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La Collezione. Dai Torriani ai Bagutti. Omaggio a Massimo Cavalli
La stagione estiva 2018 del Museo d’arte Mendrisio propone una mostra dedicata alle opere della propria collezione focalizzandosi sulla parte “antica”, affiancata da un doveroso omaggio a un protagonista, da poco scomparso, dell’arte in Ticino del secondo Novecento: Massimo Cavalli.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Come consuetudine, il Museo d’arte Mendrisio propone nel periodo estivo una scelta di
opere delle proprie collezioni. La presentazione si focalizza sulla parte “antica”, riunendo
una trentina tra le sue più pregevoli tele seicentesche e settecentesche. La mostra si
configura, in sostanza, come un discorso continuo attorno ad alcuni maestri che, con le
loro botteghe, hanno scandito la storia della regione lombarda subalpina. “Artisti dei
laghi”, riprendendo il titolo di una fortunata serie di studi dedicati alle maestranze d’arte
delle terre ticinesi, tra Seicento e Settecento, che si sono formati nei maggiori centri artistici
dell’Italia settentrionale e hanno in gran parte operato al di fuori dei confini locali. Varie le
personalità che per nuclei di opere caratterizzano questa selezione. Apre la mostra una
serie di dipinti riconducibili alle figure mendrisiensi di Francesco Torriani e di suo figlio
Innocenzo, ambito nel quale rientrano anche le due tele con le sante Lucia e Apollonia e
lo splendido stendardo della chiesa di Monte (Val di Muggio) attribuiti al Maestro della
Natività di Mendrisio; il Settecento è invece dominato da Giuseppe Antonio Petrini di
Carona, di cui il Museo d’arte Mendrisio ha di recente acquisito un’importante sanguigna.
Grazie alla sua fiorente bottega e all’ampia diffusione della sua maniera attraverso seguaci
come Giuseppe Antonio Torricelli, numerosissime sono le tracce petrinesche presenti nel
Cantone. Nel tardo Settecento è invece Giovan Battista Bagutti con la sua bottega, tra
barocchetto e neoclassicismo, a segnare profondamente l’arte nel Mendrisiotto. Diverse
anche le opere di artisti “ticinesi”, appartenenti a dinastie, che operano ad ampio raggio:
da Carlo Innocenzo Carloni, originario della Val d’Intelvi, attivo soprattutto nell’Europa
orientale, ai Rabaglio, architetti e stuccatori di Gandria poi al servizio della corte spagnola,
del locarnese Giuseppe Antonio Orelli, attivo nell’Italia settentrionale, a Giovan Battista
Innocenzo Colomba di Arogno, che si muove tra Germania e Inghilterra, a Carlo Luca e
Domenico Pozzi della Valle di Muggio, attivi sia oltralpe che in Italia.
Il Museo d’arte Mendrisio rende inoltre omaggio a un protagonista, da poco scomparso,
dell’arte in Ticino del secondo Novecento: Massimo Cavalli. Formatosi a Brera nei primi
anni Cinquanta, Cavalli rimane per lungo tempo legato a Milano, al suo ambiente culturale
(si pensi alle collaborazioni con l’editore Vanni Scheiwiller), vivendo in pieno una stagione
di rinnovamento e di fermenti artistici. Stabilitosi definitivamente nel Ticino, a partire dalla
fine degli anni Sessanta la sua opera è stata accolta come una delle più importanti e
coerenti sul territorio, ricevendo il sostegno dei musei cantonali e di critici e scrittori quali
Virgilio Gilardoni, Giorgio Orelli, Alberto Nessi, Giovanni Orelli, Matteo Bianchi e Walter
Schoenenberger. Ma i riconoscimenti hanno superato i confini locali e ampie rassegne gli
sono state dedicate sia in Italia sia nella Svizzera tedesca e francese. Dopo gli esordi
materici e gestuali, ancora vincolati al figurativo, Cavalli abbandona ogni aggancio
apparente col mondo oggettuale indirizzandosi verso un’espressione lirico-astratta,
incentrata sul dialogo incessante tra ragione e istinto, tra struttura e sensibilità percettiva,
che lo sospinge in un processo di continuo cambiamento. Fondamentale in questo senso
l’influenza dell’arte moderna francese, a partire dalla lezione di Paul Cézanne attraverso la
pittura della seconda Ecole de Paris – su tutti Jean Bazaine – fino alle spatolate nere di
Pierre Soulages. E proprio basandosi sulle composizioni con fondo nero, colore che in
Cavalli assume col tempo sempre più importanza («il nero è la somma di tutti i colori»), si è
qui voluto creare uno spazio costituito da un insieme compatto di dipinti: undici olii,
eseguiti tra 1988 e 1999, con trame complesse di segni e lame di luce che affiorano da una
materia prosciugata; tele nelle quali dominante è il senso di verticalità. Ampio spazio è
dedicato anche alla grafica, suddivisa per serie, così come in effetti si presenta nel suo
insieme (riunito di recente in un catalogo completo da Matteo Bianchi), con esempi tipici
degli anni Settanta e Ottanta. Un lavoro, quello grafico, nel quale Cavalli ha raggiunto –
grazie a un senso acuito di ritmo, energia, pregnanza del segno e mobilità nelle strutture –
esiti molto intensi. Esso costituisce il laboratorio per l’opera dipinta.
