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La dialettica del segno
La mostra qui esposta è il risultato di un iter assai suggestivo e complesso che due personalità artistiche fortemente delineate nella propria individualità, hanno saputo compiere dando vita ad un’esperienza unica di reciprocità e ad un pregevole momento di creatività condivisa
Comunicato stampa
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M.I.C.RO. - Movimento Internazionale Culturale Roma - opera da anni nel cuore di Roma con il privilegiato intento di creare una dinamica realtà culturale fondata su un processo di aggregazione tra le arti, nel pieno convincimento che soltanto nel confronto dialettico queste possano trovare una vera e profonda rigenerazione ed una nuova stagione di creatività, in un contesto storico in cui forse, come si pensa, tutto è stato già fatto, ma forse non tutto è stato ancora detto.
L’evento proposto in questa sede rappresenta un ulteriore traguardo sul cammino di ricerca sperimentale che M.I.C.RO. sta compiendo negli intensi anni di attività scientifica dedicata agli sviluppi ed alle prospettive dell’arte contemporanea.
La mostra qui esposta è il risultato di un iter assai suggestivo e complesso che due personalità artistiche fortemente delineate nella propria individualità, hanno saputo compiere dando vita ad un’esperienza unica di reciprocità e ad un pregevole momento di creatività condivisa.
L’ATELIER
Danilo Bucchi e Serge Uberti, romano il primo francese il secondo, si incontrano professionalmente nel mese di Luglio del 2006 all’interno dell’ Atelier M.I.C.RO., una galleria divenuta cenacolo d’arte in cui artisti di tutte le discipline si incontrano, confrontandosi sui temi dell’arte e sul ruolo dell’artista e della sua creatività nell’ambito della società contemporanea. Già in quel contesto i due hanno dato vita, unitamente ad altri magnifici rappresentanti della pittura contemporanea romana, a performance di pittura dal vivo alla presenza di un pubblico così divenuto partecipe del processo creativo puro. Nasce in questi luoghi l’incontro, forse non troppo casuale, tra i pittori e note personalità della cultura quali, ad esempio, Luce Marinetti, esperta d’arte e letteratura, figlia del grande leader del movimento d’avanguardia futurista, e Mario Verdone, noto studioso di storia dell’arte contemporanea. Un incontro di grande importanza tra esimi rappresentanti del sapere ed i nuovi metodi e le più aggiornate forme espressive di “comunicazione artistica”.
E’ questo il terreno su cui i due pittori si confrontano, travalicando il più comune spirito individualistico e trasformando la creazione d’arte in un’occasione di confronto, di scambio, di crescita della propria esperienza. Si intesse così, in piena libertà soggettiva, un dialogo puro e disincantato sul proprio percorso artistico che si imprime sulla tela lavorata a quattro mani. Dalle profonde diversità dei propri percorsi esistenziali ed artistici, i due creativi hanno saputo risalire attraverso un innato istinto percettivo, al cuore delle profonde affinità sensibili sull’onda delle quali intessere la trama del loro comune linguaggio artistico.
SERGE UBERTI
Nelle raffinatissime pagine del suo fare pittorico, il maestro Serge Uberti pare condurre una profonda e sensibilissima riflessione sui percorsi dell’esistenza, dell’esperienza e della natura umana al cospetto della propria impegnata solitudine esistenziale. Il travaglio interiore nella ricerca del proprio IO e nella faticosa costruzione della vita, si snoda sul filo di un affascinante viaggio nella complessità del cammino esistenziale. Un cammino che indaga tutte le dimensioni dell’umano e che esplora tutti i mondi possibili per sentire, poi, fortissima la necessità di una ricostruzione del mondo interiore e della coscienza civile attraverso un ritorno obbligato alle origini primordiali dell’esistenza in cui riscoprire e custodire le radici della propria umanità. Prendono forma, così, attraverso l’imprimatur di materiali poveri resi preziosi da una tecnica molto raffinata, pagine di altissima spiritualità in cui i tratti dell’umanità hanno il profilo di affascinanti esseri umani impegnati nel loro ruolo di grande responsabilità etica nel lavorare, perfezionare, equilibrare, modellare ed addirittura sospingere con il soffio della propria anima indirizzandone la rotta, la barca, fulcro ideale del viaggio esistenziale. Nell’osservare le opere di Uberti, non si assiste ad una narrazione, ad una favola pittorica: al contrario la sua maestria sta nel disporre la matrice complessa del linguaggio artistico nel luogo che le è proprio, dimenticando di avere un tema iconografico di riferimento. Nella pittura di Serge i costruttori, i guardiani, la barca, il viaggio non sono tema e neppure argomento, proiettano, invece, in una atmosfera ed in una condizione emozionale in cui l’arte possa essere liberata, svolgere il suo ruolo, muovere le proprie materie: arte e spiritualità costruiscono insieme un operante che attraverso il linguaggio delle forme tracciate dal magnifico segno di Serge si congiunge al senso più profondo dell’esistenza.
