010
arte contemporanea
Location
VILLA COMUNALE
Frosinone, Via Marco Tullio Cicerone, 22, (Frosinone)
Frosinone, Via Marco Tullio Cicerone, 22, (Frosinone)
Orario di apertura
ore 9.30 – 13.00 / 15.30 – 19.30)
Vernissage
30 Aprile 2010, ore 18.30
Autore