opere delle proprie collezioni. La presentazione si focalizza sulla parte “antica”, riunendo
una trentina tra le sue più pregevoli tele seicentesche e settecentesche. La mostra si
configura, in sostanza, come un discorso continuo attorno ad alcuni maestri che, con le
loro botteghe, hanno scandito la storia della regione lombarda subalpina. “Artisti dei
laghi”, riprendendo il titolo di una fortunata serie di studi dedicati alle maestranze d’arte
delle terre ticinesi, tra Seicento e Settecento, che si sono formati nei maggiori centri artistici
dell’Italia settentrionale e hanno in gran parte operato al di fuori dei confini locali. Varie le
personalità che per nuclei di opere caratterizzano questa selezione. Apre la mostra una
serie di dipinti riconducibili alle figure mendrisiensi di Francesco Torriani e di suo figlio
Innocenzo, ambito nel quale rientrano anche le due tele con le sante Lucia e Apollonia e
lo splendido stendardo della chiesa di Monte (Val di Muggio) attribuiti al Maestro della
Natività di Mendrisio; il Settecento è invece dominato da Giuseppe Antonio Petrini di
Carona, di cui il Museo d’arte Mendrisio ha di recente acquisito un’importante sanguigna.
Grazie alla sua fiorente bottega e all’ampia diffusione della sua maniera attraverso seguaci
come Giuseppe Antonio Torricelli, numerosissime sono le tracce petrinesche presenti nel
Cantone. Nel tardo Settecento è invece Giovan Battista Bagutti con la sua bottega, tra
barocchetto e neoclassicismo, a segnare profondamente l’arte nel Mendrisiotto. Diverse
anche le opere di artisti “ticinesi”, appartenenti a dinastie, che operano ad ampio raggio:
da Carlo Innocenzo Carloni, originario della Val d’Intelvi, attivo soprattutto nell’Europa
orientale, ai Rabaglio, architetti e stuccatori di Gandria poi al servizio della corte spagnola,
del locarnese Giuseppe Antonio Orelli, attivo nell’Italia settentrionale, a Giovan Battista
Innocenzo Colomba di Arogno, che si muove tra Germania e Inghilterra, a Carlo Luca e
Domenico Pozzi della Valle di Muggio, attivi sia oltralpe che in Italia.
Il Museo d’arte Mendrisio rende inoltre omaggio a un protagonista, da poco scomparso,
dell’arte in Ticino del secondo Novecento: Massimo Cavalli. Formatosi a Brera nei primi
anni Cinquanta, Cavalli rimane per lungo tempo legato a Milano, al suo ambiente culturale
(si pensi alle collaborazioni con l’editore Vanni Scheiwiller), vivendo in pieno una stagione
di rinnovamento e di fermenti artistici. Stabilitosi definitivamente nel Ticino, a partire dalla
fine degli anni Sessanta la sua opera è stata accolta come una delle più importanti e
coerenti sul territorio, ricevendo il sostegno dei musei cantonali e di critici e scrittori quali
Virgilio Gilardoni, Giorgio Orelli, Alberto Nessi, Giovanni Orelli, Matteo Bianchi e Walter
Schoenenberger. Ma i riconoscimenti hanno superato i confini locali e ampie rassegne gli
sono state dedicate sia in Italia sia nella Svizzera tedesca e francese. Dopo gli esordi
materici e gestuali, ancora vincolati al figurativo, Cavalli abbandona ogni aggancio
apparente col mondo oggettuale indirizzandosi verso un’espressione lirico-astratta,
incentrata sul dialogo incessante tra ragione e istinto, tra struttura e sensibilità percettiva,
che lo sospinge in un processo di continuo cambiamento. Fondamentale in questo senso
l’influenza dell’arte moderna francese, a partire dalla lezione di Paul Cézanne attraverso la
pittura della seconda Ecole de Paris – su tutti Jean Bazaine – fino alle spatolate nere di
Pierre Soulages. E proprio basandosi sulle composizioni con fondo nero, colore che in
Cavalli assume col tempo sempre più importanza («il nero è la somma di tutti i colori»), si è
qui voluto creare uno spazio costituito da un insieme compatto di dipinti: undici olii,
eseguiti tra 1988 e 1999, con trame complesse di segni e lame di luce che affiorano da una
materia prosciugata; tele nelle quali dominante è il senso di verticalità. Ampio spazio è
dedicato anche alla grafica, suddivisa per serie, così come in effetti si presenta nel suo
insieme (riunito di recente in un catalogo completo da Matteo Bianchi), con esempi tipici
degli anni Settanta e Ottanta. Un lavoro, quello grafico, nel quale Cavalli ha raggiunto –
grazie a un senso acuito di ritmo, energia, pregnanza del segno e mobilità nelle strutture –
esiti molto intensi. Esso costituisce il laboratorio per l’opera dipinta.
07
agosto 2018
La Collezione. Dai Torriani ai Bagutti. Omaggio a Massimo Cavalli
Dal 07 agosto al 16 settembre 2018
arte antica
arte moderna e contemporanea
arte contemporanea
arte moderna e contemporanea
arte contemporanea
Location
MUSEO D’ARTE
Mendrisio, Piazzetta dei Serviti, 1, (Mendrisio)
Mendrisio, Piazzetta dei Serviti, 1, (Mendrisio)
Orario di apertura
mercoledì – domenica
14-18
Festivi aperto
Lunedì e martedì chiuso
Vernissage
7 Agosto 2018, h 11 per la stampa
Autore