Sul sentiero che pare ricondurre l’uomo all’armonia, questi si confronta con le mille sfaccettature del percorso che lo ha generato: ecco allora incrociarsi sulla via della conoscenza uomini e centauri, laddove la tela diviene spazio privilegiato del loro dialogo evolutivo, secondo la metafora complessa e irriducibile che vede arte e natura umana costruire un’unica condizione.
La sedia? La privilegiata ed ineludibile dimensione del silenzio, dell’ascolto, dell’osservazione, della rivisitazione cosciente del proprio cammino interiore.
……
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
(G. Leopardi – L’Infinito)
Non vi è dimensione, nello spazio limitato ed al contempo infinito delle tele di Serge, che non sia percorsa alla ricerca di una profondità esaustiva dell’idea che dà l’imprimatur di fondo all’opera a cui si aggiungono come pagine figurative i vari elementi del percorso creativo e di pensiero: il risultato è un’opera dinamica che non esaurisce il proprio ordito su un unico piano di stesura ma percorre e ripercorre la tela con l’ausilio di materie e pigmenti che si addensano in un’armonia estetica di elevatissimo pregio artistico.
DANILO BUCCHI
Dopo meno di un anno dalla personale Pagine di Taccuino, Danilo Bucchi mi ridà l’occasione di parlare della sue arte. Ed incredibilmente la trama dei pensieri si ricompone e si struttura in una chiave già rinnovata.
E’ il “dinamismo” insito nel percorso di continua e rapida crescita di questo validissimo e prolifico artista contemporaneo. Nella produzione figurativa di Bucchi, l’arte contemporanea intesse un dialogo con se stessa, ritrovando nella pluralità delle tecniche adottate e dei soggetti presentati, l’autenticità di un linguaggio che non si sperimenta più sull’esclusivo piano della tecnica ma che utilizza sapientemente e coraggiosamente il mezzo artistico per dire la propria sulla storia della società contemporanea.
Il Bucchi più giovane, figlio di studi accademici e di una generazione difficile, si impadronisce da subito con intelligenza e talento del lessico sociale, speculando la dimensione grottesca di una realtà in cui la prepotenza martellante dei mass media tenderebbe ad annullare ogni giudizio autonomo; a questa l’artista contrappone un linguaggio figurativo di “nuova oggettualità” lontana da ogni astrazione intellettuale o ideologica e fortemente permeata sul concreto dato sociale. Si vedono dunque sfilare, come in una vetrina ideale, opere “giovanili” nate dalla tecnica fotografica, filtrata da una sempre presente sensibilità pittorica, icone di una realtà che lega in modo imprescindibile l'aspetto esteriore del mondo al vissuto intimo e speculativo dell'artista, ciò che su tela si rintraccia nell’alter ego pittorico dei ritratti fotografici. L’arte di Bucchi diviene progressivamente, in anni di intensa ricerca formale, contenutisticamente e tecnicamente, la sintesi ideale della fusione e della contaminazione delle più varie forme creative che si mescolano sulle sue tele dando un timbro del tutto originale ad un’arte mai uguale a sé stessa, complessa, contraddittoria e speculare alle nostre mille anime sommerse. E’ qui che risiede lo spessore dell’arte di Bucchi, che, attraverso un percorso di continua sperimentazione e di crescita individuale ha saputo ritrovare le radici della propria creatività e della propria peculiare personalità artistica: cogliendo tutte le sollecitazioni della più interessante avanguardia internazionale e dando vita ad un timbro creativo non inquadrabile in una specifica categoria artistica, né rintracciabile in un genere figurativo, ma distinguibile come pregevole unicum nel panorama dell’arte contemporanea.
L'artista non rappresenta più, in quest’ottica, colui che produce un'opera d'arte, ma ricopre il ruolo di mediatore tra la realizzazione di un'idea e colui che la osserva, facendosi promotore di un vissuto che articola e rielabora attraverso una sensibilità spiccata e sottile, divenendo regista di un evento unico, altamente creativo, al quale tutti possono partecipare e nel quale ognuno rimane appassionatamente coinvolto.
Se nelle opere dei primi anni l’intensità espressiva è affidata alla forza emozionale dei contenuti ed all’impatto visivo con i soggetti ritratti e l’ efficace utilizzo delle cromie e dei tantissimi materiali utilizzati, negli anni più maturi Bucchi condensa la sua arte ed affida al segno pittorico il ruolo dominante di puro istinto artistico.
In un percorso a ritroso, quasi flashback dell’anima, l’artista tesse in un rewind della memoria, le trame di un’esperienza che, prodotta sotto le tantissime sollecitazioni della realtà filtrata attraversi i meandri più nascosti della sensibiltà, sarà concepita, e dunque trasmessa, nell’ultimo Bucchi, in forma di ricordo, spesso inconscio, rintracciato sul filo di un tratto magnifico e distintivo che si incide attraverso linee gocciolate di smalto assorbite dalla tela, un out line a creare forme di una coscienza del dato esistenziale e della verità della vita.
LA STANZA DEL DIALOGO
Risulterà evidente che, il dato che accomuna la matrice creativa dei due artisti è l’attenzione sensibile ed intelligente che entrambi rivolgono alla verità, o per meglio dire, alla propria verità rispetto all’esperienza della vita che si muove per Uberti sull’asse uomo-storia-coscienza-spiritualità, per Bucchi sul filo della realtà sociale e del tratto che congiunge l’interiorità di uno spirito sensibile alla complessa, poliedrica e contraddittoria realtà sociale di cui diviene consapevole portavoce. Dal punto di vista tecnico le strade percorse dagli artisti trovano livelli di interazione con la tela visibilmente diversi: il discorso pittorico di Uberti parte dalla profondità della tela, pervadendola poi in tutte le sue dimensioni percettibili in una stratificazione di piani ideali ed effondendo il proprio fluire verso il primo piano della tela che assorbita dalla materia pittorica ne diviene quasi “oggetto” strumentale, esplicitando il dialogo sempre ferrato nella produzione dell’artista tra scultura e pittura. Al contrario Danilo Bucchi colloquia con il primo piano della tela utilizzando il supporto come pagina bianca su cui scrivere il proprio discorso pittorico che si intesse in rilievo, su quel primissimo piano che impressiona lo sguardo e capta l’attenzione sul segno, quasi un’ elevazione del tono della voce artistica rispetto alla corrente, superficiale, indifferenza.
Il punto di raccordo tra gli stili così differenti di Danilo e Serge, risiede, dunque, al centro delle tele, in quel nucleo focale della loro arte che è la sensibilità creativa, momento privilegiato della maturità artistica che eleva i pittori dal vincolo riduttivo dell’ hic et nunc in cui l’opera si crea attribuendole, di contro, un valore aggiuntivo, un requisito che va al di là del suo dato concreto, un quid particolare che si identifica con l’energia unica e irripetibile spesa per la sua creazione.
Il perfetto equilibrio raggiunto dai due artisti verso una corretta comunicazione dell’esperienza individuale, ma anche sociale ed antropologica dell’uomo-artista contemporaneo, fa sì che l’iter sperimentale del momento artistico vissuto da Danilo e Serge susciti, ad un’attenta disamina, non l’esclusivo interesse all’approfondimento della loro indiscutibile validità artistica ma, anche e più diffusamente, una profonda riflessione sull’arte contemporanea della quale, forse inconsapevolmente, appaiono come archetipo pregnante, un microcosmo legato a doppio filo con il macrocosmo delle più aggiornate tendenze artistiche.
LA DIALETTICA DEL SEGNO
Nell'età moderna, in Occidente, il concetto di libertà espressiva ha sempre coinciso, a grandi linee, con un processo di affermazione individuale. I liberi pensatori, scienziati, artisti, commercianti e, successivamente, i primi imprenditori, hanno contribuito a costruire, tassello dopo tassello, un'idea di libertà che si fonda sulla possibilità del singolo di emergere dalla massa e dall'anonimato.
E’ ancora possibile intervenire frapponendo dei controvalori al corso della storia sociale contemporanea? Può l'arte costruire una comunità socialmente riconoscibile? Possono gli artisti orientarsi meno verso l'io e più verso l'altro ridefinendo il proprio ruolo nel contesto collettivo?
E’ in quest’ottica che trova la sua più corretta collocazione il percorso di ricerca intrapreso da M.I.C.RO. e che si apre all’attenta individuazione dei vari sentieri ed orizzonti che via via si profilano nella sempre aggiornata riconsiderazione dei significati e delle funzioni dell’arte, in un contestuale processo di continua, incessante sperimentazione e speculazione sulle possibili prospettive dell’arte.
L’evento qui proposto rientra a pieno titolo in questo quadro di riferimento, in questo laboratorio ideale nell’ambito del quale Bucchi ed Uberti hanno potuto utilizzare il momento creativo come uno strumento potente, utile e funzionale sperimentando una nuova sintassi artistica tesa a rivalutare e comprovare il potenziale sociale dell'arte. Svincolati da una visione che lega l'arte ai suoi connotati puramente estetici o anche esclusivamente concettuali (restringendo l'ambito della sua percezione), slegati dall’ottica corrente che segrega l’artista all'individualismo teso alla libertà estetica e alla libera espressione del proprio io, gli artisti potranno, in questo senso, esprimersi come creatori di paradigmi le cui idee e attività rientrino a pieno titolo nel dibattito sociale e culturale.
Nel "profondo ascolto" partecipativo, "l'arte diventa un atto co-creativo”, un "indicatore metodologico", un incontro anziché un oggetto di consumo primariamente passivo. In sostanza l'esperienza artistica di Danilo Bucchi e Serge Uberti che ha radici "nell'ascolto del sé" anziché nell'occhio incorporeo legato all’oggetto artistico, sfida il pensiero di separatezza della nostra cultura poiché si concentra non sugli individui in quanto tali, ma sul modo in cui gli individui interagiscono in un sentire orientato verso l'acquisizione di una condivisa comprensione e verso l'essenziale intreccio del proprio io con l'altro, del proprio io con la società.
VERSO UNA NUOVA DIMENSIONE DELL’ARTE
Il dialogo tra Danilo Bucchi e Serge Uberti non si intesse sulla base di un ragionamento. I due artisti non discutono sul taglio da dare alla loro collaborazione, né si confrontano sui contenuti iconografici a cui riferire la produzione a quattro mani. Il dialogo si intesse in maniera pura ed istintiva sulla tela, campo neutro su cui nasce e si sviluppa il loro viaggio artistico. Ha luogo, così, un’esperienza creativa senza precedenti per entrambi, in cui la narrazione pittorica nasce dalla mano del primo e sfocia, naturalmente, sul discorso del secondo, senza che vi sia mai una sovrapposizione, un’invasione dello spazio individuale, senza che il linguaggio si renda artefatto. La magia sta proprio in questo, nella fluida naturalezza con cui i due artisti interagiscono tra di loro, ma soprattutto sulla base di un linguaggio comunicativo che ha luogo nel silenzio, un silenzio in cui le materie artistiche di Bucchi incontrano, riconoscendole, le materie di Uberti, in cui l’arte non attende di aprirsi al dialogo al cospetto del fruitore finale, ma si trova a vivificarsi nell’incontro fatale tra soggetti di Uberti e quelli di Bucchi, tra i loro segni che si avvicinano e che permeano le opere di un timbro unico, in cui, incomprensibilmente, l’arte dell’uno diviene estensione della personalità artistica dell’altro. E’ una dimensione straordinaria in cui i due artisti sentono l’amplificarsi del proprio momento creativo grazie al ruolo svolto da un’arte condivisa che si rivela unisona e scrivibile secondo un inaspettato “codice” comune.
Così la dialettica del segno si palesa in un dialogo talmente armonico da non lasciare distinguere, ad opera ultimata, il settore di intervento dell’uno o dell’altro.
La loro arte, in questo senso, trova certamente il suo fondamento nell'individuo artistico che accoglie l'altro, ricerca un legame più profondo, un collegamento più ampio, ma contestualmente sradica la nozione dell'individuo isolato e cede il passo alla differente nozione dell'io come fenomeno, non isolato né racchiuso in sé, ma sociale e interattivo. L'arte fornisce, in tal modo, il proprio contributo, amplificando un messaggio profondamente umano di dialogo e scambio, attraverso i suoi segni, radicati nell'individualità di ogni singola storia d'artista ma aperta alla dialettica dei segni. Liberare le potenzialità spazio-temporali del segno è il valore al quale l'artista è oggi chiamato a dar voce, in linea con l'evoluzione della comunicazione contemporanea, esaltando questo quale nuovo potenziale espressivo, specchio fedele della nostra epoca in cui l'arte possa incarnare una visione della società e rendersi socialmente e spiritualmente impegnata riqualificandosi come forza incisiva per il cambiamento in quanto portatrice di valori intellettuali, politici, ma anche spirituali ed esistenziali.
L’evento proposto in questa sede rappresenta un ulteriore traguardo sul cammino di ricerca sperimentale che M.I.C.RO. sta compiendo negli intensi anni di attività scientifica dedicata agli sviluppi ed alle prospettive dell’arte contemporanea.
La mostra qui esposta è il risultato di un iter assai suggestivo e complesso che due personalità artistiche fortemente delineate nella propria individualità, hanno saputo compiere dando vita ad un’esperienza unica di reciprocità e ad un pregevole momento di creatività condivisa.
L’ATELIER
Danilo Bucchi e Serge Uberti, romano il primo francese il secondo, si incontrano professionalmente nel mese di Luglio del 2006 all’interno dell’ Atelier M.I.C.RO., una galleria divenuta cenacolo d’arte in cui artisti di tutte le discipline si incontrano, confrontandosi sui temi dell’arte e sul ruolo dell’artista e della sua creatività nell’ambito della società contemporanea. Già in quel contesto i due hanno dato vita, unitamente ad altri magnifici rappresentanti della pittura contemporanea romana, a performance di pittura dal vivo alla presenza di un pubblico così divenuto partecipe del processo creativo puro. Nasce in questi luoghi l’incontro, forse non troppo casuale, tra i pittori e note personalità della cultura quali, ad esempio, Luce Marinetti, esperta d’arte e letteratura, figlia del grande leader del movimento d’avanguardia futurista, e Mario Verdone, noto studioso di storia dell’arte contemporanea. Un incontro di grande importanza tra esimi rappresentanti del sapere ed i nuovi metodi e le più aggiornate forme espressive di “comunicazione artistica”.
E’ questo il terreno su cui i due pittori si confrontano, travalicando il più comune spirito individualistico e trasformando la creazione d’arte in un’occasione di confronto, di scambio, di crescita della propria esperienza. Si intesse così, in piena libertà soggettiva, un dialogo puro e disincantato sul proprio percorso artistico che si imprime sulla tela lavorata a quattro mani. Dalle profonde diversità dei propri percorsi esistenziali ed artistici, i due creativi hanno saputo risalire attraverso un innato istinto percettivo, al cuore delle profonde affinità sensibili sull’onda delle quali intessere la trama del loro comune linguaggio artistico.
SERGE UBERTI
Nelle raffinatissime pagine del suo fare pittorico, il maestro Serge Uberti pare condurre una profonda e sensibilissima riflessione sui percorsi dell’esistenza, dell’esperienza e della natura umana al cospetto della propria impegnata solitudine esistenziale. Il travaglio interiore nella ricerca del proprio IO e nella faticosa costruzione della vita, si snoda sul filo di un affascinante viaggio nella complessità del cammino esistenziale. Un cammino che indaga tutte le dimensioni dell’umano e che esplora tutti i mondi possibili per sentire, poi, fortissima la necessità di una ricostruzione del mondo interiore e della coscienza civile attraverso un ritorno obbligato alle origini primordiali dell’esistenza in cui riscoprire e custodire le radici della propria umanità. Prendono forma, così, attraverso l’imprimatur di materiali poveri resi preziosi da una tecnica molto raffinata, pagine di altissima spiritualità in cui i tratti dell’umanità hanno il profilo di affascinanti esseri umani impegnati nel loro ruolo di grande responsabilità etica nel lavorare, perfezionare, equilibrare, modellare ed addirittura sospingere con il soffio della propria anima indirizzandone la rotta, la barca, fulcro ideale del viaggio esistenziale. Nell’osservare le opere di Uberti, non si assiste ad una narrazione, ad una favola pittorica: al contrario la sua maestria sta nel disporre la matrice complessa del linguaggio artistico nel luogo che le è proprio, dimenticando di avere un tema iconografico di riferimento. Nella pittura di Serge i costruttori, i guardiani, la barca, il viaggio non sono tema e neppure argomento, proiettano, invece, in una atmosfera ed in una condizione emozionale in cui l’arte possa essere liberata, svolgere il suo ruolo, muovere le proprie materie: arte e spiritualità costruiscono insieme un operante che attraverso il linguaggio delle forme tracciate dal magnifico segno di Serge si congiunge al senso più profondo dell’esistenza.
Sul sentiero che pare ricondurre l’uomo all’armonia, questi si confronta con le mille sfaccettature del percorso che lo ha generato: ecco allora incrociarsi sulla via della conoscenza uomini e centauri, laddove la tela diviene spazio privilegiato del loro dialogo evolutivo, secondo la metafora complessa e irriducibile che vede arte e natura umana costruire un’unica condizione.
La sedia? La privilegiata ed ineludibile dimensione del silenzio, dell’ascolto, dell’osservazione, della rivisitazione cosciente del proprio cammino interiore.
……
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
(G. Leopardi – L’Infinito)
Non vi è dimensione, nello spazio limitato ed al contempo infinito delle tele di Serge, che non sia percorsa alla ricerca di una profondità esaustiva dell’idea che dà l’imprimatur di fondo all’opera a cui si aggiungono come pagine figurative i vari elementi del percorso creativo e di pensiero: il risultato è un’opera dinamica che non esaurisce il proprio ordito su un unico piano di stesura ma percorre e ripercorre la tela con l’ausilio di materie e pigmenti che si addensano in un’armonia estetica di elevatissimo pregio artistico.
DANILO BUCCHI
Dopo meno di un anno dalla personale Pagine di Taccuino, Danilo Bucchi mi ridà l’occasione di parlare della sue arte. Ed incredibilmente la trama dei pensieri si ricompone e si struttura in una chiave già rinnovata.
E’ il “dinamismo” insito nel percorso di continua e rapida crescita di questo validissimo e prolifico artista contemporaneo. Nella produzione figurativa di Bucchi, l’arte contemporanea intesse un dialogo con se stessa, ritrovando nella pluralità delle tecniche adottate e dei soggetti presentati, l’autenticità di un linguaggio che non si sperimenta più sull’esclusivo piano della tecnica ma che utilizza sapientemente e coraggiosamente il mezzo artistico per dire la propria sulla storia della società contemporanea.
Il Bucchi più giovane, figlio di studi accademici e di una generazione difficile, si impadronisce da subito con intelligenza e talento del lessico sociale, speculando la dimensione grottesca di una realtà in cui la prepotenza martellante dei mass media tenderebbe ad annullare ogni giudizio autonomo; a questa l’artista contrappone un linguaggio figurativo di “nuova oggettualità” lontana da ogni astrazione intellettuale o ideologica e fortemente permeata sul concreto dato sociale. Si vedono dunque sfilare, come in una vetrina ideale, opere “giovanili” nate dalla tecnica fotografica, filtrata da una sempre presente sensibilità pittorica, icone di una realtà che lega in modo imprescindibile l'aspetto esteriore del mondo al vissuto intimo e speculativo dell'artista, ciò che su tela si rintraccia nell’alter ego pittorico dei ritratti fotografici. L’arte di Bucchi diviene progressivamente, in anni di intensa ricerca formale, contenutisticamente e tecnicamente, la sintesi ideale della fusione e della contaminazione delle più varie forme creative che si mescolano sulle sue tele dando un timbro del tutto originale ad un’arte mai uguale a sé stessa, complessa, contraddittoria e speculare alle nostre mille anime sommerse. E’ qui che risiede lo spessore dell’arte di Bucchi, che, attraverso un percorso di continua sperimentazione e di crescita individuale ha saputo ritrovare le radici della propria creatività e della propria peculiare personalità artistica: cogliendo tutte le sollecitazioni della più interessante avanguardia internazionale e dando vita ad un timbro creativo non inquadrabile in una specifica categoria artistica, né rintracciabile in un genere figurativo, ma distinguibile come pregevole unicum nel panorama dell’arte contemporanea.
L'artista non rappresenta più, in quest’ottica, colui che produce un'opera d'arte, ma ricopre il ruolo di mediatore tra la realizzazione di un'idea e colui che la osserva, facendosi promotore di un vissuto che articola e rielabora attraverso una sensibilità spiccata e sottile, divenendo regista di un evento unico, altamente creativo, al quale tutti possono partecipare e nel quale ognuno rimane appassionatamente coinvolto.
Se nelle opere dei primi anni l’intensità espressiva è affidata alla forza emozionale dei contenuti ed all’impatto visivo con i soggetti ritratti e l’ efficace utilizzo delle cromie e dei tantissimi materiali utilizzati, negli anni più maturi Bucchi condensa la sua arte ed affida al segno pittorico il ruolo dominante di puro istinto artistico.
In un percorso a ritroso, quasi flashback dell’anima, l’artista tesse in un rewind della memoria, le trame di un’esperienza che, prodotta sotto le tantissime sollecitazioni della realtà filtrata attraversi i meandri più nascosti della sensibiltà, sarà concepita, e dunque trasmessa, nell’ultimo Bucchi, in forma di ricordo, spesso inconscio, rintracciato sul filo di un tratto magnifico e distintivo che si incide attraverso linee gocciolate di smalto assorbite dalla tela, un out line a creare forme di una coscienza del dato esistenziale e della verità della vita.
LA STANZA DEL DIALOGO
Risulterà evidente che, il dato che accomuna la matrice creativa dei due artisti è l’attenzione sensibile ed intelligente che entrambi rivolgono alla verità, o per meglio dire, alla propria verità rispetto all’esperienza della vita che si muove per Uberti sull’asse uomo-storia-coscienza-spiritualità, per Bucchi sul filo della realtà sociale e del tratto che congiunge l’interiorità di uno spirito sensibile alla complessa, poliedrica e contraddittoria realtà sociale di cui diviene consapevole portavoce. Dal punto di vista tecnico le strade percorse dagli artisti trovano livelli di interazione con la tela visibilmente diversi: il discorso pittorico di Uberti parte dalla profondità della tela, pervadendola poi in tutte le sue dimensioni percettibili in una stratificazione di piani ideali ed effondendo il proprio fluire verso il primo piano della tela che assorbita dalla materia pittorica ne diviene quasi “oggetto” strumentale, esplicitando il dialogo sempre ferrato nella produzione dell’artista tra scultura e pittura. Al contrario Danilo Bucchi colloquia con il primo piano della tela utilizzando il supporto come pagina bianca su cui scrivere il proprio discorso pittorico che si intesse in rilievo, su quel primissimo piano che impressiona lo sguardo e capta l’attenzione sul segno, quasi un’ elevazione del tono della voce artistica rispetto alla corrente, superficiale, indifferenza.
Il punto di raccordo tra gli stili così differenti di Danilo e Serge, risiede, dunque, al centro delle tele, in quel nucleo focale della loro arte che è la sensibilità creativa, momento privilegiato della maturità artistica che eleva i pittori dal vincolo riduttivo dell’ hic et nunc in cui l’opera si crea attribuendole, di contro, un valore aggiuntivo, un requisito che va al di là del suo dato concreto, un quid particolare che si identifica con l’energia unica e irripetibile spesa per la sua creazione.
Il perfetto equilibrio raggiunto dai due artisti verso una corretta comunicazione dell’esperienza individuale, ma anche sociale ed antropologica dell’uomo-artista contemporaneo, fa sì che l’iter sperimentale del momento artistico vissuto da Danilo e Serge susciti, ad un’attenta disamina, non l’esclusivo interesse all’approfondimento della loro indiscutibile validità artistica ma, anche e più diffusamente, una profonda riflessione sull’arte contemporanea della quale, forse inconsapevolmente, appaiono come archetipo pregnante, un microcosmo legato a doppio filo con il macrocosmo delle più aggiornate tendenze artistiche.
LA DIALETTICA DEL SEGNO
Nell'età moderna, in Occidente, il concetto di libertà espressiva ha sempre coinciso, a grandi linee, con un processo di affermazione individuale. I liberi pensatori, scienziati, artisti, commercianti e, successivamente, i primi imprenditori, hanno contribuito a costruire, tassello dopo tassello, un'idea di libertà che si fonda sulla possibilità del singolo di emergere dalla massa e dall'anonimato.
E’ ancora possibile intervenire frapponendo dei controvalori al corso della storia sociale contemporanea? Può l'arte costruire una comunità socialmente riconoscibile? Possono gli artisti orientarsi meno verso l'io e più verso l'altro ridefinendo il proprio ruolo nel contesto collettivo?
E’ in quest’ottica che trova la sua più corretta collocazione il percorso di ricerca intrapreso da M.I.C.RO. e che si apre all’attenta individuazione dei vari sentieri ed orizzonti che via via si profilano nella sempre aggiornata riconsiderazione dei significati e delle funzioni dell’arte, in un contestuale processo di continua, incessante sperimentazione e speculazione sulle possibili prospettive dell’arte.
L’evento qui proposto rientra a pieno titolo in questo quadro di riferimento, in questo laboratorio ideale nell’ambito del quale Bucchi ed Uberti hanno potuto utilizzare il momento creativo come uno strumento potente, utile e funzionale sperimentando una nuova sintassi artistica tesa a rivalutare e comprovare il potenziale sociale dell'arte. Svincolati da una visione che lega l'arte ai suoi connotati puramente estetici o anche esclusivamente concettuali (restringendo l'ambito della sua percezione), slegati dall’ottica corrente che segrega l’artista all'individualismo teso alla libertà estetica e alla libera espressione del proprio io, gli artisti potranno, in questo senso, esprimersi come creatori di paradigmi le cui idee e attività rientrino a pieno titolo nel dibattito sociale e culturale.
Nel "profondo ascolto" partecipativo, "l'arte diventa un atto co-creativo”, un "indicatore metodologico", un incontro anziché un oggetto di consumo primariamente passivo. In sostanza l'esperienza artistica di Danilo Bucchi e Serge Uberti che ha radici "nell'ascolto del sé" anziché nell'occhio incorporeo legato all’oggetto artistico, sfida il pensiero di separatezza della nostra cultura poiché si concentra non sugli individui in quanto tali, ma sul modo in cui gli individui interagiscono in un sentire orientato verso l'acquisizione di una condivisa comprensione e verso l'essenziale intreccio del proprio io con l'altro, del proprio io con la società.
VERSO UNA NUOVA DIMENSIONE DELL’ARTE
Il dialogo tra Danilo Bucchi e Serge Uberti non si intesse sulla base di un ragionamento. I due artisti non discutono sul taglio da dare alla loro collaborazione, né si confrontano sui contenuti iconografici a cui riferire la produzione a quattro mani. Il dialogo si intesse in maniera pura ed istintiva sulla tela, campo neutro su cui nasce e si sviluppa il loro viaggio artistico. Ha luogo, così, un’esperienza creativa senza precedenti per entrambi, in cui la narrazione pittorica nasce dalla mano del primo e sfocia, naturalmente, sul discorso del secondo, senza che vi sia mai una sovrapposizione, un’invasione dello spazio individuale, senza che il linguaggio si renda artefatto. La magia sta proprio in questo, nella fluida naturalezza con cui i due artisti interagiscono tra di loro, ma soprattutto sulla base di un linguaggio comunicativo che ha luogo nel silenzio, un silenzio in cui le materie artistiche di Bucchi incontrano, riconoscendole, le materie di Uberti, in cui l’arte non attende di aprirsi al dialogo al cospetto del fruitore finale, ma si trova a vivificarsi nell’incontro fatale tra soggetti di Uberti e quelli di Bucchi, tra i loro segni che si avvicinano e che permeano le opere di un timbro unico, in cui, incomprensibilmente, l’arte dell’uno diviene estensione della personalità artistica dell’altro. E’ una dimensione straordinaria in cui i due artisti sentono l’amplificarsi del proprio momento creativo grazie al ruolo svolto da un’arte condivisa che si rivela unisona e scrivibile secondo un inaspettato “codice” comune.
Così la dialettica del segno si palesa in un dialogo talmente armonico da non lasciare distinguere, ad opera ultimata, il settore di intervento dell’uno o dell’altro.
La loro arte, in questo senso, trova certamente il suo fondamento nell'individuo artistico che accoglie l'altro, ricerca un legame più profondo, un collegamento più ampio, ma contestualmente sradica la nozione dell'individuo isolato e cede il passo alla differente nozione dell'io come fenomeno, non isolato né racchiuso in sé, ma sociale e interattivo. L'arte fornisce, in tal modo, il proprio contributo, amplificando un messaggio profondamente umano di dialogo e scambio, attraverso i suoi segni, radicati nell'individualità di ogni singola storia d'artista ma aperta alla dialettica dei segni. Liberare le potenzialità spazio-temporali del segno è il valore al quale l'artista è oggi chiamato a dar voce, in linea con l'evoluzione della comunicazione contemporanea, esaltando questo quale nuovo potenziale espressivo, specchio fedele della nostra epoca in cui l'arte possa incarnare una visione della società e rendersi socialmente e spiritualmente impegnata riqualificandosi come forza incisiva per il cambiamento in quanto portatrice di valori intellettuali, politici, ma anche spirituali ed esistenziali.
26
ottobre 2006
La dialettica del segno
Dal 26 ottobre al 19 novembre 2006
arte contemporanea
Location
MICRO
Roma, Via Di Monte Testaccio, 34A, (Roma)
Roma, Via Di Monte Testaccio, 34A, (Roma)
Vernissage
19 Ottobre 2006, ore 19
Autore
Curatore